LA STANZA DI ROBERTO NUNES VAIS

Roberto Nunes Vais

reminescenze tripoline
di
roberto Nunes Vais





ANNI ZERO:

LA LIBIA PRIMA DELL'OCCUPAZIONE ITALIANA

CAPITOLO I - Paragrafo 2

Commerci  -    Comunicazioni  -    Il  centro  della  città  -     Vita  culturale - L '«Eco di Tripoli» -   La prima scuola italiana -   I divertimenti.

 

Una  piccola  cit  addormentata.    Poche  migliaia  di abitanti,  per lo più arabi, ma con una comunità  ebraica  assai numerosa  e piccoli nuclei europei:  7 o 800 ita liani e qualche  centinaio  di greci e maltesi.

La città  era tutta  racchiusa  nel breve cerchio  delle mura  spagnole  che la circondavano  non  solo dalla parte  di terra,  ma anche su due lati verso il mare.  Al di fuori delle mura  una piazza sabbiosa  ed alcune piste con qualche fabbricato  sparso per abitazioni:  l'ardire  era stato  grande  di andare  a costruire  cosi fuori  città,  e fu proprio  in una di queste case (dove tanti  anni dopo doveva installarsi  il Ristorante Piemontese,  con i tavoli  apparecchiati   sulla lunga  terrazza  al primo  piano)  in cui vide la luce il redattore  di queste brevi note.

Tripoli non aveva porto nè banchine,  ad eccezione di qualche pontile in legno. I rari piroscafi  che si fermavano  erano appena  protetti  contro  i marosi dalle scogliere ad ovest della città,  sulle quali erano  state costruite  dai turchi  due piccole murate, appena  sufficienti ad accogliere piccoli bastimenti  e qualche barca da pesca. Il paese viveva dei prodotti  (carne, latte,  frutta  e verdura)  delle campagne sparse nelle vicine oasi, di qualche commercio,  e dell'esportazione   dello sparto,  una graminacea  molto richiesta  in Europa  per la fabbricazione  della carta.

Il commercio principale  era costituito  dallo scambio di prodotti  con la Nigeria. Si importavano   a Tripoli  penne di struzzo,  zanne di elefante  e pellami vari.  Questi venivano trasportati   a mezzo di grandi  carovane  di cammelli che pare impiegassero sei mesi per percorrere  la distanza  da Kano a Tripoli,  ed altri sei mesi per tornare  a Kano,  carichi  di stoffe  di cotone  (il «mahmudi»),  di perline colorate,  e di piccole conchiglie che venivano utilizzate dalle popolazioni  del centro Africa come moneta l'avorio   e le penne  di struzzo  venivano  a Tripoli  selezionati,  imballati  e spediti principalmente  sul mercato  di Londra,  da dove venivano poi in parte istradati  verso Parigi,  New York,  ecc. Le comunicazioni  terrestri  anche con la Tunisia  e con i pic coli centri della Tripolitania,  avvenivano  pure per carovana.  Quelle marittime  erano irregolari,  con qualche piccolo piroscafo  italiano  o francese, che trasportava  merci e passeggeri  per Malta,  Siracusa, Tunisi e Marsiglia.  Il  servizio  postale,  di conse guenza era del tutto  saltuario;  presso i Consolati  Italiano  e Francese erano  state installate delle cassette nelle quali venivano  inserite le lettere in arrivo per le principali ditte commerciali  del paese.

Il centro  di Tripoli  era costituito  dalla piazzetta  del Banco di Roma  (g presente da qualche  decennio)  piazzetta  intorno  alla quale era raccolto  il nucleo com merciale  e sociale della città:  u, n paio  di banche  (il Banco di Roma,  appunto,   e la Banca  Ottomana)   quattro  o cinque  consolati, uffici e bazars.  Intorno  alla piazza

c'erano  anche  la bella chiesa di S. Maria  degli Angeli,  costruita  nel 1870, il tozzo fabbricato   delle prigioni,  ed il grande  «Caffè  Centrale»,  che era effettivamente   il centro  della vita cittadina.

