Per una giornata il dramma degli ebrei
profughi dai paesi arabi ha ritrovato
voce e racconto. Per un giorno questa
vicenda ormai secolare, che ha visto
l’espulsione di oltre un milione di
persone dal Marocco, dall’Egitto,
dall’Algeria, dalla Tunisia, dalla Libia
e da tanti altri luoghi ancora, è
tornata all’attenzione collettiva.
Grazie alle iniziative promosse a Roma
da Justice for jewish from arab
countries (Jjac), realtà internazionale
di cui l’UCEI è parte, se n’è parlato
alla commissione Affari esteri della
Camera, in un incontro con i principali
media e in un evento aperto alla
cittadinanza al Palazzo della cultura.
Ma il percorso non si esaurisce qui
perché l’obiettivo è ben più ambizioso
di una generica sensibilizzazione
dell’opinione pubblica. “Vogliamo che la
storia degli ebrei profughi dai paesi
arabi sia raccontata nella sua interezza
e che su questa vicenda si possano
finalmente ristabilire verità e
giustizia”, dice infatti Victor Magiar (nell’immagine),
consigliere UCEI, egli stesso
protagonista, bambino, di una drammatica
fuga dalla Libia narrata pochi anni fa
nel romanzo E venne la notte (Giuntina).
Punto di partenza di questo nuovo inizio,
un documento programmatico che ha visto
la luce proprio nell’incontro romano. -
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Per una giornata il dramma degli ebrei
profughi dai paesi arabi ha ritrovato voce e
racconto. Per un giorno questa vicenda ormai
secolare, che ha visto l’espulsione di oltre
un milione di persone dal Marocco,
dall’Egitto, dall’Algeria, dalla Tunisia,
dalla Libia e da tanti altri luoghi ancora,
è tornata all’attenzione collettiva. Grazie
alle iniziative promosse a Roma da
Justice for jewish from arab countries
(Jjac), realtà internazionale di cui l’
UCEI
è parte, se n’è parlato alla commissione
Affari esteri della Camera, in un incontro
con i principali media e in un evento aperto
alla cittadinanza al Palazzo della cultura.
Ma il percorso non si esaurisce qui perché
l’obiettivo è ben più ambizioso di una
generica sensibilizzazione dell’opinione
pubblica. “Vogliamo che la storia degli
ebrei profughi dai paesi arabi sia
raccontata nella sua interezza e che su
questa vicenda si possano finalmente
ristabilire verità e giustizia”, dice
infatti Victor Magiar , consigliere UCEI,
egli stesso protagonista, bambino, di una
drammatica fuga dalla Libia narrata pochi
anni fa nel romanzo
E venne la
notte (Ed.Giuntina). Punto di
partenza di questo nuovo inizio, un
documento programmatico che ha visto la luce
proprio nell’incontro romano.
Victor, quali sono le possibili
prospettive d’azione?
Il documento, su cui vi è stato consenso
unanime, ci impegna a porre il tema degli
ebrei profughi dai paesi arabi all’opinione
pubblica internazionale affinché sia
considerata con la dovuta attenzione nelle
trattative di pace per il Medioriente.
L’accostamento con la questione palestinese
è quasi scontato, anche se si tratta di
vicende storiche molto diverse.
Il paragone con i palestinesi scatta
immediato. E ce ne siamo resi conto anche
nell’incontro con la commissione Affari
esteri della Camera. La relazione però non è
simmetrica e questo va spiegato. I
palestinesi sono profughi perché vittime di
un conflitto bellico. Gli ebrei furono
invece costretti a lasciare i paesi arabi
ben prima della nascita dello Stato
d’Israele e della guerra. I primi pogrom nel
nord Africa avvengono infatti tra la fine
dell’Ottocento e i primi del Novecento.
Qual’è dunque il rapporto con il
mondo palestinese?
Non vi è alcun rapporto conflittuale.
Vogliamo solo che la storia degli ebrei dei
paesi arabi ritrovi la sua verità e abbia il
giusto peso nelle trattative internazionali.
Un aspetto che ha trovato grande
attenzione in questi giorni riguarda i beni
culturali.
Nei paesi arabi la presenza ebraica è
plurimillenaria. Vi sono dunque cimiteri,
sinagoghe, musei e edifici dal valore
storico e affettivo incommensurabile. Uno
dei nostri obiettivi è riuscire a tutelare
questo straordinario patrimonio attraverso
una serie d’accordi con i singoli governi.
Un compito non facile.
Assolutamente no. Anche perché la questione
si pone in modo molto diverso da paese a
paese, anche in relazione alla maggiore o
minore persistenza della popolazione ebraica.
La fuga degli ebrei dai paesi arabi
ha riguardato oltre un milione e mezzo di
persone. Eppure, malgrado la sua entità,
questa vicenda è ancora poco conosciuta. Per
quali motivi?
E’ una storia finora raccontata da pochi per
molteplici motivi. Il nostro esodo ha
raggiunto il culmine alla fine degli anni
Quaranta, quando il mondo andava prendendo
coscienza della Shoah. Davanti a
quell’immensa tragedia la nostra sembrava
una storia minore. Un altro aspetto riguarda
il nostro atteggiamento. Fuggendo dai paesi
arabi siamo infatti andati verso la libertà,
verso l’Europa o Israele. E qui, pur
conservando la memoria del passato, abbiamo
guardato al futuro costruendoci una nuova
vita. Sotto quest’aspetto il nostro essere
profughi è stato profondamente diverso
dall’esperienza palestinese. L’aver relegato
in secondo piano la storia dei profughi
ebrei dal mondo arabo dipende infine dal
fatto che l’elaborazione di questa perdita
così dolorosa ha richiesto un suo tempo
storico.
E’ un dolore ormai pacificato?
Fino a un certo punto. Noi ebrei abbiamo
abitato per secoli in Libia, in Algeria, in
Marocco e in altri paesi in città
cosmopolite in cui le lingue, le religioni,
le culture e le usanze si mescolavano in
armonia e con grande apertura mentale. A
Tripoli nella mia classe c’erano bimbi arabi,
italiani, francesi, inglesi, greci,
jugoslavi … Era un mondo plurale oggi
scomparso, distrutto per sempre dal
nazionalismo arabo, dal panarabismo e dal
panislamismo. E questo ancor oggi continua a
farci soffrire fin nel profondo.