Per l’amico Roberto
Longo (che ha presentato il
Natale nell’ultimo numero
dell’Oasi) il primo ricordo di
quella solennità è legato a
Nalùt. Con quel nome che sa di
biblico e che bene si potrebbe
accostare a Nazaret o alla Saba/Seba
dei Magi, non poteva che essere
un grande Natale, soprattutto
perché coincideva con la fine
della guerra e la conseguente
riunificazione della famiglia.
Anch’io credo di poter
legare la prima Pasqua di cui ho
memoria a un episodio
particolare. Era la primavera
del 1945 e avevo appena messo
insieme i miei primi 4 anni. Ho
il nitido ricordo di uno
scampanio prolungato ed allegro
che si spandeva per le colline
del paese e andava ad incontrare
gli altrettanto vivaci concerti
di campane che provenivano dai
paesi vicini. A volte mi prende
il dubbio di aver confuso o fuso
insieme la Pasqua con l’evento
della Liberazione, il che può
anche avere delle considerevoli
relazioni simboliche.
Di questa festa, più
che una ricerca e una
elaborazione sistematica vorrei
offrirvi degli spunti, così come
mi vengono e così, potrei
aggiungere, come li ho raccolti
nel tempo dai grandi maestri che
condivido con molti di voi: i
Fratelli.
La Pasqua per i
cristiani è data fondamentale.
Quando all’inizio dell’anno
liturgico (I° domenica di
Avvento) il sacerdote proclama
le festività mobili che verranno
via via celebrate, il punto di
riferimento per determinarne la
cadenza è esattamente la Pasqua
e la sua collocazione. Resta
insomma un
aggancio sicuro come la
Stella Polare per i naviganti
dei tempi andati.
Se è fondamentale come
data, lo è ancora di più nel suo
aspetto sostanziale.
La Pasqua infatti dà senso e
fondamento a tutta la religione
cristiana nel modo più evidente:
se Gesù non fosse risorto, tutto
il castello della sua dottrina,
a partire dall’annuncio da Lui
fatto della sua Risurrezione,
sarebbe risultato presunzione
infondata, delirio profetico,
operazione destinata al
fallimento totale.
La Pasqua cristiana ha
poi, come sappiamo, evidenti
parentele con quella degli
Ebrei, a partire dalla
coincidenza delle date: la
nostra Pasqua, il “fatto” cioè
della Risurrezione, è accaduto
nei giorni in cui gli Ebrei
festeggiavano la loro Pasqua,
associandola alla lunazione del
mese di Nisan.
Il legame è ancora più
profondo se andiamo a scavare
nel significato dei due eventi.
Come la Pasqua degli Ebrei
celebra la salvezza del popolo
attraverso la liberazione dalla
schiavitù, così la nostra Pasqua
significa e produce la
liberazione dal peccato
attraverso il sacrificio di
Cristo. E qui, nel gioco dei
simboli, diventa importante
l’agnello della Pasqua ebraica
da accostare a Cristo, l’agnello
sacrificale dei cristiani.
Nella complessità del
discorso sulla Pasqua, e forse
addirittura come premessa, entra
di prepotenza il fatto e il
concetto del peccato, realtà che
in tempi di conclamato e
reclamato relativismo morale si
propone oggi, anche per molti
cristiani, con contorni sempre
più sbiaditi.
Se Dio è Dio, gli
dobbiamo riconoscere il pieno
diritto di assegnare alle sue
creature una condizione di
subordine nei suoi confronti e
perciò anche quello di dettare
delle norme per il buon
funzionamento delle sue
creature, come del resto fa
qualsiasi ingegnere che propone
un suo prodotto. Chi rifiuta
questa relazione di naturale
sudditanza, si pone
automaticamente contro Dio ( e
contro se stesso ), mettendosi
nella condizione che noi
definiamo di peccato.
La ribellione di Lucifero e
quella di Adamo rientrano in
questo ordine di idee, così come
i tanti peccati di cui
ricorrentemente si parla nella
Bibbia.
