La stanza di Roberto Longo

Roberto Longo

Con i vicini di casa ed i loro amici, abbiamo creato un piccolo gruppo. Oltre a scambiarci inviti a cena, organizziamo gite sia culturali che gastronomiche con ovvia preferenza per le seconde, almeno dal mio punto di vista.

Il gruppo è consolidato e da molto tempo non ci sono nuovi “adepti” per cui ho finalmente finito di spiegare e chiarire abitudini, usanze e tradizioni, soprattutto per quanto concerne il matrimonio in Tripolitania.

Scherzosamente, infatti, mi si chiedeva quanti “cammelli” mi fosse costata mia moglie ed il perché ne avessi una sola quando, beato io secondo loro, ne avrei potuto avere, per esempio, una decina.

Scherzosamente ...mi si chiedeva quanti “cammelli” mi fosse costata mia moglie...

Ho detto “scherzosamente” perché sapevano benissimo che non ero musulmano, ma fermamente convinti che tale religione prevedesse sia “l’acquisto” della moglie, come di un qualsiasi oggetto al mercato, che un numero illimitato delle stesse. Qualcuno, alle mie precisazioni e quindi alle mie secche smentite, per nulla convinto, mi ha detto stizzito: “Ma anche la guida marocchina, l’anno scorso, ci ha detto che sua moglie l’aveva pagata 10 cammelli e che stava rastrellando tutti i cammelli della zona per crearsi un harem!”. Qualche altro si è subito associato citando guide tunisine, egiziane e turche.

In effetti, al termine di un’escursione a Saqqàra, in Egitto, chiesi alla guida, in arabo, in modo che gli altri non comprendessero, il motivo per cui avesse detto tutte “quelle balle” parlando delle tradizioni musulmane del suo Paese. Mi rispose che ai turisti piaceva la storia dei cammelli e mi ricordava il divertimento che l’argomento aveva generato.

Durante il viaggio, infatti, il gioco era stato il valutare il “costo” di tutte le turiste presenti sul pullman, con grande divertimento delle stesse soprattutto di una signora anziana la quale era stata valutata un cammello zoppo!

“Ed io non ti sposo!”. Gridò fingendosi offesa. “Sarà tuo padre a decidere, non tu”. “Ma io non ce l’ho più”. “Allora deciderà il tuo procuratore!”.

Ed era seguita la spiegazione da parte della guida. Non spettava alla donna scegliersi il marito, disse, ma al padre o al tutore trovargliene uno, a meno che non si trattasse di vedova o divorziata. Tutto ciò, precisò, accadeva solo nei villaggi dell’interno.

Come in tutte le “leggende metropolitane” anche in questo caso c’è un fondamento di verità. Sono stato invitato a molti matrimoni tra musulmani in Tripolitania. Ho sempre chiesto e mi sono interessato sulle usanze, costumi e liturgie. Ma soltanto dalla parte degli uomini perché all’unico invito pervenutomi da sposato, mia moglie (Ma non so parlare arabo, non conosco le loro tradizioni, non saprei come comportarmi …) non è voluta intervenire per cui non sono in grado di descrivere i festeggiamenti e le tradizioni dalla parte delle donne. È superfluo precisare che nella preparazione al matrimonio e nei successivi festeggiamenti, uomini e donne formavano due gruppi nettamente separati. Quanto segue, inoltre, si riferisce agli anni ’50 ed inizi anni ’60 per cui, molto probabilmente, molte usanze saranno nel frattempo cambiate e la modernità avrà notevolmente offuscato le antiche tradizioni e, per certi versi, forse è un peccato. Già in occasione dell’ultimo invito ho potuto intravedere per qualche istante la sposina in un bellissimo abito bianco con relativo velo e lo sposo in abito occidentale di ottima fattura.

In molti Paesi, per disposizione di Legge, sono anche scomparse, da qualche tempo, le “spose adolescenti” perché l’età matrimoniale è stata elevata ai diciotto, vent’anni. In alcune famiglie, attualmente, si tiene conto anche del parere della ragazza mentre, in passato, ogni decisione anche di natura economica spettava al padre e le sue decisioni impegnavano la … “volontà” della figlia.

