Renato Rovecchio, un campione di ciclismo di altri tempi

Una intervista al telefono

Tripoli 1955 - Renato Rovecchio, con la maglia  della nazionale libica

 

<<< L’altro giorno, sfogliando uno dei vecchi numeri dell'Oasi (n° 2/2005 - Maggio - Agosto 2005) , mi è capitato di leggere  un articolo scritto da Vincenzo Rovecchio, che ha per titolo, Renato Rovecchio, dal pallone al pedale. Finito di leggerlo mi è venuta l'idea di contattare per telefono il diretto interessato, il protagonista dell’articolo, cioè Renato Rovecchio per avere maggiori dettagli sulle sue esperienze vissute in bicicletta.  Mi intrigava  conoscere meglio  i retroscena della sua vita ciclistica che  Vincenzo Rovecchio aveva descritto molto bene anche se  un po' sommariamente. Premetto che conosco Renato si da quando vivevamo in Libia, e poi siamo un po' parenti dato che  sua sorella Cristina mi viene  zia.  Infatti Cristina ha sposato un fratello di mia madre, mio zio Mario Salmeri,

Renato Rovecchio è nato il 28 settembre 1935 a Zuara , un paese di mare, che dista circa 100 chilometri da Tripoli, in direzione del confine tunisino. A pochi mesi dalla nascita Renato venne  battezzato nella piccola chiesa di Zuara città (Zuara allora si divideva in due zone Zuara marina e Zuara città). In quell'occasione Antonio Rovecchio, padre di Renato, aveva proposto  a mio nonno materno, Giuseppe Salmeri, di diventare il padrino di battesimo di Renato. Mio nonno, accolse con favore l'invito, rinsaldo quel rapporto di amicizia che già legava le due famiglie. D'altronde sia Antonio che Giuseppe facevano lo stesso mestiere, erano entrambi valenti marinai e proprietari di bastimenti,  equipaggiati per la pesca delle spugne, di cui la costa libica in quel periodo  ne era molto ricca. Nei primi anni '50, quando la pesca delle spugne non rendeva più come prima, sia  i Salmeri che i Rovecchio si trasferirono  con le loro famiglie a Tripoli, in cerca di nuovi sbocchi di lavoro.

Nell'ambiente tripolino, i due giovani cugini Rovecchio,  Vincenzo e Renato, per ragioni diverse diventarono subito  popolari. Uno, Vincenzo, l'intellettuale, era conosciuto poichè svolgeva faceva giornalista per l'unico giornale locale in lingua italiana. Il primo giornale si chiamava  Corriere di Tripoli e poi, a partire dal maggio 1960, con la gestione del dottor  Mohammed Murabet, cambiò nome  e divenne  Giornale di Tripoli. Renato invece divenne popolare per le sue notevoli doti di atleta. Salì alla ribalta ciclistica tripolina   nel 1953, quando ancora sconosciuto, riuscì  a sbaragliare uno stuolo di corridori locali già affermati, sorprendendo tutti con la sua inaspettata vittoria al Giro di Tripolitania. Nel 1954 e nel 1955 consolidò la sua fama di campione del ciclismo tripolitano. Nel 1956 andò in Italia per confrontarsi con corridori di fama mondiale, con la speranza passare professionista. Qualcosa comunque non andò per il verso giusto, perché dopo appena dieci mesi di vittorie e di confronti vinti (addirittura riuscì a battere allo sprint  l'allora campione del Mondo di inseguimento, Ercole Baldini), lasciò inaspettatamente l’Italia per ritornarsene a Tripoli.  Nel suo articolo Vincenzo Rovecchio scrive che il motivo del ritorno di Renato a Tripoli era dovuto al mal d'Africa. Leggendo l'articolo tale motivazione mi era sembrata generica, fu proprio questa la motivazione che mi spinse a contattare per telefono Renato

