Renato Rovecchio, un campione di
ciclismo di
altri tempi
Una
intervista al telefono |
Tripoli 1955 - Renato Rovecchio, con la maglia
della nazionale libica |
<<<
L’altro giorno, sfogliando uno dei vecchi
numeri dell'Oasi
(n°
2/2005 - Maggio - Agosto 2005)
, mi è capitato di leggere un articolo scritto da
Vincenzo Rovecchio,
che ha per
titolo, Renato Rovecchio, dal pallone al pedale.
Finito di leggerlo mi è venuta l'idea di contattare per telefono il
diretto interessato, il protagonista dell’articolo, cioè Renato
Rovecchio per avere maggiori dettagli sulle sue esperienze vissute
in bicicletta. Mi intrigava conoscere meglio i
retroscena della sua vita ciclistica che Vincenzo Rovecchio
aveva descritto molto bene anche se un po' sommariamente.
Premetto che conosco Renato si da quando vivevamo in Libia, e poi
siamo un po' parenti dato che sua sorella Cristina mi viene
zia. Infatti Cristina ha
sposato un fratello di mia madre, mio zio Mario Salmeri,
Renato Rovecchio è nato il 28 settembre 1935 a Zuara
, un paese di mare, che dista circa 100 chilometri da Tripoli, in
direzione del confine tunisino. A pochi mesi dalla nascita Renato
venne battezzato nella piccola chiesa di Zuara
città (Zuara allora si divideva in due zone Zuara marina e Zuara
città). In quell'occasione Antonio Rovecchio, padre di Renato, aveva
proposto a mio nonno materno, Giuseppe Salmeri, di diventare
il padrino di battesimo di Renato. Mio nonno, accolse con favore
l'invito, rinsaldo quel rapporto di amicizia che già legava le due
famiglie. D'altronde sia Antonio che Giuseppe facevano lo stesso
mestiere, erano entrambi valenti marinai e proprietari di
bastimenti, equipaggiati per la pesca delle spugne, di cui la
costa libica in quel periodo ne era molto ricca. Nei primi
anni '50, quando la pesca delle spugne non rendeva più come prima,
sia i Salmeri che i Rovecchio si trasferirono con le
loro famiglie a Tripoli, in cerca di nuovi sbocchi di lavoro.
Nell'ambiente tripolino, i due giovani cugini
Rovecchio,
Vincenzo e Renato, per ragioni
diverse diventarono subito popolari. Uno, Vincenzo,
l'intellettuale, era conosciuto poichè svolgeva faceva giornalista
per l'unico giornale locale in lingua italiana. Il primo giornale si
chiamava Corriere di Tripoli e poi, a partire dal
maggio 1960, con la gestione del dottor Mohammed Murabet,
cambiò nome e divenne Giornale di Tripoli. Renato
invece divenne popolare per le sue notevoli doti di atleta. Salì alla
ribalta ciclistica tripolina nel 1953, quando ancora sconosciuto, riuscì a sbaragliare
uno stuolo di corridori locali già affermati, sorprendendo tutti con
la sua inaspettata vittoria al Giro di Tripolitania. Nel 1954 e nel
1955 consolidò la sua fama di campione del ciclismo tripolitano. Nel
1956 andò in Italia per confrontarsi con corridori di fama mondiale,
con la speranza passare professionista. Qualcosa comunque non andò per il verso giusto, perché dopo appena
dieci mesi di vittorie e di confronti vinti (addirittura riuscì a
battere allo sprint l'allora campione del Mondo di inseguimento,
Ercole Baldini), lasciò inaspettatamente
l’Italia per ritornarsene a Tripoli. Nel suo articolo Vincenzo
Rovecchio scrive che il motivo del ritorno di Renato a Tripoli era dovuto al
mal d'Africa. Leggendo l'articolo tale motivazione mi era
sembrata generica, fu proprio questa la motivazione che mi spinse a
contattare per telefono Renato
Nel 1957 e nel 1958, al ritorno dall'Italia, Renato s’impiega
alla Total come cartografo. Pur lavorando continuava ad allenarsi e a
correre in bicicletta, ma con sempre meno entusiasmo, tanto che nel
1959 decise di smettere di correre. Non riuscì però ad allontanarsi per
molto tempo da questa sua passione così quando gli si presentò
l’occasione di allenare la giovane squadra del circolo della
Polizia, accettò con entusiasmo. Negli anni successivi fino
al 1970, anno del definitivo rimpatrio dalla Libia, si dedicò
con successo alla sua attività di impresario del mobile. Dal 1970 in
poi in Italia scelse di vivere con la sua
famiglia in Toscana, prima a Poggibonsi, poi a Follonica ed infine a
Livorno. Negli ultimi tempi si è trasferito con la moglie Anna Longo
a Nettuno, vicino ad alcuni loro parenti.
