La stanza di Roberto Longo

Roberto Longo

Le tre pietre

Una fiaba di   Roberto Longo

 

“Quanti anni hai, Alewua? ”. Chiese il vecchio.

“Dodici … ne ho dodici”, rispose Alì con fermezza come a rimarcare il fatto che non era più un bambino. Il vecchio, infatti, lo aveva trattato appunto come un bimbetto sin dal primo istante. Una cosa che dava tanto fastidio ad Alì era essere chiamato “Alewua”. Neanche sua madre, che stravedeva per lui essendo l’unico figlio maschio, aveva mai usato quello che, a torto, riteneva fosse un ridicolo vezzeggiativo. 

La storia delle tre pietre poi! Se non fosse stato un forestiero e se non fosse stato anziano, quelle tre pietre gliele avrebbe tirate addosso volentieri dopo aver ovviamente sghignazzato per almeno un’ora.

Per rimarcare la sua “maturità” gli aveva anche detto che quei cinquanta ovini, che poteva vedere lì al pascolo, gli erano stati affidati già da circa due anni e che riusciva a tenerli a bada nonostante gli avessero dato un cane “inetto ed incapace”. Fu quando a suo padre, che lo portava con sé da quando di anni ne aveva dieci, scapparono tre montoni che erano l’orgoglio di tutto il gregge. Quel cane che adesso gli avevano rifilato, non era stato capace di mantenerli all’interno del gregge. Alì riuscì a trovarli in un fosso nel quale erano caduti fortunatamente senza danni fisici. Ovvio che non fu abilità, ma colpo di fortuna. In ogni caso da allora il padre gli affidò quei cinquanta capi trattenendone per sé altrettanti.

Ma il vecchio continuava a chiamarlo “Alewa” a trattarlo come un bambino ed a prenderlo in giro con la storia di quelle tre pietre. La voglia di tirargliele in testa era tanta ma Alì era molto rispettoso ed un gesto così, poi, non se lo sarebbe perdonato.

Era circa mezzogiorno, Alì stava mangiando una bella ciotola di scermula che si era preparato con cura. Aveva anche un pezzo di formaggio e alcuni datteri.

Ebbe un sussulto quando alle sue spalle sentì una voce squillante: “Salam Alek, ragazzo, Scinu-halek, l’aial kullum queisin?”.  E, al termine dei convenevoli d’uso, quello sconosciuto gli aveva detto:

“Scusami tanto, saresti così gentile da indicarmi la strada per Biren, devo raggiungere la mia Cabila e mi è stato detto che attualmente è accampata nei pressi di Biren”.

Alì si girò di scatto e vide un vecchio in ottima forma anche se palesemente molto stanco,  trascurato nell’abbigliamento e con barba non rasata da giorni. Ma da dove era spuntato? Non lo aveva visto arrivare e questo lo sorprendeva perché il suo occhio da pastore era molto attento e nulla gli sfuggiva.

“Alikum essalam, ja Sidi” balbettò Alì. “Prego accomodati, siediti a mangiare con me e dopo che ti sarei riposato ti indicherò la strada”.

“Ti ringrazio, ma devo andare non vorrei che si spostassero nuovamente”.

“Non puoi andare a piedi. È troppo lontano, ci vorranno quattro, cinque ore di cammino. Ma ora siediti, mangia con me, ti prego.  Mi faresti un grande piacere”.

Fu così che il vecchio si accomodò, mangiò volentieri e fece un sacco di domande al ragazzo.

Alì capì subito di essere entrato nelle simpatie del vecchio che disse di chiamarsi Omar e non si meravigliò quando ad un certo punto, questi, gli disse:

“Alewa sei un bravo ragazzo e sei stato molto gentile con me. Meriti che io ti faccia un bel regalo”.

Terminando la frase, Omar tirò fuori dalla tasca tre pietre e gliele diede. Una era bianca, una rossa ed un’altra nera.

...Omar tirò fuori dalla tasca tre pietre...

“La pietra bianca” gli disse, “esaudirà un piccolo desiderio. La rossa uno grandissimo e la nera … beh … la nera servirà ad annullare tutto l’incantesimo ed a farti tornare al punto di partenza”.

“Ma scusa perché non le usi tu” chiese Alì alludendo al fatto che forse ne avrebbe avuto davvero bisogno.

“No, ormai sono troppo vecchio”, rispose Omar.

“Bene la prima pietra la potresti usare per ringiovanire”, disse Alì con una certa ironia che il vecchio non raccolse.