Nel 1957 e nel 1958, al ritorno dall'Italia, Renato  s’impiega alla Total come cartografo.  Pur lavorando continuava ad allenarsi e a correre in bicicletta, ma con sempre meno entusiasmo, tanto che nel 1959 decise di smettere di correre. Non riuscì però ad allontanarsi per molto tempo da questa sua passione così quando gli si presentò l’occasione di allenare la giovane  squadra del circolo della Polizia, accettò con entusiasmo.  Negli anni successivi  fino al 1970, anno del definitivo rimpatrio dalla Libia,  si dedicò con successo alla sua attività di impresario del mobile. Dal 1970 in poi in Italia scelse di vivere con la sua famiglia in Toscana, prima a Poggibonsi, poi a Follonica ed infine a Livorno. Negli ultimi tempi si è trasferito con la moglie Anna Longo a Nettuno, vicino ad alcuni loro parenti.

Ecco  qui sotto riportato il testo della telefonata.

 

D. Salve Renato, è parecchio che non ci sentiamo, come stai? Esci ancora in bicicletta?

R. Caro Domenico, magari potessi, darai chissà cosa per poterlo fare,  purtroppo ho un ginocchio ridotto così male, che mi riesce difficile anche camminare.

 

D. Renato, quali sono state le motivazioni che ti hanno spinto a diventare corridore?

R. Per risponderti devo cominciare a parlare di Zuara, il paese dove sono nato e dove ho vissuto fino all’età di 16 anni. Sin da piccolo aveva mostrato di avere delle buone doti atletiche. Giocavo bene al pallone, avevo resistenza nel correre, avevo persino fatto il pugile. A questo proposito ti racconto un episodio che mi è venuto in mente ora. Sai anche te che tuo zio Giovanni Salmeri, il fratello minore di mio cognato Mario, era una  bravo pugile. Bene, lui , per diletto,  insegnava ad un gruppetto di ragazzi di Zuara come tirare la boxe e fra questi c’ero anch’io. Una volta Giovanni allestì una riunione per tutti noi ragazzi della categoria juniores in cui si dovevano disputare degli incontri a puro scopo dimostrativo. A me capitò un giovane  libico, nero di carnagione, ben  piazzato  e dicevano , con molto talento.  Francamente avevo un po’ di paura, perché pur sapendo che doveva essere solo un’esibizione non volevo far brutta figura. Senza volerlo nel corso del primo  round dell’incontro,  durante uno scambio di colpi ravvicinato,  lo colpì al volto facendolo sanguinare. La sua reazione di rabbia fu immediata perché cercò di colpirmi ripetutamente senza riuscirci. Sia l’arbitro che tuo zio, che era il mio secondo,  dovettero dividerci prima che  l’incontro finisse in rissa. Nel 1951 all’età di 16 anni andai a vivere a Tripoli con la mia famiglia per trovare lavoro. Da un punto di vista economico  per la Libia non erano tempi buoni, il petrolio non era stato ancora scoperto ed il boom economico doveva ancora arrivare. Mentre ero alla ricerca di un lavoro avevo cominciato a frequentare il cortile della Scuola dei Fratelli Cristiani di Sciara Afgani. Giocando al pallone in quel  cortile mi notò Fratel Arnaldo, un eccezionale talent- scout, capace di  capire chi aveva la stoffa del campione e chi no. Immediatamente mi inserì nella formazione titolare della prima squadra de La Salle. In questa formazione oltre a me, c’erano altri giocatori di cui ricordo qualche nome: Monreale, Munzone, Marcello Rovecchio (mio cugino), Corazzina, Jozia junior, Aldo Muratori, Giovannino Moro e Luigi Fontebasso. La nostra compagine, La Salle A, guidata da Fratel Arnaldo  partecipava al  campionato tripolino dell’annata calcistica 1951/52.  Oltre alle squadre italiane locali, come il S. Camillo, il San Francesco e l’Antoniana partecipavano anche squadre arabe di grosso calibro, come l’Ittihad, l’Ahly e e la Medina.