Ecco qui sotto riportato il testo
della telefonata.
D. Salve Renato, è parecchio che non ci
sentiamo, come stai? Esci ancora in bicicletta?
R. Caro Domenico, magari potessi, darai chissà
cosa per poterlo fare, purtroppo ho un ginocchio ridotto così male,
che mi riesce difficile anche camminare.
D. Renato, quali sono state le motivazioni che
ti hanno spinto a diventare corridore?
R. Per risponderti devo cominciare a parlare
di Zuara, il paese dove sono nato e dove ho vissuto fino all’età di
16 anni. Sin da piccolo aveva mostrato di avere delle buone doti
atletiche. Giocavo bene al pallone, avevo resistenza nel correre,
avevo persino fatto il pugile. A questo proposito ti racconto un
episodio che mi è venuto in mente ora. Sai anche te che tuo zio
Giovanni Salmeri, il fratello minore di mio cognato Mario, era una
bravo pugile. Bene, lui , per diletto, insegnava ad un gruppetto di
ragazzi di Zuara come tirare la boxe e fra questi c’ero anch’io. Una
volta Giovanni allestì una riunione per tutti noi ragazzi della categoria
juniores in cui si dovevano disputare degli incontri a puro scopo
dimostrativo. A me capitò un giovane libico, nero di carnagione,
ben piazzato e dicevano , con molto talento. Francamente avevo un
po’ di paura, perché pur sapendo che doveva essere solo
un’esibizione non volevo far brutta figura. Senza volerlo nel corso
del primo round dell’incontro, durante uno scambio di colpi
ravvicinato, lo colpì al volto facendolo sanguinare. La sua
reazione di rabbia fu immediata perché cercò di colpirmi
ripetutamente senza riuscirci. Sia l’arbitro che tuo zio, che era il
mio secondo, dovettero dividerci prima che l’incontro finisse in
rissa. Nel 1951 all’età di 16 anni andai a vivere a
Tripoli con la mia famiglia per trovare lavoro. Da un punto di vista economico per la
Libia non erano tempi buoni, il petrolio non era stato ancora
scoperto ed il boom economico doveva ancora arrivare. Mentre ero
alla ricerca di un lavoro avevo cominciato a frequentare il cortile
della Scuola dei Fratelli Cristiani di Sciara Afgani. Giocando al
pallone in quel cortile mi notò Fratel Arnaldo, un eccezionale
talent- scout, capace di capire chi aveva la stoffa del campione e
chi no. Immediatamente mi inserì nella formazione titolare della
prima squadra de La Salle. In questa formazione oltre
a me, c’erano altri giocatori di cui ricordo qualche nome:
Monreale, Munzone, Marcello Rovecchio (mio cugino), Corazzina, Jozia
junior, Aldo Muratori, Giovannino Moro e Luigi Fontebasso. La nostra
compagine, La Salle A, guidata da Fratel Arnaldo partecipava
al campionato tripolino dell’annata calcistica 1951/52. Oltre alle squadre italiane locali, come
il S. Camillo, il San Francesco e l’Antoniana partecipavano anche
squadre arabe di grosso calibro, come l’Ittihad, l’Ahly e e la
Medina.
D. Scusa se ti interrompo Renato, ma quando è
che sei diventato corridore?