Scrivo al presente ma, per i mutamenti avvenuti nel frattempo, sarebbe più giusto usare il passato.

Innanzi tutto, il matrimonio in età giovanile è quasi un obbligo, in modo da evitare libertinaggio e malcostume. Normalmente è il padre che decide quando il figlio debba sposarsi ma ove non dovesse provvedere, al giovane desideroso di formare una famiglia resterebbe o l’attesa o confidare il suo desiderio ad un parente o alla madre. I figli, anche raggiunta la maggiore età, non si permettono di fumare in presenza del padre, non alzano mai la voce, non pranzano con lui anche perché il capo famiglia mangia sempre da solo o con eventuali ospiti. Assolutamente evitano frasi scabrose e quindi anche di manifestare la volontà di sposarsi, desiderio che, in un certo senso, potrebbe sottintendere il sesso. La Sciaria permette di avere quattro mogli contemporaneamente. In teoria, un musulmano può contrarre un numero illimitato di matrimoni ma per sposarsi la quinta volta, dovrà prima divorziare da una delle quattro in modo da essere marito di un massimo di quattro mogli. Due sono le possibili motivazioni che molti secoli fa suggerirono tali permissioni. Una di ordine religioso: la procreazione e quindi una maggior diffusione della religione, l’altra, lo squilibrio, tra popolazione femminile e popolazione maschile, creato dalle numerose e sanguinose guerre, al tempo delle conquiste dell’Islam. Un modo quindi per “maritare” tutte le donne in caso fossero in superiorità numerica rispetto agli uomini. Non bisogna dimenticare che per le donne arabe, non trovare marito, è quasi una sciagura per le stesse e per le loro famiglie. Negli anni sessanta il proliferare di matrimoni con donne straniere, fece intervenire il Governo che pur non imponendolo per Legge, raccomandò ai libici di sposare donne libiche. Ma in Tripolitania la maggioranza degli uomini, aveva una sola moglie, al massimo due. La Sciaria pur consentendo i quattro matrimoni, ritiene sia opportuno avere una moglie sola. E la Legge prescrive anche che a ciascuna moglie sia riservato lo stesso trattamento sia economico che affettivo. Ciascuna riceverà gli stessi regali, condurrà lo stesso tenore di vita, avrà una propria stanza nella casa del marito cui è fatto anche obbligo di giacere alternativamente con tutte le mogli. Falso quindi il termine di “favorita” che deve riferirsi eventualmente a concubine ed al tempo in cui queste riempivano i palazzi dei Sultani e non certo le modeste abitazioni dei comuni mortali.

La stessa domanda che, come detto sopra, hanno fatto spesso scherzosamente a me, la proposi, ma seriamente, ad alcuni amici libici. Tutti mi risposero, alcuni probabilmente per celia, che avevano una sola moglie e che …  non ne potevano più, figuriamoci se pensavano di averne altre! In effetti non credo sia facile per il marito obbedire ai dettami della Legge circa l’uguaglianza negli affetti e nel trattamento. Così come lo è altrettanto per le mogli, anche se musulmane ferventi, accettare di dividere il marito con le altre. Gelosie, invidie e discordia tra le mogli, finiscono per creare un clima difficile e le tristi conseguenze vengono trasmesse ai figli. Essi sono i cosiddetti “Akhuan min bu” fratelli per parte di padre. In Libia, inoltre, erano molto comuni i matrimoni tra cugini con alcune limitazioni. Pertanto, un divorzio o un nuovo matrimonio, potevano essere considerati un torto, uno sgarbo, che coinvolgeva non solo la sposa ma anche i parenti della stessa che ovviamente lo erano altrettanto dello sposo. Un motivo ritenuto più che giustificato era la sterilità della prima moglie. Diventava quasi un obbligo per l’uomo sposarne un’altra. Ma la nascita di bambini, creava grande frustrazione alla prima tanto da consigliarne il divorzio.