 

D. Scusa se ti interrompo Renato, ma quando è che sei diventato corridore?

R. Tutto è cominciato per caso. Era un tiepido pomeriggio d'inverno e, sotto l’occhio vigile di Fratel Arnaldo, noi ragazzi de La Salle stavamo disputando  una partitella allo Stadio Municipale tra le nostre formazione di A e di B, in preparazione di una importante partita contro la famosa squadra libica Ittihad. Questo stadio oltre ad avere  un campo di calcio era anche un  velodromo, con un anello di cemento circolare. Questa pista serviva ai ciclisti che dovevano allenarsi per le gare da pistards  e per tutti quelli che preferivano non allenarsi su strada. Era una bella pista di cemento , costruita molto bene, liscia e scorrevole come un biliardo. Quel pomeriggio allo stadio vennero ad allenarsi  anche gli azzurri  della nazionale italiana della pista e della strada guidati, allora, rispettivamente dal Direttore Tecnico, Guido Costa e dal preparatore  romano Luigi Proietti. Ogni anno, alla vigilia della nuova stagione ciclistica italiana e internazionale, Guido Costa (tunisino di nascita e tripolino di adozione) e Luigi Proietti  portavano a Tripoli il fior fiore dei pedalatori italiani (dilettanti) della pista e della strada. C’erano i più bravi corridori italiani di quel periodo:  Maspes, Sacchi, Moretti, Perona, De Rossi, Massina, Ciancola, Zanotti, Gaiardoni, Pinarello, Morettini e tanti altri come i professionisti Harris, Bartali, Corrieri, Gerardine, Kebaili che preferivano svernare a Tripoli. Naturalmente di fronte a tutti questi mitici atleti, Fratel Arnaldo con il suo fischietto fermò il nostro gioco e disse che la nostra partitella d’allenamento doveva concludersi per dare posto ai ciclisti appena arrivati. Dopo che tutti ci eravamo premurati di chiedere autografi  e mentre io mi accingevo a lasciare il campo, per andare negli spogliatoi per fare la doccia, uno di quel gruppo, che poi seppi si chiamava Proietti ed era il preparatore atletico della nazionale italiana di ciclismo,  mi si avvicinò e mi disse : " Ragazzo, con le gambe che hai è meglio che lasci il calcio e sali in bicicletta." In un primo momento ci rimasi un po' male  specialmente  che quella frase era stata detta da un personaggio così famoso. Non avevo capito  bene se mi volesse prendere in giro oppure se fosse stato  un complimento. Non gli risposi neppure e me tornai negli spogliatoi sotto la doccia con la testa confusa. Il giorno dopo, senza ragionarci sopra più di tanto, ma quasi guidato più dal cuore che dalla mente, andai nel negozio di biciclette di Attardi in Via Lazio e, con i miei pochi risparmi, mi comprai  una bicicletta da corsa di seconda mano. In quel momento mi sentii come se avessi toccato il cielo con un dito. Inforcai la bicicletta e cominciai a pedalare, verso la Stadio Municipale per seguire l'allenamento degli azzurri. Durante una pausa dell'allenamento mi avvicinai al  corridore romano Luciano Ciancola, fresco campione del mondo dei dilettanti su strada, e gli chiesi un autografo. Luciano, non solo mi diede l'autografo, ma fu anche molto cordiale e disponibile nei miei confronti,  tanto che mi presentò a tutti gli altri uomini di Costa e Proietti. Con mia sorpresa fui invitato da Costa e Proietti stessi ad unirmi ai loro atleti per allenarmi. Primi della "passeggiata" Ciancola mi prese sotto la sua protezione sistemandomi la bici e spiegandomi come stare in sella. Fu così che entrai nel ciclismo. Da quel giorno cominciai ad allenarmi quotidianamente, chilometri e chilometri di pedalate, come se avessi dovuto recuperare tutto il tempo perduto nel fare altri sport. Quello era lo sport che più si confaceva alla struttura del mio fisico ed io vi ero finalmente approdato.