R. Tutto è cominciato per caso. Era un tiepido pomeriggio
d'inverno e, sotto l’occhio vigile di Fratel Arnaldo, noi ragazzi de
La Salle stavamo disputando una partitella allo Stadio
Municipale tra le nostre formazione di A e di B, in preparazione di una importante
partita contro la famosa squadra libica Ittihad. Questo stadio oltre ad avere un campo di calcio
era anche un velodromo, con un anello di
cemento circolare. Questa pista serviva ai ciclisti che dovevano allenarsi per
le gare da pistards
e per tutti quelli che preferivano non allenarsi su strada. Era una
bella pista di cemento , costruita molto bene, liscia e scorrevole come
un biliardo. Quel pomeriggio allo stadio vennero ad allenarsi
anche gli azzurri della nazionale italiana della pista e
della strada guidati, allora, rispettivamente dal Direttore Tecnico,
Guido Costa e dal preparatore romano Luigi Proietti. Ogni anno,
alla vigilia della nuova stagione ciclistica italiana e internazionale,
Guido Costa (tunisino di nascita e tripolino di adozione) e Luigi
Proietti portavano a Tripoli il fior fiore dei pedalatori
italiani (dilettanti) della pista e della strada. C’erano i più bravi
corridori italiani di quel periodo: Maspes, Sacchi, Moretti,
Perona, De Rossi, Massina, Ciancola, Zanotti, Gaiardoni, Pinarello,
Morettini e tanti altri come i professionisti Harris, Bartali,
Corrieri, Gerardine, Kebaili che preferivano svernare a
Tripoli. Naturalmente di fronte a tutti questi mitici atleti, Fratel
Arnaldo con il suo fischietto fermò il nostro gioco e disse che
la nostra partitella d’allenamento doveva concludersi per dare posto ai
ciclisti appena arrivati. Dopo che tutti ci eravamo premurati di
chiedere autografi e mentre io mi accingevo a lasciare il campo,
per andare negli spogliatoi per fare la doccia, uno di quel gruppo,
che poi seppi si chiamava Proietti ed era il preparatore atletico
della nazionale italiana di ciclismo, mi si avvicinò e
mi disse : " Ragazzo, con le gambe che hai è meglio che lasci
il calcio e sali in bicicletta." In un primo momento ci
rimasi un po' male specialmente che quella frase era
stata detta da un personaggio così famoso.
Non avevo capito bene se mi volesse
prendere in giro oppure se fosse stato un complimento.
Non gli risposi neppure e me tornai negli spogliatoi sotto la doccia con la
testa confusa. Il giorno dopo, senza ragionarci sopra più di tanto,
ma quasi guidato più dal cuore che dalla mente, andai nel negozio di
biciclette di Attardi in Via Lazio e, con i miei pochi risparmi, mi comprai una bicicletta da
corsa di seconda mano. In quel momento mi sentii come se avessi
toccato il cielo con un dito. Inforcai la bicicletta e cominciai a
pedalare, verso la Stadio Municipale per seguire l'allenamento degli
azzurri. Durante una pausa dell'allenamento mi avvicinai al
corridore romano Luciano Ciancola,
fresco campione del mondo dei dilettanti su strada, e gli chiesi un
autografo. Luciano, non solo mi diede l'autografo, ma fu anche molto
cordiale e disponibile nei miei confronti, tanto che mi
presentò a tutti gli altri uomini di Costa e Proietti. Con mia
sorpresa fui invitato da Costa e Proietti stessi ad unirmi ai loro
atleti per allenarmi. Primi della "passeggiata" Ciancola mi prese
sotto la sua protezione sistemandomi la bici e spiegandomi come
stare in sella. Fu così che entrai nel ciclismo. Da quel giorno cominciai
ad allenarmi quotidianamente, chilometri e chilometri di pedalate,
come se avessi dovuto recuperare tutto il tempo perduto nel fare
altri sport. Quello era lo sport che più si confaceva alla struttura
del mio fisico ed io vi ero finalmente approdato.
D. Con quale squadra ti sei accasato? Chi ti
ha sponsorizzato?
R. Anche quella è un'altra storia. Sai che mio cugino
Vincenzo era giornalista e lavorava come caporedattore al
Corriere di Tripoli.
Vincenzo aveva saputo della mia decisione di lasciare il calcio e di
dedicarmi al ciclismo e mi aveva seguito in alcune corsette fatte
tra noi ragazzi, tanto che si era reso subito conto che io
avevo la stoffa del campione e che avevo bisogno di una squadra che
mi assecondasse. In quel periodo la
Pibigas, società che
distribuiva gas in bombola, per
farsi conoscere sul mercato tripolino stava investendo molto in
pubblicità. Chi aveva l'esclusiva della Pibigas per la
Tripolitania era Mohamed ben Barka,
un giovane sveglio ed intelligente, amico di Vincenzo.
