La stanza di Roberto Longo

Roberto Longo

Sessanta anni fa, accadde

          Una volta era un modo di dire molto diffuso; oggigiorno non si usa più, sarebbe illogico. Fino ad alcuni decenni fa, infatti, frasi del genere: "Adesso ci vado e faccio un macello!" oppure, "Non me ne parlare ... successe il finimondo! ", venivano espresse nei seguenti toni: "Adesso ci vado e faccio un quarantotto" e ''Non me ne parlare ... successe il quarantotto! ". Ovviamente il "quarantotto" cui si faceva riferimento non era l'anno 1948 ma la forma abbreviata per indicare quello di un secolo prima, il 1848, quando in Europa e soprattutto in Italia, si ebbero numerosi sanguinosi moti rivoluzionari e cruenti sconvolgimenti politici, tali, da rendere quell'anno sinonimo di caos, parapiglia, trambusto, putiferio.

        Ma anche sessant'anni fa ci fu un "quarantotto" da ricordare perché fu un anno ricco di avvenimenti soprattutto per la nuova Italia che tentava di imitare la Fenice. Dopo essersi costruita la pira con l'infausta decisione di entrare in guerra, cercava di rina­scere dalle sue ceneri più bella e splendente.

         L'anno era già iniziato sotto cattivi auspici. Il 30 gennaio era stato assassinato Gandhi, il fachiro nudo, come lo chiamavano gli Inglesi con ironia e disprezzo. Apostolo della non violenza, cadeva per mano di un fanatico a cui, evidentemente, non era riuscito a trasmettere i suoi nobili principi. Fu opera di un singolo. Niente complotti e niente vendette postume dell'Inghilterra cioè della nemica di sempre.

Mahatma Gandhi (1869 - 1948) 

         Nell'aprile del 1948, in Italia, si svolsero le elezioni politiche. Le prime con la nuova Costituzione, le prime del dopoguerra e le prime in perfetta libertà anche se probabilmente condizionate da fattori "esterni". Inizialmente nulla era scontato anzi l'esito si presentava incerto e la probabilità che al Governo andassero "i rossi" non era del tutto infondata. La campagna fu furi­bonda. Oggi, guardando le foto d'epoca, si possono leggere dai manifesti propagandistici moniti e slogan che fanno sorridere. Ad esempio: "Ricordati! Dentro la cabina, Stalin non ti vede. Dio sì! " Nonché quelli di tutti gli schieramenti politici, nessuno escluso, che avevano in comune solo il prospettare oscuri oriz­zonti, inevitabili, a loro dire, se avessero vinto gli altri.

          Tuttavia a pochi giorni dalla consultazione, si ebbe la sensazione che De Gasperi ce l'avrebbe fatta.

Alcide De Gasperi (1881-1954)

Ma il giorno dopo, la percentuale di consensi che separò i due più grossi partiti in lizza fu una grande sorpresa anche per gli attenti osservatori politici. Lo scrutinio, si disse, dette la vittoria "ai preti". Soliti sospetti di brogli ma, poi, alla sconfitta democraticamente accettata, si cercò di dare delle spiegazioni: "Sono stati i soldi promessi dagli Americani!". "Hanno fatto uscire persine le suore di clausura!". "Hanno dato il voto alle donne e ... le donnette si sa ..." Dal 1946, il voto era stato reso obbligatorio. Chi non votava si trovava l'annotazione sulla fedina penale ed avrebbe avuto difficoltà nell'ottenere un posto di lavoro statale o autorizzazioni e licenze dagli Enti Pubblici. Non era la prima volta che le donne venivano chiamate alle urne. Prima delle elezioni del 1948, avevano votato per il referendum istituzionale (Monarchia o Repubblica) e per la Costituente. E un saggio di elezioni libere si era già avuto in marzo e nell'aprile del 1946 per le Amministrative. In maggio del 1948 si riunì il primo Parlamento e primo Presidente venne eletto Luigi Einaudi, una vera fortuna per l'Italia. Veniva dalla Presidenza della Banca d'Italia dove aveva fatto molto bene. Il risultato delle elezioni, favorì l'arrivo dei soldi degli Americani in esecuzione del Piano Marshall aiuto vitale per la nuova Italia e per mezza Europa.

Luigi Einaudi (1874-1961)

        Tutto sembrava andare per il meglio e stava iniziando la ricostruzione che avrebbe portato il Paese al miracolo economico, al boom degli anni '50. Intanto qualcuno aveva "motorizzato" le biciclette inventando il "cucciolo", il piccolo motorino che agiva direttamente sul copertone della ruota posteriore. In Francia la Citroen lanciava la 2 CV. Era abbastanza brutta ma ne venderanno 5 milioni di esemplari.

Biciclette - Il cucciolo Citroen 2 CV.

         Il 14 Luglio, però, il gesto di un fanatico, Antonio Pallante, avrebbe potuto generare un quarantotto con conseguenze gravissime ed altrettanto cruente come quelle di cento anni prima. Sarebbero state per l'Italia forse più in­fauste della guerra perduta e della successiva guerra civile. Pallante aveva affrontato Togliatti sparandogli quattro colpi di rivoltella. Tre andarono a segno ma, pare a sua insaputa, i proiettili che si era procurato avevano l'anima "dolce" atti più a ferire che ad uccidere. Erano del tipo allora in dotazione alla polizia americana. La notizia si diffuse in un baleno. Grandi manifestazioni di piazza, tumulti cruenti, scontri a fuoco con la polizia che purtroppo causarono una ventina di morti e molti feriti, sciopero generale ad oltranza. Molti andarono a recuperare le armi non consegnate dopo il 25 Aprile del 1945 e tenute tutte ben oleate ed in perfetto stato. Lo scoppio di una guerra civile, di un altro "48", sembrava inevitabile.