 

D. Con quale squadra ti sei accasato? Chi ti ha sponsorizzato?

R. Anche quella è un'altra storia. Sai che mio cugino Vincenzo era giornalista e lavorava come caporedattore al Corriere di Tripoli. Vincenzo aveva saputo della mia decisione di lasciare il calcio e di dedicarmi al ciclismo e mi aveva seguito in alcune corsette fatte tra noi ragazzi,  tanto che si era reso subito  conto che io avevo la stoffa del campione e che avevo bisogno di una squadra che mi assecondasse. In quel periodo la  Pibigas, società che distribuiva gas in bombola, per farsi conoscere sul mercato tripolino stava investendo molto in pubblicità. Chi aveva l'esclusiva della Pibigas per la Tripolitania era Mohamed ben Barka, un giovane sveglio ed intelligente,  amico di Vincenzo.  Un giorno chiese a Vincenzo di dargli una mano nel campo della pubblicità e gli propose, tra l'altro, di formare una squadra ciclistica di allievi con me e qualche altra giovane promessa. Fu così fondata la Società Ciclistica Pibigas.  Vincenzo pensò subito a me, e subito dopo, ad affiancarmi,  giunsero altri tre ciclisti Vito Casubolo, Ermanno Montaperto e Gino Indelisano. Quell'anno, il 1953, il ciclismo tripolino contava, nelle file dei dilettanti, atleti di valore come Benedetto Viscuso, Vittorio Contarino, Benito Lizio, Vittorio Consolandi, Rino Borraso ai quali si aggiunsero, nel giro di qualche mese, Jolando Facchinetti, Viscuso junior, Gobbi e Franco Grasso. Il mio esordio avvenne nella gara di apertura della stagione 1953, la Tripoli-Castel Benito-Suani- Tripoli. Corsa open, cioè aperta ad allievi e dilettanti. Riuscì ad aggiudicarmi la gara con facilità ed anche i più scettici cominciarono a scommettere sulle mie qualità. Infatti nella stessa stagione mi impose in altre sei gare ed in tre prove di campionato, conquistando il titolo di campione della Tripolitania allievi. L'evento "clou" della stagione ciclistica era il Giro della Tripolitania riservato ai dilettanti. Tutte le squadre cercavano di rafforzarsi. I Diavoli Neri, che avevano in Francesco Ciccio l'uomo di punta, cercavano un'atleta che gli facesse da valido gregario e puntarono su di me. Mohamed ben Barka, responsabile della mia squadra Pibigas,  non voleva assolutamente mollarmi.  Erano giorni difficili per tutti e a me sarebbe piaciuto fare il salto di categoria. I dirigenti dei Diavoli Neri, il Presidente Rizzo ed il responsabile della squadra ciclistica Orlando Di Blasi, cari amici di Vincenzo, premettero per ottenere il nullaosta per tesserarmi. Alla fine riuscirono a convincere il Ben Barka, così io ebbi il nulla-osta per presentarmi alla partenza con i nuovi colori. Quell'anno entrai subito in forma. Malgrado fossi partito come gregario riuscì ad aggiudicarmi il Giro della Tripolitania a soli diciotto anni.

