LA STANZA  di  VITTORIO SCIUTO
  


Vittorio Sciuto
   


Pubblicato su “Italiani d’Africa”, periodico dell’Associazione Italiani Rimpatriati dalla

 Libia (AIRL), anno XXXIII n.11-12-01 novembre-dicembre 2006/gennaio 2007


Piantina dell'Africa Settentrionale

Il  nome Tuareg  deriva  dall’arabo, ed  è il plurale della Targa, l’antica   Regione  del   Fezzan  (Libia).   Essi non condividono questo nome e tra  di  loro si chiamano “Imohag” (uomini liberi), parlano  la loro lingua “Tamahak” e scrivono  con  i caratteri  dell’alfabeto “Tifinar” dalla forte pronuncia fonetica. I Tuareg sono famosi  nel mondo come gli  “uomini blu” del deserto,  per via  del  turbante  indaco che portano  e  che  lascia  sui  loro volti una  leggera tinta.


Donna Tuareg Uomo Tuareg

Attorno ad essi sono nate  leggende susggestive  che fanno delle loro terre  una  meta ricercata  dal  turismo  moderno, a cui devono la loro prospettiva di  sopravvivenza in futuro.
L’origine  dei Tuareg  è  avvolta  nel  mistero  che  li  rende ancora  più “mitici”. Potrebbero  essere  sorti  da  un ceppo della popolazione berbera,  le cui  tribù  provenienti da una parte imprecisata delle regioni orientali dell’Europa invasero il  Nordafrica   al  tempo  della  preistoria,  oppure,  essere i  discendenti  degli  antichi  abitanti   del   sud  della  Libia, i “Garamanti”  in origine Berberi  essi stessi,  abili  guerrieri sui  carri   da  combattimento trainati da 4 cavalli,  citati da Erodoto (484 a. C.), che prosperarono tra il IX sec. a.C. ed il VII d.C., quando crearono un regno con capitale Garama (attuale Germa, Libia). I bellicosi Garamanti  dovettero limitare le  loro  mire espansionistiche ad  ovest oltre i  monti 
dell’Hoggar,  contrastati dai Berberi  di Massinissa, re della Numidia alleato dei Romani, che presero parte con la cavalleria alla battaglia di Zama (202 a.C.) contro i Cartaginesi. All’epoca dell’imperatore Augusto (29 a.C.-14 d.C.), i Romani preoccupati dei continui attacchi dei Garamanti ai confini (limes) delle Province Africane, li affrontarono e sconfissero con la Legione Romana del console Lucio Cornelio Balbo (20 a.C.), imponendo alcuni presìdi nelle loro terre. L’ipotesi dell’origine dei Tuareg dai Garamanti, derivati dalle tribù “europoidi” giunte nella preistoria dalle pianure dell’est Europa, resta credibile a giudicare dalla loro carnagione originaria chiara, caratteri biondi ed occhi azzurri riscontrata nei rari esemplari preservati dal meticciamento con le popolazioni negroidi autoctone (Tebu, Mauri, Sudanesi) dell’Africa sahariana. I Tuareg si collocano in questo contesto storico misterioso e leggendario, e gli eredi della loro casta nobile “Imohar” (guerrieri), un tempo armati della spada Katuba, si proclamano discendenti della mitica regina Tin Hinan ( IV sec. d.C.), sepolta ad Abalessa (Hoggar, Algeria).
Successivamente, quando gli Arabi invasero il Nordafrica (VII sec. d. C.), i Berberi furono costretti a rifugiarsi nei massicci montuosi dell’entroterra libico del Gebel Soda e Gebel Nefusah, e sui monti dell’Atlante in Tunisia, Algeria, Marocco. Mentre gran parte delle tribù berbere divennero sedentarie, stabilendosi nelle oasi delle montagne menzionate e nelle oasi interne sparse nel deserto come Gadames, Tozeur, Elgolea, Ghardaia, Reggane, Errachidia, dove potevano difendersi dalle incursioni arabe, le tribù Tuareg di origine berbera ma di indole nomade, si spinsero più a sud oltre la desolata Hamàda Al-Hamra (Altopiano rosso, Libia), nelle oasi libiche di Murzugh, Gatrun (Fezzan) e Ghat (Gebel Akakus), fino al massiccio del Tibesti nel Ciad e l’omonimo lago. Verso sud-ovest in Algeria, si concentrarono nelle oasi di Tamanrasset e Abalessa (Hoggar), e di Djanet (Tassili), infine raggiunsero Timbuctù (Mali) e il Tenerè (Niger). Essi divennero presto i signori del Sahara definito “il mare senza acqua” (al-bahar bilà maà), indossarono abiti (Gandura) che conciliavano con la loro cultura e le esigenze del deserto battuto dai venti, torrido di giorno, freddo di notte in inverno, e si protessero dalle insidie del clima e dagli spiriti maligni con un turbante blu (Tagelmut) che ricopriva il capo ed il volto, lasciando scoperti gli occhi penetranti capaci di scrutare orizzonti lontani, captare le prime folate del caldo vento del ghibli e la nuvola di sabbia sollevata da una lontana carovana di cammelli.