Quando alla ricerca della sposa non provvedono la madre o le donne adulte della famiglia e ciò si verifica spesso nel caso di matrimonio al di fuori dello stretto ambito familiare, si usa dare incarico alle Khuttabat. Costoro sono donne conosciute e ritenute adatte allo scopo dai genitori del giovane. Esse si recano presso le famiglie di ceto sociale e di livello economico pari a quello dello sposo e dove sanno esserci giovanette da maritare. La ricerca comunque viene fatta quasi sempre nell’ambito della stessa cabila e quindi in famiglie legate da lontana parentela. E qui inizia un cerimoniale tendente a salvare soprattutto le apparenze. Le Khuttabat giunte senza preavviso iniziano a conversare del più e del meno facendo velatamente capire il motivo della loro visita. Le parenti della sposa fanno altrettanto e con una scusa fanno vedere la ragazza ma con nonchalance. Durante la visita, far capire l’interesse alla ragazza per eventuale matrimonio e le mosse successive della famiglia che, capendo benissimo, fa in modo di mostrare la sua congiunta, devono scivolare come se nulla fosse. Perché se le Khuttabat non faranno sapere più nulla in quanto non particolarmente soddisfatte della ragazza, per la famiglia di quest’ultima non sarà un’offesa perché non sarà successo nulla e le apparenze e la forma sono state salvate. “Le donne sono venute per chiedere la ragazza? E chi l’ha detto, abbiamo bevuto il tè insieme e basta, una visita di cortesia e buon vicinato”. Le Khuttabat dimenticheranno l’incontro e non potranno mai dire i motivi per cui la ragazza non sia loro piaciuta. Se invece la visita ha esito soddisfacente, il padre dello sposo chiederà al padre della ragazza se intende sposare la figlia. Anche questo primo approccio è fatto con discrezione, come se nulla fosse, in quanto il padre potrebbe rifiutare il consenso e far sposare la figlia ad un altro pretendente. Il primo non si riterrà offeso perché anche in questo caso si sono rispettate riservatezza ed apparenze (… ho scherzato … non dicevo sul serio … ).

Se come accade nella maggioranza dei casi, la risposta è affermativa, allora seguirà una richiesta ufficiale da parte del padre dello sposo cui seguirà un’altrettanto ufficiale accettazione da parte del padre della futura sposa che così diventa Makh-tuba (richiesta in sposa, impegnata). Ed è questa seconda richiesta che conta, in quanto, come su detto, la prima è un giro di parole per tastare il terreno e per salvare le apparenze in caso di rifiuto. Finisce così la parte più laboriosa.

Mi viene in mente un vecchio proverbio arabo molto schietto ma altrettanto crudo e cattivo. Proverbio che ha credenziali in tutto il mondo e non solo in Libia. È un rimprovero verso chi non è riconoscente ed è un monito verso coloro che si aspettano riconoscenza. Sostanzialmente dice che quando si ha bisogno di qualcosa si fa di tutto per ottenerla usando modi gentili, offrendo doni ed elogiando chi può concederla. Ma quando si ottiene il favore o la cosa tanto ambita, si ignora completamente chi l’ha data, dimenticando quanto si era detto e fatto; anzi, si accoglierà un’eventuale cattiva notizia non solo con indifferenza, ma augurando il peggio.  Il proverbio è questo:

Lamma giù iekhtubu fi-ha

Giabu el asel bir-ruani

Wa lamma mat abu-ha

Galu: ia ret ummu-ha i mut tani!

Letteralmente: “Quando sono andati a chiederla in sposa, hanno portato miele in grossi recipienti (in abbondanza). (Si sottintende che l’abbiano ottenuta perché, continua il proverbio … ) Quando morì suo padre, dissero: magari  morisse anche sua madre!”.

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Raggiunto l’accordo fra i due genitori, si dovrà stabilire l’ammontare della dote anticipata. Questa può essere in denaro, in tessuti, in abiti ed in oggetti di varia natura. Bisogna tenere presente che le donne non lavorando, non posseggono nulla e lasciano la casa paterna praticamente col solo vestito addosso. Necessitano quindi di tutto ed a tutto deve provvedere lo sposo a cui spetta anche l’onere dell’abitazione e del relativo arredamento. L’eventuale denaro versato in alternativa, servirà pertanto ad acquistare quanto necessario. Forse queste motivazioni hanno indotto a pensare che la sposa venga “comprata”. E poiché le popolazioni dell’interno, i Bawadin (Beduini), quantificano la dote in marte d’orzo, olio, tende e capi di bestiame soprattutto cammelli (leggi sempre dromedari. I cammelli esistono soltanto in Asia e nei giardini zoologici), ecco l’erronea credenza che chi … non disponga di cammelli non possa contrarre … matrimonio!