D. Hai vinto tutte le gare?

R. No assolutamente, vinsi una sola gara e le tappe, che erano in totale otto, furono combattute dall'inizio alla fine. Emilio Perrotta ne vinse tre, mentre le altre quattro le vinsero Giovanni Migliarini, Giuseppe Vizzini, Francesco Ciccio e Benedetto Viscuso. La lotta per la conquista della maglia bianca, il colore del primato in classifica, non fu da meno: la prima maglia la indossò Perrotta, poi Migliarini, che la cedette a Ciccio, e questi se la vide portare via da me. Portando la maglia bianca al traguardo finale di Tripoli,  aggiunsi il mio nome nell'albo d'oro dei vincitori del Giro della Tripolitania a quelli di Genovesi nel 1931, del torinese Andrea Minasso nel 1932 e del libico Salem Baba nel 1952.   Dopo questa vittoria un po' inaspettata avvenuta nel 1953, l'anno dopo , cioè il 1954, tutti i miei avversari cominciarono a prendermi le misure. Gino Cason, il cervello della Birra Oea, ne è l'artefice principale. Diceva a tutti : "Basta marcarlo stretto, fatelo innervosire". "Cesarone" Cenghialta, Giacomo Vella, entrambi compagni di Cason, ed Emilio Perrotta fecero presto ad apprendere la lezione ed ad ogni gara mi marcavano stretto. La lezione di Cason arrivò ad ogni modo dopo la gara di apertura della stagione dove mi affermai in volata proprio su Gino Cason e su Emilio Perrotta. Purtroppo subito dopo, se per un complotto o per circostanze fortuite venni sospeso dalle gare per circa due mesi. Il motivo era che avevo contestato  alquanto vivacemente il giudice di arrivo della Tripoli-Sabratha-Tripoli, vinta da Cenghialta su Perrotta, in cui io sostenevo di aver battuto e che quindi mi spettava il secondo posto. Al ritorno in gara mi aggiudicai il Giro dei Villaggi, battendo allo sprint Benedetto Viscuso e Gino Cason e poi, la Tripoli-Jefren, relegando alle mie spalle Cesare Cenghialta e Gino Cason. Nella gara successiva, la Tripoli-Tarhuna-Tripoli, nel finale lasciai che Perrotta si mettesse nella volata alla ruota di Cenghialta e poi li battei nell'ordine. In quel momento ero all'apice della forma mi sentivo così forte che avrei battuto chiunque. Si era alla vigilia del Giro della Tripolitania 1954 ed ero pronto ad affrontarlo ad armi pari con il più temibile dei miei avversari : Cesare Cenghialta. Il "Cesarone" della Birra Oea aveva  già conquistato il titolo di campione su strada, ma oltre a lui c'erano Perrotta, Ciccio, Cason, Vella, Viscuso, Salem Baba (il vincitore del primo giro del dopoguerra) che, come me, puntavano al traguardo finale.

 

D. Con quale maglia correvi?  Facevi sempre parte della squadra dei Diavoli Neri?

R. Macchè questo è il punto. per ragioni che non ho mai capito i responsabili dei Diavoli Neri decisero di puntare tutto su Francesco Ciccio e mi lasciarono libero. In quei giorni Rosario Susino, allora responsabile dell'UVI e che mi aveva dato tanti consigli preziosi nel mio primo anno di preparazione, si apprestava a varare una squadra per i colori del Circolo Italia. Il decano del ciclismo tripolino aveva già tesserato Vincenzo Avelli, Rosario Cavallaio e Guido Lancellotta e non gli parve vero di poter tesserare anche me. Avevo l'ambizione di punta decisamente al secondo successo al Giro. Il mio grande avversario, Cesare Cenghialta, che era il favorito della vigilia, poteva, però, contare in compagni veramente eccezionali: Gino Cason, Benedetto Viscuso e Giacomo Vella.

 

GARE CICLISTICHE CORSE IN TRIPOLITANIA NEL 1954

CORSA Km Media  1° classificato 2° classificato 3à classificato
G.P. Apertura 60 *** ROVECCHIO Cason  s.t. Perotta  s.t.
G.P. Innocenti 96 36,480 PEROTTA *** ***
Tripoli-Sabratha-Tripoli 140 34.794 CENGHIALTA Perotta s.t. Rovecchio s.t.
G.P.Collina Verde 97 34,538 CICCIO Viscuso  s.t. Vizzini G. s-t-
Zavia - Tripoli 42 32,102 CENGHIALTA Zaied a 4'23" Ciccio a 5'33"
G.P. Villa Elisa 85 *** VELLA Cason s.t. Zaied s.t.
Tripoli - Garabulli - Tripoli 120 *** CENGHIALTA Viscuso s.t. Petri s.t.
Giro dei Villaggi 105 32,850 ROVECCHIO Viscuso s.t. Cason s..t.
Tripoli- - Azizia - Tripoli 105 37,921 MIGLIARINI Viscuso s.t. Facchinetti s.t.
Tripoli - Jefren 161 27,904 ROVECCHIO Cenghialta s.t. Cason s.t.
Tripoli - Tarhuna - Tripoli 185 29,679 ROVECCHIO Perotta s.t. Cenghialta s.t.
Tripoli - Azizia - Bir Ghenen - Tripoli 177 29,047 CENGHIALTA Cason a 2'40" Rovecchio a 2'40"
G.P. Chiusura 112 34,480 AVELLI Petri s.t. Cason a 53"