Antonio Pallante subito dopo l'arresto Palmiro Togliatti (1893-1964)

         Ma il giorno successivo all'attentato Gino Bartali scalando prima il Col di Var e poi, da grande campione. l’Izoard. tagliò in solitario il traguardo di Briancon portandosi a 51" da Bobet e mettendo un'ipoteca sul Tour che avrebbe poi vinto trionfalmente. Si disse che questa impresa sportiva (allora il ciclismo era popolare quanto il calcio se non di più), distolse la tensione causata dal grave fatto e riuscì a riunire entusiasmo e nazionalismo sotto un'unica bandiera. Così, come il gesto scellerato di un singolo aveva portato la gente inferocita in piazza trascinando l'Italia alla soglia di una guerra civile, la grande impresa sportiva di un altro aveva portato la gente in piazza ma era una folla gioiosa, unita e affratellata in una vittoria di tutti.

Gino Bartali (1914-2000)

Probabilmente invece a scongiurare il peggio, fu una serie di circostanze fortunatamente favorevoli. Innanzi tutto la bravura del Prof. Valdoni coadiuvato dall'altrettanto celebre suo collega Cesare Frugoni, che salvò la vita a Togliatti

Pietro Valdoni (1900-1976)

. L'interrogatorio e le indagini che appurarono che Pallante aveva agito da solo, che non c'era stato alcun complotto, nessun tentativo di annientare il movimento politico avversario. Lo studente avellinese verrà condannato a dieci anni ma dopo cinque tornerà in libertà. Inoltre, lo stesso Togliatti, dimostrando un grande senso di responsabilità, dal letto dell'ospedale aveva ammonito i dirigenti del partito con uno "state calmi, non perdete la testa: Calma, calma, non facciamo sciocchezze". Al ministero degli Interni, c'era Mario Scelba che ristabilì l'ordine anche se dovette ricorrere a mezzi energici e drastici. L'abilità politica di De Gasperi che desiderando ristabilire l'ordine senza umiliare nessuno, considerò pubblicamente sciopero e disordini "come una spontanea manifestazione di sdegno e di dolore". Parlò con Di Vittorio che fu molto saggio e responsabile e si lasciò convincere a sospendere lo sciopero alla mezzanotte del 16 luglio. Ma soprattutto l'Unione Sovietica. Un telegramma di Stalin pubblicato immediatamente sull'Unità esprimeva indignazione, rammarico e nulla più.  La Russia rispettava gli accordi di Yalta e la Cortina di ferro restava al di là dell'Adriatico.

Mario Scelba Giuseppe Di Vittorio Stalin

          I disordini che interessarono tutte le piazze soprattutto quelle del cosiddetto triangolo industriale, causarono, come su detto, diverse vittime e molti feriti, ma poi prevalse in tutti il buon senso ed il desiderio di far risorgere la Fenice. Le dispute tra rossi e bianchi, tra proletari e "preti" al di fuori del dibattito democra­tico furono relegate alla serie dei film di "Peppone e Don Camillo". Guareschi che già aveva "pizzicato" le due cor­renti attraverso il Candido di cui era co-fondatore, aveva con i suoi romanzi ispirato la vicenda dei due antagonisti che videro in Gino Cervi e Fernandel gli azzeccati prota­gonisti tanto da rite­nere impossibile che altri attori avrebbero potuto interpretare quei ruoli. E Guareschi attraverso  i suoi   racconti presentava un quadro abbastanza veritiero. Per una metà, il paesino della "Bassa" era il paese  di  Peppone, visto dall'altra metà era il paese di Don Camillo. Davanti ai rispettivi sostenitori, musi duri, minacce, botte ed insulti. Ma poi, di fronte alle difficoltà, allo straripamento del Po, ad altre calamità natura­li, ai problemi di tutti i giorni, tutti a difendere il paesello e sottobanco Peppone e Don Camillo arrivavano ad un logico e cosciente accordo per ricominciare il giorno successivo a picchiarsi sino a quando la loro terra, i loro paesani non si venivano a trovare di fronte ad un nuovo grave problema. Il "padre" di Peppone e di Don Camillo, raccontando la storia di quel paesello immaginario, rac­contava la realtà del Bel Paese.  

Gino Cervi - Peppone Fernandel - Don Camillo Giovanni Guareschi

        Che cosa sarebbe successo se nel 1948 non fosse prevalso il buon senso, il desiderio di far risuscitare la Fenice, di lasciar perdere le armi e rimboccarsi le maniche per la rico­struzione della democrazia prima e dell'intero Paese poi?

       Ma un altro fatto ebbe conseguenze cruente in quell'anno. Il 14 maggio 1948 il Vaad Leumì (Consiglio Nazionale) forte della de­cisione di un'Assemblea dell'ONU dell'anno prima, proclamava lo Stato di Israele.

       L'avvenimento suscitò l'inevitabile reazione del Mondo Arabo ed anche in Libia, occupata dagli Alleati e sotto Amministrazione Britannica, ci furono manifestazioni, devastazioni e gravi inci­denti, alcuni purtroppo mortali.

        Ci sarebbe da dire: "meno male che c'è un 48 ogni cento anni!". Ma non si può più, perché da sessant'anni, ogni anno, in qualche parte del mondo scoppia una guerra e tutti gli anni si chiudono con lutti e distruzioni.

        Forse per questa ragione non si usa più dire: faccio un quarantot­to o successe un quarantotto! Sarebbe illogico.

Roberto Longo