Tuareg con il suo cammello
Tuareg in abbigliamento festivo
Da “signori e padroni” del deserto continuarono ad ignorare l’autorità costituita sulle terre in cui vivevano, la cui vastità ed asperità non ne consentiva il controllo, cosicché continuarono nelle scorribande prima con i cavalli e dopo con i più resistenti e parsimoniosi cammelli da sella (mehari) a danno delle popolazioni negroidi autoctone della vasta regione sahariana, dove imponevano pedaggi alle carovane, depredavano le tribù e catturavano schiavi che vendevano ai Berberi ed agli Arabi. I Tuareg erano organizzati in caste che distinguevano i nobili guerrieri poi divenuti mercanti (Imohar), dai vassalli comecarovanieri e pastori (Imrad), contadini (Haratini), artigiani (Inaden) e schiavi, (Iklan), sicché crearono una società confacente alle loro tradizioni ed elessero un capo assoluto della casta nobile (Amenokal), fino a quando incalzati dagli Arabi (VII-VIII sec. d.C.) ne subirono la religione e la sudditanza, partecipando anche all’espansione araba in Spagna. Fieri della loro lingua e scrittura che li univa, hanno continuato a mantenere nel tempo lo spirito intraprendente di Imohag (uomini liberi), ignorando i confini tra gli Stati e spostandosi in continuazione con gli armenti in un vasto territorio trasversale, in cerca di nuovi pascoli e pozzi d’acqua, e percorrendo con i cammelli (dromedari) le rotte delle carovaniere che congiungevano le località suggestive di Timboctù, Tidjikja Tamanrasset, Tindouf, Sigilmassa (mercato dell’oro), Fes, Ghat, Murzugh, Gadames. Fornivano oro, avorio, manufatti di terracotta, stuoie, pelletterie ed elaborati monili, e caricavano il prezioso sale che dalle miniere di Toudennì trasportavano di ritorno nei mercati delle località citate. Si alimentavano sobriamente con i datteri, formaggi di capra, latte di cammello, ortaggi ricavati nelle oasi, cereali coltivati nei letti degli uidian (torrenti asciutti), e nelle feste mangiavano il “couscous” con carne ovi-caprina. Durante il percorso delle carovane si orientavano con il sole, al calare della sera sostavano nel deserto dormendo sotto il cielo stellato. Durante il viaggio consumavano poca acqua portata nelle otri che riempivano nei pozzi lungo il percorso dove abbeveravano i cammelli, e nelle ore di riposo serali si rilassavano seduti in cerchio attorno al fuoco dove si svolgeva il rituale del tè. Si scambiavano informazioni con le altre carovane, che incrociavano sui percorsi e sui mercati dove erano diretti. Mentre i Berberi che abitavano case di pietra e fango, si insediavano sempre più nelle oasi sviluppando i primi agglomerati abitati come Gadames e Ghat, i Tuareg sostenuti dal loro istinto nomade, hanno continuato ad abitare nelle tende. Divenuti islamici (VII-IX sec. d.C.), hanno osservato rigorosamente i ritmi della preghiera, senza trascurare le antiche feste tribali e i riti scaramantici associati ai colorati amuleti. Durante l’occupazione coloniale, manifestarono più che mai la loro ostilità e mantennero la loro autonomia favorita dalle difficoltà del deserto. Le donne Tuareg godono di grande autorità nella famiglia poiché i loro uomini sono spesso assenti, vanno a viso scoperto, il capo coperto da un leggero velo, amano portare vistosi monili con ostentata vanità.