Un giorno chiese a Vincenzo di dargli una mano nel campo della pubblicità e
gli propose, tra l'altro, di formare una squadra ciclistica di
allievi con me
e qualche altra giovane
promessa. Fu così fondata la Società Ciclistica
Pibigas.
Vincenzo pensò subito a me, e subito dopo, ad
affiancarmi, giunsero
altri tre ciclisti Vito Casubolo, Ermanno Montaperto e
Gino Indelisano. Quell'anno, il
1953, il ciclismo tripolino
contava, nelle file dei
dilettanti, atleti di valore
come Benedetto Viscuso, Vittorio Contarino,
Benito Lizio, Vittorio Consolandi,
Rino Borraso ai quali si
aggiunsero, nel giro di qualche
mese, Jolando Facchinetti,
Viscuso junior, Gobbi e Franco
Grasso. Il mio esordio avvenne nella gara di apertura della
stagione 1953, la Tripoli-Castel Benito-Suani- Tripoli. Corsa
open, cioè aperta ad allievi
e dilettanti. Riuscì ad
aggiudicarmi la gara con facilità ed anche i più scettici
cominciarono a scommettere sulle
mie qualità. Infatti nella stessa
stagione mi impose in
altre sei gare ed in tre prove
di campionato, conquistando il
titolo di campione della
Tripolitania allievi. L'evento
"clou" della stagione
ciclistica era il Giro della
Tripolitania riservato ai
dilettanti. Tutte le squadre cercavano di rafforzarsi. I
Diavoli Neri, che avevano in
Francesco Ciccio l'uomo di punta, cercavano un'atleta che gli
facesse da valido gregario e
puntarono su di me. Mohamed ben Barka,
responsabile della mia squadra Pibigas, non voleva
assolutamente mollarmi. Erano giorni difficili per tutti e a
me sarebbe piaciuto fare il salto
di categoria. I dirigenti dei
Diavoli Neri, il Presidente
Rizzo ed il responsabile della squadra ciclistica Orlando Di Blasi,
cari amici di Vincenzo, premettero per ottenere il
nullaosta per tesserarmi. Alla
fine riuscirono a convincere il Ben Barka, così io ebbi il nulla-osta per presentarmi
alla partenza con i nuovi
colori. Quell'anno entrai subito
in forma. Malgrado fossi partito come gregario riuscì ad
aggiudicarmi il Giro
della Tripolitania a soli
diciotto anni.
D. Hai vinto tutte le gare?
R. No assolutamente, vinsi una sola gara e le
tappe, che erano in totale otto, furono combattute dall'inizio alla
fine. Emilio Perrotta ne vinse tre, mentre le altre quattro le
vinsero Giovanni Migliarini, Giuseppe Vizzini, Francesco Ciccio e
Benedetto Viscuso. La lotta per la
conquista della maglia bianca,
il colore del primato in
classifica, non fu da meno:
la prima maglia la indossò
Perrotta, poi Migliarini, che la
cedette a Ciccio, e questi se la
vide portare via da me. Portando
la maglia bianca al traguardo finale di Tripoli, aggiunsi il
mio nome nell'albo d'oro dei
vincitori del Giro della
Tripolitania a quelli di
Genovesi nel 1931, del torinese
Andrea Minasso nel 1932 e del
libico Salem Baba nel 1952. Dopo questa vittoria un po'
inaspettata avvenuta nel 1953, l'anno dopo , cioè il 1954, tutti i
miei avversari cominciarono a prendermi le misure. Gino Cason,
il cervello della Birra Oea, ne
è l'artefice principale. Diceva
a tutti : "Basta marcarlo stretto, fatelo
innervosire". "Cesarone" Cenghialta,
Giacomo Vella, entrambi compagni di
Cason, ed Emilio Perrotta fecero
presto ad apprendere la lezione
ed ad ogni gara mi marcavano
stretto. La lezione di Cason
arrivò ad ogni modo dopo la gara
di apertura della stagione dove
mi affermai in volata proprio su
Gino Cason e su
Emilio Perrotta. Purtroppo
subito dopo, se per un complotto o per circostanze fortuite venni
sospeso dalle gare per circa due mesi. Il motivo era che avevo
contestato alquanto vivacemente il giudice di arrivo della
Tripoli-Sabratha-Tripoli,
vinta da Cenghialta su Perrotta, in cui io sostenevo di aver battuto
e che quindi mi spettava il secondo posto.
