LA STANZA  di ANTONIO STEFANILE 
  

Antonio Stefanile 
   

Caro vecchio Uadi Megenin

 
Il ricordo del fenomeno naturale, che era l’Uadi Megenin, torna prepotente alla mia memoria. Spesso asciutto per mesi, era un torrente dal letto assai largo e dagli argini molto alti. Talvolta però si svegliava, nel periodo autunnale delle piogge. Nella zona desertica del Gebel-Akdar (Montagne Verdi) si raccoglieva una quantità enorme di acqua che incanalandosi nel suo letto,

Nella zona desertica del Gebel-Akdar (Montagne Verdi) si raccoglieva una quantità enorme di acqua...


veniva giù in maniera impetuosa e violenta, trasportando tutto a valle. A Collina Verde lambiva i confini delle aziende italiane dei Ferullo, dei Finocchiaro, dei Contarino , dei Cilea, dei Merenda, ed anche la nostra, quella dei Stefanile, ( scusate se qualcuna la dimentico ) per poi scaricarsi in mare nella zona di Gargaresh. Per diversi giorni la spiaggia restava piena di detriti e purtroppo le conseguenze erano talvolta disastrose specie per alcune cabine estive, nella zona dei Bagni Sulfurei. In quel periodo l’ acqua del mare assumeva per giorni un colore melmoso.
L’Uadi Megenin era parte naturale della vita di Collina Verde; tutto ciò che si costruiva era in funzione di quest’ultimo, per evitare che con le sue saltuarie inondazioni, provocasse dei danni alla popolazione. Nell’azienda dei Campione, dove noi vivevamo, attorno all’ abitazione vi erano dei terrapieni per fermare l’acqua. La bambina nella foto con la bambola in mano, è mia sorella davanti casa, che posa proprio vicino su uno di quei terrapieni che accennavo prima.
La bambina nella foto con la bambola in mano, è mia sorella davanti casa...

Quando non straripava, noi ragazzi, assieme ai genitori, andavamo a vederlo, ma, per maggior sicurezza, stavamo ad una certa distanza dall’argine. Ricordo che il punto migliore di osservazione, era situato dopo una curva dell’uadi, ad una distanza di un centinaio di metri. Credetemi faceva paura, impressionava, terrorizzava: l’acqua sbatteva sulle pareti dell’argine con una violenza inaudita. Tornando a casa, avevamo ancora impresso nelle nostre orecchie il tremendo frastuono delle acque. Nel caso di un possibile straripamento, venivamo sempre allertati dalle autorità competenti, in modo da prendere le dovute precauzioni e per fare inoltre rifornimento dei generi di prima necessità. Spesso però nutrivamo il sospetto, che le autorità libiche lo facessero straripare appositamente, in modo che quell’ enorme quantità di acqua fertilizzasse le campagne di Collina Verde. Ricordo che con i miei cugini, quando venivamo avvisati dello straripamento dell’uadi, la primissima cosa che facevamo era di andare a prendere i cani, messi a guardia degli aranceti, perché non annegassero. Purtroppo una volta ne dimenticammo uno, dopo due giorni, passata l’alluvione, lo trovammo, ancora vivo, appollaiato sul tronco, dov’era riuscito ad arrampicarsi per evitare di essere travolto. Ci furono dei casi, quando l’inondazione fu davvero grossa, che nei punti nevralgici di Collina Verde, arrivavano le autoblindo militari o qualche mezzo anfibio, a portare pane e latte alle famiglie isolate. Noi, quando succedeva di notte, attendavamo, con emozione mista a paura, l’ avanzare di quella enorme onda d’acqua, che si alzava lentamente. Mio papà assieme ai suoi operai libici, avvolti nei loro barracani, nell’attesa predisponevano un fuoco e preparavano lo shehi ( thè arabo ), di un profumo intenso, che aldilà del ristoro, aveva un significato, di unione e amicizia, di fronte a un possibile pericolo.
...nell’attesa predisponevano un fuoco  preparavano lo shehi ( thè arabo ) con le noccioline, di un profumo intenso...

Ricordo che gli operai rivolgendosi a papà in quei momenti, lo chiamavano in segno di rispetto “ arfi “. Dopo qualche giorno, quando il livello dell’ acqua si abbassava del tutto, sui tronchi degli alberi e sui muri, restava ben visibile, il segno dell’altezza raggiunta dall’ inondazione. Qualcuno la confrontava con le precedenti, per verificare quale fosse stata la più alta. Noi ragazzi, dopo aver calzato gli stivali di gomma, ci avventuravamo alla ricerca di qualsiasi oggetto, anche banale, che l’ alluvione avesse trasportato. L’ unica cosa che trovavamo in gran numero erano quei piccoli meloni selvatici di una pianta chiamata coloquintide, che nasceva spontanea nel letto degli uadi, nella zona desertica, i cui semi contengono un potente alcaloide, di cui ne erano ghiotte le gazzelle.
...erano quei piccoli meloni selvatici di una pianta chiamata coloquintide...

 La popolazione spalava il fango dalle case e le ruspe ripulivano. Quando il fango iniziava ad asciugarsi, staccandosi dal terreno, si spezzava in forme geometriche, formando una specie di mosaico. In mancanza di piogge abbondanti, il Megenin era quasi un ruscello. Ricordo che con la mia famiglia quando andavamo alla chiesa di S. Giuseppe a Collina Verde, si attraversava con la macchina il letto del torrente perché non era ancora stato costruito il ponte. Se l’ inondazione sopraggiungeva nel periodo scolastico, per noi ragazzi delle campagne era una festa, perché le strade di Collina Verde erano allagate, quindi si restava a casa. Non so se interpretarlo come un segno premonitore, un saluto di addio nei confronti di noi italiani di Collina Verde, ma successe che a pochi giorni dal colpo di stato di Gheddafi, l’Uadi Megenin dopo giorni di pioggia straripò allagando le aziende. Ora a distanza di quarantatre anni, mi continuano a dire, coloro che sono riusciti a tornare a Tripoli, che del vecchio Uadi Megenin non resta traccia. Comunque sono certo che se tornassi a Collina Verde, un qualcosa dell’Uadi Megenin riuscirei a trovare.
Farò fatica a trattenere le lacrime, era e sarà per sempre nel mio cuore: una parte della mia adolescenza. Inchallah ( se Dio vuole).

Antonio Stefanile
cell. 3393671980





      
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