 

 Il Giro della Tripolitania cominciò il 12 novembre 1954 e la prima tappa fu la Tripoli-Zuara di 109 chilometri. Era una tappa che ci tenevo a vincere a tutti i costi.  Zuara (non Zuwara come scrivono oggi i nostri giornali quando parlano delle partenze dei clandestini dalla costa libica), era la cittadina dove ero nato nel 1935 e dove avevo un grandissimo numero di sostenitori. Invece Emilio Perrotta mi beffò in volata. Terzo fu Franco Grasso. Il giorno dopo, nella Zuara-Garian, Cesare Cenghialta staccò tutti ed arrivò con 22" su Gino Cason e 1'10" su me . A questo punto il Giro era praticamente finito. Scattò la "teoria" Cason. La Birra Oea bloccò la corsa, marcando sopratutto me. Tappa su tappa fu una lotta tra me e gli uomini della Birra Oea. A Jefren fu primo Benedetto Viscuso. Vinsi la quarta tappa la Jefren-Garian con un leggero vantaggio all'arrivo su Viscuso e Gadamsi.  Il giorno dopo,  mi aggiudicai, sempre 4" anche la Garian-Tarhuna, battendo Cason e Cenghialta. A Cussabat (cronometro individuale) vinse Cenghialta. Nelle successive due tappe ( arrivo a Misurata e ad Homs), arrivai primo, sempre in volata. L'ultima tappa, la Homs-Tripoli terminava sulla pista di cemento dello Stadio Municipale". Arrivammo in gruppo. Gli staccati erano solo una manciata. Franco Grasso tentò il colpaccio partendo da lontano, Cason lo rimontò e riusci a batterlo, io regolai il gruppone allo sprint.  Purtroppo la tattica del "biondino" (Gino Cason)  funzionò. La squadra della Birra Oea conquistò i primi tre posti della classifica finale, nell'ordine Cenghialta, Viscuso e Cason.

 

 

GIRO DELLA TRIPOLITANIA

CORSA

Km

Media

1° classificato

2° classificato

3° classificato

Tripoli - Zuara

109

26,069

PEROTTA

Rovecchio  s.t.

Grasso s.t.

Zuara - Garian

198

27,877

CENGHIALTA

Cason a 22"

Rovecchio a 1'10"

Garian - Jefren

133

******

VISCUSO

Avelli a 39"

Cason a 39"

Jefren - Garian

73

35.999

ROVECCHIO

Viscuso a 4"

Gadamsi a 4"

Garian - Tarhuna

153

39.083

ROVECCHIO

Cason a 4"

Cenghialta a 4"

Tarhuna - Cussabat

37

44.911

CENGHIALTA

Cason a 32"

Avelli a 56"

Cussabat - Misurata

117

40.333

ROVECCHIO

Cason s.t.

Cenghialta  s.t.

Misurata - Homs

91

28,575

ROVECCHIO

Ciccio s.t.

Cason s..t.

Homs - Tripoli

125

29,882

CASON

Grasso  s.t.

Rovecchio s.t.

CLASSIFICA FINALE

1046

30,657

CENGHIALTA

Viscuso a 2'31"

Cason a 3'13"

 

D. Furono commesse delle scorrettezze nei tuoi confronti?

R. Assolutamente no.  Ero controllato in continuazione e per me non era facile riuscire sempre ad evadere dal gruppo. D'altronde anche loro erano bravi.

 

D. Vai avanti. E poi che successe?

R. Beh anche l'anno dopo , il 1955, è pieno di successi. Vinsi il titolo di campione della strada, racimolai 14 vittorie tra gare in linea e tappe del Giro. Mi vidi assegnato, da una giuria di giornalisti, il titolo di Ruota d'Oro dell'anno. Nello stesso anno venni selezionato e partecipai con la nazionale libica al Giro Ciclistico d'Egitto. Insieme a Cesare Cenghialta, altro italianissimo, portai in alto i colori libici. "Cesarone" vinse una stupenda tappa ad Alessandria; io arrivai ben tre volte secondo, a Giza (Il Cairo), Port Said ed Alessandria. Per la verità a Giza avevo vinto in volata, ma la giuria, molto casalinga, aveva preferito assegnare la vittoria ad un atleta di casa.