Al ritorno in gara mi aggiudicai
il Giro dei Villaggi, battendo
allo sprint Benedetto Viscuso e
Gino Cason e poi, la
Tripoli-Jefren, relegando
alle mie spalle Cesare
Cenghialta e Gino Cason. Nella
gara successiva, la
Tripoli-Tarhuna-Tripoli, nel
finale
lasciai che Perrotta si mettesse nella volata alla ruota di
Cenghialta e poi li battei
nell'ordine. In quel momento ero
all'apice della forma mi sentivo così forte che avrei battuto
chiunque. Si era alla vigilia del Giro della Tripolitania 1954
ed ero pronto ad affrontarlo ad armi pari con il più temibile dei
miei avversari : Cesare Cenghialta. Il "Cesarone" della Birra Oea
aveva già conquistato
il titolo di campione su strada, ma oltre a lui c'erano Perrotta,
Ciccio, Cason, Vella, Viscuso, Salem Baba (il
vincitore del primo giro del
dopoguerra) che, come me,
puntavano al traguardo finale.
D. Con quale maglia correvi? Facevi
sempre parte della squadra dei Diavoli Neri?
R. Macchè questo è il punto. per ragioni che
non ho mai capito i responsabili dei Diavoli Neri decisero di
puntare tutto su Francesco Ciccio e mi lasciarono libero. In quei
giorni Rosario Susino, allora responsabile dell'UVI e che mi aveva
dato tanti consigli preziosi nel mio primo anno di preparazione, si
apprestava a varare una squadra per i colori del Circolo Italia. Il
decano del ciclismo tripolino aveva già tesserato Vincenzo Avelli,
Rosario Cavallaio e Guido Lancellotta e non gli
parve vero di poter tesserare
anche me. Avevo l'ambizione di punta decisamente al secondo
successo al Giro. Il mio grande
avversario, Cesare Cenghialta,
che era
il favorito della vigilia,
poteva,
però, contare in compagni
veramente eccezionali: Gino
Cason, Benedetto Viscuso e
Giacomo Vella.
GARE CICLISTICHE CORSE IN TRIPOLITANIA NEL 1954
CORSA |
Km |
Media |
1° classificato |
2° classificato |
3à classificato |
G.P. Apertura |
60 |
*** |
ROVECCHIO |
Cason s.t. |
Perotta s.t. |
G.P. Innocenti |
96 |
36,480 |
PEROTTA |
*** |
*** |
Tripoli-Sabratha-Tripoli |
140 |
34.794 |
CENGHIALTA |
Perotta s.t. |
Rovecchio s.t. |
G.P.Collina Verde |
97 |
34,538 |
CICCIO |
Viscuso s.t. |
Vizzini G. s-t- |
Zavia - Tripoli |
42 |
32,102 |
CENGHIALTA |
Zaied a 4'23" |
Ciccio a 5'33" |
G.P. Villa Elisa |
85 |
*** |
VELLA |
Cason s.t. |
Zaied s.t. |
Tripoli - Garabulli - Tripoli |
120 |
*** |
CENGHIALTA |
Viscuso s.t. |
Petri s.t. |
Giro dei Villaggi |
105 |
32,850 |
ROVECCHIO |
Viscuso s.t. |
Cason s..t. |
Tripoli- - Azizia - Tripoli |
105 |
37,921 |
MIGLIARINI |
Viscuso s.t. |
Facchinetti s.t. |
Tripoli - Jefren |
161 |
27,904 |
ROVECCHIO |
Cenghialta s.t. |
Cason s.t. |
Tripoli - Tarhuna - Tripoli |
185 |
29,679 |
ROVECCHIO |
Perotta s.t. |
Cenghialta s.t. |
Tripoli - Azizia - Bir Ghenen - Tripoli |
177 |
29,047 |
CENGHIALTA |
Cason a 2'40" |
Rovecchio a 2'40" |
G.P. Chiusura |
112 |
34,480 |
AVELLI |
Petri s.t. |
Cason a 53" |
Il Giro della Tripolitania cominciò il 12 novembre 1954 e la prima tappa fu la Tripoli-Zuara di 109 chilometri.
