Amarcord - Tripoli

I tre alberi della mia infanzia

 

Corrado Salemi, ieri e oggi

          Ci sono tre diversi tipi di alberi che sono stati protagonisti della mia infanzia tripolina. L’albero di limone del giardino dei Salemi. L’albero di acero  del giardino degli Zocco. L’albero di gelso del giardino dei Marino. Su tutti tre ho giocato e vissuto i momenti più belli e spensierati della mia infanzia. Mi ricordo che durante quei  torridi pomeriggi estivi tripolini stavamo acquattati come scimmie su questi alberi, carichi di foglie verdi , che ci riparavano dal sole cocente e ci fornivano una piacevole frescura.  Avevo circa sette o otto anni quando mi arrampicavo con Corrado Salemi su quel nodoso albero di limone del suo giardino. Lui, piu’ grande di me di circa sei anni, avendo più esperienza su come salire senza farsi male,  mi consigliava  su quale ramo appoggiarmi e su quale evitare di metterci il mio peso  per non cadere. Corrado aveva spesso  con sè un   coltellino  che utilizzava per togliere la buccia ai limoni dell'albero. Con un abile giro di polso, staccava un limone dell'albero,  lo tagliava in quattro e poi lo succhiava. Qualche volta li mangiava condendoli con un po’ di sale. Io lo guardavo con curiosità cercando di scrutare l'espressione del suo viso dopo aver succhiato l'aspro liquido del limone,  ma stranamente riusciva a restare  imperturbabile senza mostrare in viso alcuna smorfia di disgusto.  Il profumo dei fiori di limone, quasi simile a quelle dell' arancio,  mi e’ sempre rimasto piaciuto. E' uno di quegli odori che mi da un senso di benessere e di felicità, forse perchè mi fa ricordare i tempi belli della mia infanzia.

 

 

Rosaria Zocco, ieri  e oggi

                    Su l’albero del giardino degli Zocco, giocavo con Rosaria, che ha la mia stessa eta’. Fino a quando avevo circa dieci anni ho passato molti pomeriggi giocando con Rosaria all’ombra di quel suo enorme albero di acero . Ci divertivamo a giocare con le tenere foglie verdi, che, una volta strappate,   le avvolgevamo, e  poi ci soffiavamo  dentro usandole come fischietto. Giocavamo a chi faceva il fischio più acuto. E  che fischi venivano!  Stavamo bene insieme. Solo, quando imbruniva, scendevamo dall’albero per andare a desinare  (continua).

 
 

Giovanna Marino, ieri e oggi

              Anche l'albero di gelso della famigliaMarino ha una sua storia. Nel nostro quartiere l'unico posto più adatto per giocare  le nostre partite di pallone era la strada sterrata, in Via Vittorio Bottego, dove abitavano i miei amici Ninni e Ginetto Arena, Mario e Roberto Imperatore, Michelino e Giulietto Chiarelli, Pino e suo cugino Rino Braca. Noi, ragazzi, avevamo trasformato quella  strada nel nostro campo di calcio preferito,  anche perchè ci passavano poche macchine e quindi era considerato anche dai nostri genitori  un posto sicuro perchè noi ci potessimo  giocare. Questa strada era delimitata alle  estremità  da due ingressi che noi chiamavamo archi,  anche se erano stati costruiti  a forma rettangolare. Noi usavamo  quegli archi come porte del nostro improvvisato campo di calcio, mentre il resto della strada era il nostro campo di calcio.  Le dimensioni della strada, pardon del nostro campo di calcio,   erano dieci x ottanta metri , quindi un campo stretto e lungo.  Da un lato di questo fantomatico campo c'erano le abitazioni, quindi porte e finestre, delle famiglie Arena, Imperatore, Chiarelli, Braga etc.  mentre dall'altro lato c'era un muro, alto non più di due metri e venti, che per noi ancora ragazzi appariva immenso ed altissimo. Purtroppo non c'era nessuna rete di protezione, quindi, uando la nostra cara  palla andava oltre questo muro,  inevitabilmente finiva nel giardino dei Marino. Ed allora cominciavano i nostri guai. A dir la verità, questo più che un giardino ero spazio, abbastanza disordinato, adibito dal signor Marino ad uso officina.  C'erano diverse macchine incidentate, in attesa di essere rottamate, che servivano probabilmente  per il recupero dei pezzi di ricambio. Quando la palla per errore, superava il muro e finiva in questo spazio, era nostro compito recuperarla. A turno, salivamo sul muro, poi, visto che l'albero aveva dei grossi  rami sporgenti a portata di mano , li utilizzavamo per arrivare al tronco e poi dal tronco scendere giù a terra.  Solo in questo modo riuscivamo a recuperare la nostra palla. Questo albero di gelsi, produceva gelsi bianchi e gelsi scuri, quindi in realtà erano due alberi, che erano stati innestati.  Quando avevamo un più di fortuna scivolavamo  giu’ furtivamente dall’albero, senza farci notare dal terribile cane da guardia dei Marino. Era un grosso cane dal pelo bianco, era un incrocio tra un pastore tedesco ed un cane arabo, lo tenevano quasi sempre legato al muro con una catena, ma di notte lo lasciavano libero, per  fare la guardia all'officina. Il pallone purtroppo cadeva abbastanza spesso in quel giardino-officina. Col tempo avevamo imparato ad essere ultra efficienti e veloci nel recuperare la nostra preziosa palla di calcio.  Sembravamo delle scimmie, saltavano da un ramo all'altro ed  usavamo anche i tetti delle auto rottamate per atterrare.  Col  cane  senza catena  nessuno si azzardava ad entrare nel giardino, ci avrebbe sbranati all'istante. In quel caso, eravamo costretti allora a  bussare alla porta dei Marino e chiedere, a chi veniva a d aprire, con il nostro miglior sorriso di recuperarci la nostra palla. Ricordo con simpatia la famiglia Russo. Mi ricordo Giovanna, che aveva qualche anno meno di me e con cui ho giocato da piccolo proprio su quell'albero di gelso. Suo padre, utilizzando bene i rami più grossi,  le aveva costruito  un piano dove lei ci portava le sue bambole per giocarci.