I miei nonni,  mio padre  ed i miei fratelli maggiori andavano  a farvi la partitina a carte,  o al biliardo, ad incontrare  gli amici o a godersi il passeggio; nel pomeriggio il caffè era anche frequentato  dalle signore con i loro ingombranti  abiti, ed i loro bei cappelli  a larghe  falde,  guarniti  di frutta  o di piume  di uccelli rari,  e muniti  della immancabile  veletta che tanta  grazia e mistero forniva ai bei volti femminili. La vita culturale  era molto imitata,  tutta  concentrata  in un teatrino  di forse dieci metri per venti, che ospitava  niente di meno che delle brevi stagioni liriche: una moderna orchestra  occuperebbe  forse oggi tutto  lo spazio riservato  al pubblico, ma i nostri  avi si accontentavano   di pochi strumentì... Gli attori provenivano da Malta - dove le cose le facevano sul serio, essendovi alla Valletta un magnifico teatro  con  una grande  tradizione  musicale - per cui si racconta  che come  cantanti non ci fosse nulla da ridire. Ogni tanto faceva capolino  anche qualche  compagnia  di prosa  italiana,  ma erano avvenimenti  straordinari   di cui poi si parlava  per anni ...

Usciva quotidianamente,   già in quell'epoca,   un simpatico  giornaletto  a quattro pagine,  in lingua italiana:  «L'Eco  di Tripoli».  Ne era «Direttore-Proprietario» un certo  Gustavo  Arbib, ed aveva la propria redazione ed amministrazione,   in piena regola, in  via  Giama  Mahmud. Portava  grandi  avvisi  pubblicitari   del  Banco  di Roma, del Fernet Branca, del Sapone Banfi e di altri prodotti  italiani di allora .... e di oggi!

Come studi la città offriva  ben poco: alcune scuole coraniche per i mussulmani; una scuola dell' Alliance Israelite per bambini  ebrei; i bambini italiani  dovettero  at tendere  l'arrivo  di un maestrino  di Pitigliano  (Orvieto),  quel Giannetto  Paggi  che negli Anni  80 fondò  la prima  scuola elementare  italiana  a Tripoli,  «precorritore della fede d'Italia  nella Libica Terra»,   come poi attestò  la lapide  posta  dalle nostre autorità sulla Scuola Roma dopo la sua morte,  avvenuta  nel 1916. Giannetto  Paggi, un nome  venerato  da  p  generazioni  di tripolini,   che in  lui  trovarono   un sicuro maestro  ed un padre  severo ma affettuoso. 

 

Alle vestigia romane i tripolini  davano poca  importanza:   l'Arco  di Marco  Aurelio  era seminterrato  e nel suo vasto interno si era installato  un droghiere, certo Ghennisc, che faceva ottimi affari  con le comunità greca e malte se che abitavano  in quei paraggi.

E come si divertivano  i nostri  avi? Qualche festa in famiglia per fidanzamenti, matrimoni,  nascite o comunioni;  qualche scampagnata nell'oasi,  i giovani a dorso di asinello e le signore su eleganti calessini, con immancabili  foto  di gruppo  prima  di rientrare a casa.  I bagni  di mare venivano  organizzati  separatamente:   le donne la mattina  fino   alle dieci,  gli  uomini   per il resto   della  giornata,    comodoni   e prepotenti ... Qualche  balletto  al circolo  maltese,  dove ogni tanto  suonava un'or chestrina improvvisata,  qualche veglione straordinario  nel succitato teatrino. Niente sport:  ma del resto in quell'epoca  anche in Europa  di sport  se ne faceva pochino. Come ultima dimora i Cattolici venivano posti a riposare sulla collinetta di fronte al mare,  dove poi sorgerà il Monumento  ai nostri Caduti.

Ecco,   questa   era  la  Tripoli   «ante   litteram», una cittadina provinciale  con appena qualche  tocco  di mondanità,  un piccolo mondo chiuso in se stesso, un modo  di vivere  senza  slanci  e senza  fantasie.  La vita vi scorreva  comunque  serena  e tranquilla, ben lontana dall'immaginare  i futuri  sviluppi ed i fasti cui l'avrebbero condotta in pochi anni la nostra capacità  organizzativa, la nostra  volontà e - soprattutto - il nostro  amore.

  




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