Era una tappa che ci tenevo a vincere a tutti i costi.
Zuara (non Zuwara come scrivono
oggi i nostri giornali quando
parlano delle partenze dei
clandestini dalla costa libica),
era la cittadina dove ero nato
nel 1935 e dove avevo un
grandissimo numero di
sostenitori. Invece Emilio
Perrotta mi beffò in volata.
Terzo fu Franco Grasso. Il giorno
dopo, nella Zuara-Garian, Cesare
Cenghialta staccò tutti ed
arrivò con 22" su Gino Cason e
1'10" su me . A questo punto il
Giro era praticamente finito.
Scattò la "teoria" Cason. La
Birra Oea bloccò la corsa,
marcando sopratutto me. Tappa su tappa
fu una
lotta tra me e gli
uomini della Birra Oea. A
Jefren fu primo Benedetto Viscuso.
Vinsi la quarta tappa la Jefren-Garian
con un leggero vantaggio all'arrivo su Viscuso e Gadamsi. Il
giorno dopo, mi
aggiudicai, sempre 4" anche
la Garian-Tarhuna, battendo
Cason e Cenghialta. A Cussabat
(cronometro individuale) vinse
Cenghialta. Nelle successive due
tappe ( arrivo a Misurata e ad Homs),
arrivai primo, sempre in volata. L'ultima tappa, la
Homs-Tripoli terminava sulla pista di cemento dello
Stadio Municipale".
Arrivammo in gruppo. Gli staccati erano solo una
manciata. Franco Grasso tentò il
colpaccio partendo da lontano,
Cason lo rimontò e riusci a
batterlo, io regolai il gruppone allo sprint. Purtroppo la tattica
del "biondino" (Gino
Cason) funzionò. La squadra della Birra Oea conquistò i
primi tre posti della classifica
finale, nell'ordine Cenghialta, Viscuso e Cason.
GIRO DELLA TRIPOLITANIA
CORSA |
Km |
Media |
1° classificato |
2° classificato |
3° classificato |
Tripoli - Zuara |
109 |
26,069 |
PEROTTA |
Rovecchio s.t. |
Grasso s.t. |
Zuara - Garian |
198 |
27,877 |
CENGHIALTA |
Cason a 22" |
Rovecchio a 1'10" |
Garian - Jefren |
133 |
****** |
VISCUSO |
Avelli a 39" |
Cason a 39" |
Jefren - Garian |
73 |
35.999 |
ROVECCHIO |
Viscuso a 4" |
Gadamsi a 4" |
Garian - Tarhuna |
153 |
39.083 |
ROVECCHIO |
Cason a 4" |
Cenghialta a 4" |
Tarhuna - Cussabat |
37 |
44.911 |
CENGHIALTA |
Cason a 32" |
Avelli a 56" |
Cussabat - Misurata |
117 |
40.333 |
ROVECCHIO |
Cason s.t. |
Cenghialta s.t. |
Misurata - Homs |
91 |
28,575 |
ROVECCHIO |
Ciccio s.t. |
Cason s..t. |
Homs - Tripoli |
125 |
29,882 |
CASON |
Grasso s.t. |
Rovecchio s.t. |
CLASSIFICA FINALE |
1046 |
30,657 |
CENGHIALTA |
Viscuso a 2'31" |
Cason a 3'13" |
D. Furono commesse delle scorrettezze nei tuoi
confronti?
R. Assolutamente no. Ero controllato in
continuazione e per me non era facile riuscire sempre ad evadere dal
gruppo. D'altronde anche loro erano bravi.
D. Vai avanti. E poi che successe?
R. Beh anche l'anno dopo , il 1955, è pieno di
successi. Vinsi il titolo di
campione della strada, racimolai
14 vittorie tra gare in linea e tappe del Giro. Mi vidi
assegnato, da una giuria di
giornalisti, il titolo di
Ruota d'Oro dell'anno. Nello
stesso anno venni selezionato e
partecipai con la nazionale
libica al Giro Ciclistico
d'Egitto. Insieme a Cesare
Cenghialta, altro italianissimo,
portai in alto i colori libici. "Cesarone"
vinse una stupenda tappa ad
Alessandria; io arrivai
ben tre volte secondo, a Giza
(Il Cairo), Port Said ed
Alessandria. Per la verità a
Giza avevo vinto in volata, ma
la giuria, molto casalinga,
aveva preferito assegnare la
vittoria ad un atleta di casa.