Continuando
nell’analisi del peccato, mi
torna utile un’osservazione che
in gioventù mi è stata proposta
da quella mente straordinaria
che è stato Fratel Anselmo
Balocco (insegnante anche di
Fuad Kabasi?). Di fronte a lui
ho avuto per la prima volta la
sensazione di trovarmi davanti a
un’intelligenza superiore, di
quelle che ti sanno offrire
concetti difficili con la
naturalezza che si usa nel
porgere una mela. Sosteneva, il
buon Fratello, che la gravità
dell’offesa (peccato) dipende
dalla qualifica dell’offeso. E
mi spiegava: “Se un tuo compagno
di classe ti assesta uno
sganassone, la cosa ha la sua
gravità. Se lo stesso ceffone lo
riserva al Direttore, la
situazione si aggrava…”. E
andava avanti, destinando sberle
a personaggi via via più
importanti e drammatizzando con
grande senso della didattica,
fino a quando il fatidico
ceffone arrivava nientemeno che
al Papa, con mobilitazione di
guardie svizzere e inevitabili
gravi conseguenze. Il classico
“facciamo la pace” poteva
facilmente risolvere la
situazione col compagno, ma ben
più impegnativo risultava
riparare l’offesa recata al
Papa, in quanto l’offesa era…
salita di grado.
A questo punto il teorema si
chiariva: l’offesa a Dio, fatta
col peccato, acquista una
gravità infinita come infinito è
Dio e la riparazione che noi,
creature finite, avremmo potuto
offrirgli sarebbe stata comunque
inadeguata.
In questo contesto entra in
scena l’uomo-Dio Gesù Cristo
che, come uomo, si assume a nome
degli uomini il fardello dei
peccati e, in quanto Dio, offre
in espiazione a Dio stesso la
sua vita, un sacrificio di
valore incommensurabile,
garantendoci per sempre la
possibilità di salvarci.
Oltre che di Salvezza,
sentiamo spesso parlare di
Redenzione. Il concetto è
questo: Dio è talmente buono e
talmente ben disposto nei
confronti delle sue creature
che, a prezzo della sua vita, ci
“ricompra” (in latino “redime”)
dal momento che ci eravamo
venduti al diavolo.
Le osservazioni appena
proposte hanno il loro valore su
un piano che potremmo definire
giuridico/teologico, ma ben
diverso è l’approccio all’idea
di peccato che il cristiano
dovrebbe coltivare in sé. Il
rapporto Dio-uomo si deve porre
in termini di amore e, per
leggerlo correttamente, non è
fuori luogo pensare a quanto
gravi vengano ritenuti anche i
più semplici sgarbi tra
innamorati, tra marito e moglie,
tra genitori e figli, tra amici…
E’ per questo che alle anime
sensibili dei santi ogni
venialità appariva come
un’offesa smisurata nei
confronti di Dio, al punto da
essere indotti a pentimenti e
penitenze senza limiti.
Un altro suggestivo
approccio alla Pasqua si apre
alla nostra attenzione quando ci
viene proposta l’immagine di
alcuni antichi battisteri.
Consistevano in una specie di
vasca a croce greca i cui bracci
opposti digradavano verso il
centro. Naturalmente era piena
d’acqua e il catecumeno scendeva
i gradini col suo carico di
peccati verso una specie di
morte simbolica e risaliva poi,
rinato e purificato, dall’altra
parte.
Simile a questa è l’idea
dell’uomo vecchio, quello del
peccato, che entra con Cristo
nel sepolcro e risorge con Lui a
nuova vita.
Solo apparentemente
fuori dal coro, risuonano tutte
le suggestioni contestuali alla
Pasqua legate alla
primavera, al risveglio della
natura, al miracolo
dell’esplosione dei fiori.. E
anche qui si presentano dei
binomi dal simbolismo tanto
semplice quanto profondo. C’è
sempre un prima e un dopo, una
morte e una resurrezione molto
espressivi: alla pulizia dei
prati con la bruciatura delle
stoppie (peccato) segue il
rinnovarsi della vegetazione
(nuova vita); alla morte
apparente di quanto ci sta
intorno segue una vivace
rinascita; al gelo che paralizza
succede il risveglio delle linfe
vitali; alla natura senza colori
e senza suoni seguono fioriture
straordinarie e il concerto
degli uccellini…
Un altro dei territori
pasquali che meriterebbe di
essere esplorato è quello
dell’arte ispirata alla
Resurrezione, in particolare nei
campi della pittura e della
musica. Gli artisti ne hanno
ricavato motivi di creazione a
piene mani, producendo una serie
considerevole di capolavori.
Che dire per
concludere? Siamo tutti diversi,
tutti prototipi della Creazione.
Ognuno di noi viene attirato da
aspetti dell’essere, del pensare
e dell’agire diversi da quelli
dei suoi simili.
Ebbene, ognuno, seguendo le
proprie ispirazioni, catturi le
suggestioni che meglio lo
ispirano per vivere sempre la
Pasqua come un allegro scampanio
dell’anima.
Giuseppe Segalla