La dote anticipata resterà di proprietà della moglie anche in caso di divorzio. Ma appena concluso l’accordo sul suo ammontare, lo sposo invierà a casa della sposa un primo regalo (bà-ina). Normalmente un prezioso monile, un barracano di seta, profumi, cosmetici vari. È l’ultima possibilità per improbabili ripensamenti. Se la bà-ina è accettata, la sposa è definitivamente impegnata e non può sposare altri che non il promesso sposo. Infatti qualora dovesse successivamente rifiutare, lo sposo mancato potrà ricorrere al Qadi (giudice) o al suo incaricato (Mukhtar) il quale inviterà il padre della sposa o chi ne abbia la tutela, a ripensarci ed in caso di altro rifiuto ella non potrà più contrarre altre nozze. Si procede quindi, sempre dinnanzi al Qadi o al Mukhtar, alla stipula del contratto di matrimonio: l’aked. Esso è redatto dai rappresentanti degli sposi e contiene le generalità di quest’ultimi, stato civile e soprattutto l’entità della dote posticipata che il marito dovrà corrispondere alla donna solo in caso di divorzio. (Nessuna meraviglia: in America nei moderni miliardari matrimoni tra star o vip, da un po’ di tempo si usa far precedere il fatidico“sì” da un contrattino che prevede sostanziose “doti posticipate” in caso di divorzio). Mentre la dote anticipata è il risultato di trattative, la seconda segue normalmente regole precise e varia, come valore, da cabila a cabila È comunque notevole perché serve sia a rendere costosi i divorzi e quindi a limitarli, sia alla donna per un primo suo sostentamento. Il ritorno in famiglia, da divorziata, non è ben accetto perché del ripudio è ritenuta spesso responsabile e difficilmente troverà un nuovo marito che non sia molto anziano, quasi sempre vedovo, ed a cui finirà per fare più da badante che da moglie. Nessuno festeggerà queste nuove nozze perché le feste dell’ares hanno luogo soltanto in caso di nozze di nubili.

Siccome prima della lettura dell’aked per la firma definitiva, si usa  leggere alcuni versi del Corano, in particolare la prima sura che si chiama Fatah, la cerimonia della lettura dell’aked si chiama anche “Qira-a el Fatah”.

Ha inizio quindi una grande festa: l’ares, che si protrarrà per una settimana: da giovedì a giovedì. Parenti ed amici dello sposo non hanno bisogno di essere invitati mentre per quelli della famiglia della sposa l’invito è opportuno. Ultimamente venivano spediti costosi cartoncini di partecipazione ma in passato gruppi di donne passavano di casa in casa, si fermavano davanti alla porta dei potenziali invitati, ed iniziavano ad emettere i caratteristici trilli chiamati zagarit. Le donne dall’interno rispondevano con altrettanti trilli di gioia a significare che l’invito era stato accettato. Ma anche in questo caso, usanze, usi e costumi variano da cabila a cabila, da zona a zona. In alcune parti del Paese, infatti, i parenti della sposa ignorano completamente i festeggiamenti ed il padre rivedrà la figlia soltanto dopo un anno. Altre tradizioni, sconsigliano se non vietano addirittura i matrimoni tra Berberi ed Arabi. Sempre e dappertutto la madre vedrà la figlia soltanto dopo sette giorni dalle nozze. I Tuaregh, poi, fanno storia a sé. Mi dispiace moltissimo non aver assistito ad un matrimonio secondo le usanze di questi mitici abitanti del deserto vero.