D. Quando hai pensato di passare al professionismo?
R. Ci stavo arrivando. Nel 1956,
consigliato dal C.T. degli
azzurri Guido Costa, andai a
correre in Italia. Vinsi
tre gare in linea (Macerata,
Porto Recanati e Sinigaglia).
Nell'Ancona-Pescara
arrivai
secondo dietro Pambianco (in
fuga), battendo in volata Ercole
Baldini (poi Campione del
Mondo) ed il gruppo. Lo
stesso anno partecipai ai
campionati italiani su pista al
Vigorelli di Milano. Mi
cimentai sia nell'inseguimento
che nella velocità. Arrivai quarto in
tutte e le due le specialità. Al
termine della stagione tornai a
Tripoli, perchè pensavo il
ciclismo professionistico non era "adatto" a me o forse perchè
io non ero "adatto" al ciclismo professionistico.
D. Aspetta un attimo, Renato. Spiegati meglio. Che
vuol dire che non eri "adatto"? Già alla prima stagione avevi vinto
delle gare, avevi battuto il Campione del Mondo, Ercole Baldini, in
volata e mi dici che non eri "adatto". Tu non me la racconti
giusta.
R. Vuoi sapere la verità? Però Domenico non voglio
creare polemiche. Quello che ti dico ti sembrerà assurdo,
considerando che a quei tempi non correva tanto denaro come ora nel
ciclismo professionistico italiano. Beh, ti dirò che venni a sapere
che alcuni corridori professionisti facevano largo uso di
simpamina e di
metedrina. Proprio a
proposito di queste droghe, un mio zio, Gaspare
Renda, fratello di mia madre, che era tra l'altro medicoe viveva in
Italia un giorno mi venne a trovare e mi parlò a
quattrocchi. So che sei un ragazzo orgoglioso, dipende solo da te,
non c'è la farai mai a stare ai vertici se non farai uso di sostanze
dopanti. Avrei dovuto fare una scelta non solo etica, ma anche di
salute fisica. Mi disse che se volevo campare a lungo avrei dovuto smettere di
correre. Seguì il
suo consiglio e non mi pento mai di averlo fatto. Tornai a Tripoli
inventandomi la scusa del mal d'Africa o quella che i
brasiliani chiamano saudade, per giustificare il
mio improvviso ritorno. Per fortuna trovai subito un impiego presso la compagnia
petrolifera
Total, dove feci il
cartografo. Nelle ore libere
tornai a pigiare sui pedali.
Vinsi alcune gare, riuscendo ad
aggiudicarmi il titolo di
Campione su strada delle
Tripolitania. Poi smisi di
correre, ma non mi allontanai per
molto tempo dal mondo del
ciclismo. Il responsabile della
squadra ciclistica della Polizia
della Tripolitania, il capitano
Mohamed Gedi, mi chiamò ad
allenare i suoi ragazzi. Da un
ristretto numero di volenterosi
feci emergere due ottimi atleti:
Reghei e Zintani. Quest'ultimo,
per le sue doti fisiche ed atletiche, forse avrebbe potuto emergere
anche in Italia. Il resto è storia che conosci già.
Concludo questa intervista con una riflessione.
Anche Renato è d'accordo che troppi errori di ciclisti ingenui e
inesperti hanno devastato e stanno distruggendo la parte visibile al
grande pubblico di uno sport bellissimo , sacrificante e accessibile
a tutti. Penso che non ci si dovrebbe mai soffermare a piangere per
coloro che sbagliano (anzi andrebbero severamente puniti), che con
il loro comportamento intaccano tutta la categoria. Bisogna pensare
invece a coloro che, soffrendo, allenandosi, sudando e piangendo
hanno trasformato questo sport in qualcosa di grande, di forse, ora
più che mai, addirittura commovente per quello che ci ha sempre dato.
>>>