Carovana Tuareg
Ai nostri giorni i Tuareg sparsi nelle aree sahariane di vari Paesi  (Libia, Ciad, Tunisia, Algeria, Marocco, Niger, Mali) sono all’incirca un milione. Le loro tradizioni e  costumi tramandati da secoli ed il loro suggestivo habitat nel deserto, costituiscono un irresistibile richiamo  per gli amanti dell’avventura e della natura incontaminata. Sicché hanno attratto dapprima esploratori, storici, studiosi e poi sempre più i turisti affascinati dalle leggendarie storie e suggestivi scenari, fatti di infiniti spazi, incantati paesaggi, infuocati tramonti, rilassanti silenzi, cieli stellati, magici miraggi, così lontani dalla civiltà dei consumi da cui si desidera tanto evadere per poi inesorabilmente ritornare. Con l’avvento dei mezzi meccanici di trasporto adattati ai deserti molto più capienti e veloci dei cammelli, i campi petroliferi sparsi nel deserto collegati da piste camionabili, i villaggi di case a ridosso delle oasi abitati dalle popolazioni berbere dedite all’agricoltura ed artigianato, i Tuareg hanno perso il lavoro di “carovanieri” con propensione al commercio, e sono stati sempre più violentati nei loro territori dai mezzi e prodotti espressi dal “progresso”. Ora gradatamente si stanno convertendo alla sedentarietà pur mantenendo i loro usi e costumi, praticano arti e mestieri, guidano fuoristrada carichi di turisti nel deserto, dove sono issate tende dotate di comfort come luce elettrica, acqua corrente, frigoriferi ed aria condizionata. Gruppi misti di uomini e donne Tuareg nei caratteristici costumi danzano per i turisti al suono dei tamburi e pifferi sullo sfondo di incantevoli scenari, accesi dai tramonti rossi che proiettano ombre lunghe di palme sulla scena. Così va perdendosi il mito dei Tuareg tramandato nei secoli, eroso dalla civiltà dei consumi che li ha raggiunti con gli Hi-Fi, orologi al quarzo, radio ricetrasmittenti, TV ad antenna parabolica, navigatori e cellulari satellitari, fuoristrada a trazione integrale, macchine fotografiche. Il progresso entra gradatamente nella loro vita alleviandola con mestieri meno faticosi, ed ha ridimensionato l’emozione della “traversata del deserto” dei turisti, ridotta ad un viaggio a “basso rischio” sui fuoristrada dotati di comfort e navigatori satellitari. E’ possibile ancora ammirare i costumi colorati dei Tuareg nelle esibizioni folkloristiche, passeggiare a dorso di cammello sulle dune, mangiare il couscous sotto la tenda, godere gli spazi sconfinati del deserto, i tramonti che infiammano il cielo, i silenzi interrotti dal verso allarmato della gazzella al suo branco alla vista dello sciacallo. Negli insediamenti urbani delle oasi, ora oltre al canto del muezzin si ascolta musica dai CD, ed alla  sera giovani in blue-jeans e T-shirt seguono la Champions Cup alla TV satellitare. Ma nella penombra delle prime luci dell’alba, nel vagare con lo sguardo nello scenario in cui si vanno delineando le forme, si può intravedere ancora la sagoma del Tuareg che da secoli ripete lo stesso rito della preghiera, mentre il silenzio avvolge ancora il deserto sconfinato, e nel cielo le stelle svaniscono inghiottite dalla luce del giorno. D’improvviso il sole sorge maestoso all’orizzonte del “mare senza acqua” dei Tuareg gli ultimi figli del Sahara, destinati dall’evoluzione e obbligati dalla sopravvivenza a smettere la loro affascinante leggenda dal “vivo” che continueranno a recitare per i turisti.


Tuareg dediti ai turisti che desiderano
passeggiare sulle dune a dorso di cammello


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