Matrimonio tuaregh

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Il giovedì pomeriggio la sposina, preceduta da un corteo recante anche tutti i doni ricevuti da amici e conoscenti, si reca a casa dello sposo dove è accolta dai parenti di quest’ultimo ed è oggetto di riti ben augurali e di benvenuto, come ad esempio il versare acqua limpida al suo passaggio per indicarne la purezza, e di riti propiziatori per ottenere ogni bene, per rendere il più duraturo possibile il matrimonio, per avere tanti figli, soprattutto maschi, e per godere sempre di ottima salute. I Libici sono molto scaramantici. Credono potente, e quindi temono moltissimo, il malocchio (Ain Assu-i) e gli spiritelli maligni: i Ginn. Lo sposo, soprattutto, ritiene, quasi sempre, che un eventuale altro pretendente gli abbia fatto il malocchio per l’invidia e la rabbia di non essere al suo posto. E questa fissazione lo potrà condizionare psicologicamente al punto da creargli … brutti scherzi al momento della consumazione del matrimonio..

La sposa, ben truccata, ornata con gioielli e con mani e caviglie tinte con la henna, viene condotta da due ancelle di sua fiducia nella stanza nuziale e verrà preparata per la notte. Lo sposo, dopo la preghiera serale in moschea, giunge con un corteo di auto strombazzanti, insieme ad una moltitudine di amici con i quali si intratterrà in banchetti e divertimenti per tutta la settimana. Entra nella nuova casa il giovedì sera (Lail ed-dokhla) dove riceverà insieme alla sua sposa, che vede per la prima volta, un dolce. Questo è preparato da una fattucchiera, sempre per i citati motivi scaramantici. Molto più spettacolare la cerimonia dei Bawadin. La sposa arriva alla tenda del marito, su di un dromedario ben addobbato sulla cui gobba viene costruita una specie di capannina (Géh-fa o Caramud) ricoperta da preziose sete non necessariamente chiusa alla vista di terzi perché i Beduini non nascondono le loro donne.

La capannina della sposa - Gèh-fa o Caramud

Fa ali al corteo della sposa, una squadra di cavalieri che si lanciano in corse spericolate sparando in aria o volteggiando scimitarre. Corrono fra due ali di donne che emettono i famosi zagarit e sono allietati da un’orchestra di flauti e tamburi. È veramente uno spettacolo da vedere per la corsa, i superbi costumi, i fucili quasi sempre antichi e soprattutto per l’abilità dei cavalieri alcuni dei quali riescono a sparare in piedi sulle staffe dei cavalli lanciati a folle corsa.

...cavalieri alcuni dei quali riescono a sparare in piedi sulle staffe dei cavalli...

Sebbene mi dissero fosse una prassi comune, soltanto in occasione del primo invito mi capitò di vedere quel lenzuolo che viene esposto con malcelato orgoglio affinché tutti possano accertare che il matrimonio sia stato consumato in maniera tale da fugare ogni dubbio o maldicenza. A questa operazione provvedeva una donna anziana normalmente nera. (Sciusciana).

Mi dissero anche che lo sposo, intimidito da quel primo incontro, in trepidazione per le sollecitazioni che gli pervengono dal vociare degli amici che lo invitano con schiamazzi a sbrigarsi perché vogliono correre a festeggiare, psicologicamente condizionato dal timore che qualcuno gli abbia fatto il malocchio rendendolo ma-a-iun, in casi rarissimi poteva incorrere in temporanea debacle. Aggiunsero anche che era quasi impossibile che la sposina avesse qualche cosa da farsi perdonare. Ma, conclusero, qualora si fossero verificati uno dei due sfortunati casi, era impossibile barare ed inutile ricorrere a sotterfugi. La terribile Sciusciana era tanto abile che oggi potrebbe tranquillamente essere assunta a pieno diritto dai N.A.S. (Nuclei  Anti  Sofisticazioni).

L’ultima volta feci ironie e supposizioni. Non so se le ritennero sconvenienti offese o se fui additato come lanciatore di malocchio. Certo che, sarà stato un caso,  ma da allora, non mi invitò più nessuno.

Roberto Longo

(In tutto il testo, leggere sempre “ dromedari”. Non esistono cammelli in Libia. Ma il termine dromedario, proprio dei camelidi con una sola gobba, è poco usato in quanto tutti chiamano cammelli quelli che in realtà sono dromedari).

 

(Pubblicato sulla rivista “l’oasi” al n° 3/2006 – Settembre/Dicembre 2006)