 

D. Quando hai pensato di passare al professionismo?

R. Ci stavo arrivando. Nel 1956, consigliato dal C.T.  degli azzurri Guido Costa, andai a  correre in Italia.  Vinsi tre gare in linea (Macerata, Porto Recanati e Sinigaglia). Nell'Ancona-Pescara arrivai secondo dietro Pambianco (in fuga), battendo in volata Ercole Baldini (poi Campione del Mondo) ed il gruppo. Lo stesso anno partecipai ai campionati italiani su pista al Vigorelli di Milano. Mi cimentai sia nell'inseguimento che nella velocità. Arrivai quarto in tutte e le due le specialità. Al termine della stagione tornai a Tripoli, perchè pensavo il ciclismo professionistico non era "adatto" a me o forse perchè  io  non ero "adatto" al ciclismo professionistico.

 

D. Aspetta un attimo, Renato. Spiegati meglio. Che vuol dire che non eri "adatto"? Già alla prima stagione avevi vinto delle gare, avevi battuto il Campione del Mondo, Ercole Baldini, in volata e mi dici che non eri "adatto". Tu  non me la racconti giusta.

R. Vuoi sapere la verità? Però Domenico non voglio creare polemiche. Quello che ti dico ti sembrerà assurdo, considerando che a quei tempi non correva tanto denaro come ora nel ciclismo professionistico italiano. Beh, ti dirò che venni a sapere che alcuni corridori professionisti facevano largo uso di simpamina e di metedrina. Proprio a proposito di queste droghe,  un mio zio, Gaspare Renda, fratello di mia madre, che era tra l'altro medicoe viveva in Italia un giorno  mi venne a trovare e mi parlò a quattrocchi. So che sei un ragazzo orgoglioso, dipende solo da te, non c'è la farai mai a stare ai vertici se non farai uso di sostanze dopanti. Avrei dovuto fare una scelta non solo etica, ma anche di salute fisica. Mi disse che se volevo campare a lungo avrei dovuto smettere di correre.  Seguì il suo consiglio e non mi pento mai di averlo fatto. Tornai a Tripoli inventandomi la scusa del mal d'Africa o quella che i brasiliani chiamano saudade,  per giustificare il mio improvviso ritorno. Per fortuna trovai subito un impiego presso la compagnia petrolifera Total, dove feci il cartografo. Nelle ore libere tornai a pigiare sui pedali. Vinsi alcune gare, riuscendo ad aggiudicarmi il titolo di Campione su strada delle Tripolitania. Poi smisi di correre, ma non mi allontanai per molto tempo dal mondo del ciclismo. Il responsabile della squadra ciclistica della Polizia della Tripolitania, il capitano Mohamed Gedi, mi chiamò ad allenare i suoi ragazzi. Da un ristretto numero di volenterosi feci emergere due ottimi atleti: Reghei e Zintani. Quest'ultimo, per le sue doti fisiche ed atletiche, forse avrebbe potuto emergere anche in Italia. Il resto è storia che conosci già.

 

Concludo questa intervista con una riflessione.  Anche Renato è d'accordo che troppi errori di ciclisti ingenui e inesperti hanno devastato e stanno distruggendo la parte visibile al grande pubblico di uno sport bellissimo , sacrificante e accessibile a tutti. Penso che non ci si dovrebbe mai soffermare a piangere per coloro che sbagliano (anzi andrebbero severamente puniti), che con il loro comportamento intaccano tutta la categoria. Bisogna pensare invece a coloro che, soffrendo, allenandosi, sudando e piangendo hanno trasformato questo sport in qualcosa di grande, di forse, ora più che mai, addirittura commovente per quello che ci ha sempre dato.

>>>