Omar aggrottò le sopraciglia e disse: “Vedi, Alewa, le tre pietre hanno grandi poteri, sono magiche, ma non possono farti ottenere quello che è impossibile. Mi spiego. Se tu chiedi ad una di queste pietre di farti diventare ricco, sarai esaudito perché è improbabile che tu lo possa diventare ma non è impossibile. Supponi per esempio che scavando un pozzo alla ricerca d’acqua, tu trovi un tesoro nascosto da qualche pirata. Potresti anche chiedere ad un’altra pietra di farti sposare quella cugina bellissima di cui mi hai parlato. È vero che è molto improbabile perché la famiglia è ricchissima e non darebbe mai una figlia in sposa ad un pastorello, ma supponi che a suo padre si presenti un pretendente indesiderato. Potrebbe dire, per non offenderlo, che sarebbe molto orgoglioso di averlo come genero ma che la figlia è già impegnata … con te, per esempio. Ovvio che non avrà detto il vero perché potrebbe aver citato il primo nome che gli sarà venuto in mente: il tuo. Se ne pentirà successivamente, ma sarà purtroppo costretto a mantenere quanto incautamente detto e te la farebbe sposare. Capisci che cosa voglio dire. Alle pietre, pur magiche che siano, non potrai mai chiedere l’impossibile come il ritornare giovani, l’immortalità, l’invulnerabilità, la piena salute in eterno!”.

“Ma che me ne faccio della pietra nera! Veramente pensi che se la pietra rossa esaudisse il più grande desiderio della mia vita, io chiederei alla pietra nera di ritornare a vestire questi cenci ed a fare di nuovo il pastore?”.

“Devi prenderle tutte e tre, Alewa. Poi userai solo quelle che vorrai. Ma soltanto una sola volta! Come vedi hanno colori vivaci, quando le userai il colore perderà la sua brillantezza e così capirai che le hai già usate e non potrai usarle una seconda volta”.

Alì prese le tre pietre e se li mise in tasca e poiché Omar non accettò i suoi ripetuti inviti a casa per la cena e per la notte, lo pregò di attendere qualche minuto: sarebbe andato al capanno dove aveva dell’altro pane, del formaggio ed anche un po’ di datteri. Omar avrebbe potuto così affrontare il viaggio fermandosi a mangiare lungo il cammino.

Mentre confezionava il sacchettino, Alì pensava  a quanto era successo. Rideva e non vedeva l’ora che il vecchio si fosse allontanato per buttare il più lontano possibile quelle pietre. La certezza che Omar si era preso giuoco di lui lo indispettiva ma era soddisfatto per come si era e si stava comportando. Si trattava di un vecchio e per di più forestiero.

Quando Alì tornò, Omar non c’era più. In quella decina di minuti, non poteva certo aver fatto molta strada, pensò Alì.

Stranamente, però, nonostante il luogo fosse interamente pianeggiante ed Alì avesse spaziato a 360°, del vecchio non c’era più alcuna traccia.

Meglio così, pensò Alì.

Tirò fuori la pietra bianca, se la mise davanti agli occhi ed alterando la voce a mo’ di grande mago ed in tono canzonatorio, disse: “Pietra, ti ordino di sistemare il gregge in modo che io possa tornare a casa senza fatica per tenerlo a bada!”.

Immediatamente pecore, montoni ed agnellini si misero in fila per quattro, neanche fossero militari in parata, pronti a seguirlo docili ed ubbidienti.

Alì rimase di stucco. Il vecchio aveva detto il vero! Si rendeva conto che la sua incredulità  lo aveva reso così stupido da sprecare la prima pietra con un desiderio così inutile! Ma non si perse d’animo: tirò fuori la pietra rossa e questa volta convinto e per nulla ironico ordinò: “Pietra! Voglio diventare ricco, il più ricco di tutti!”.

“Pietra! Voglio diventare ricco, il più ricco di tutti!”.

Ci fu tutt’intorno un gran trambusto. Ad Alì sembrò entrare in un ciclone ed improvvisamente si vide addosso vestiti di pregio con ricami d’oro. Si trovò in un palazzo sfarzoso contornato da servitori con due uomini che rispettosamente erano ai suoi piedi.

“Eccellenza” disse uno dei due. “Ci sono quei due fratelli che non vogliono pagare le tasse. Che cosa dobbiamo fare?”.

“Frustateli, imprigionateli, confiscate tutti i loro beni!”. Ordinò con ferocia Alì.

“I nostri informatori” disse l’altro “dicono che c’è del malcontento tra i vostri pastori e contadini. Vorrebbero un aumento della paga per far fronte almeno all’aumento che vostra eccellenza ha apportato al prezzo del pane.”.

“Si lamentano eh! Bene, non date loro la paga questa settimana e raddoppiate il prezzo del pane! Mi vogliono ridurre in miseria questi delinquenti!”.

Alì o meglio l’Emiro Alì diventava ogni giorno più ricco ma anche più avido e più avaro. Lo scopo della sua vita era quello di ammucchiare oro, gioielli e denaro senza tuttavia goderne i benefici. Non usciva mai per timore di essere derubato, rapito o raggirato. Mangiava modestamente per risparmiare e passava le sue giornate a contare le sue monete e nasconderle sempre in un posto diverso; un vero incubo. La notte si svegliava di soprassalto sospettando ladri immaginari. Andò avanti così per qualche tempo. Un giorno fu attratto da un grande schiamazzo che proveniva dal portone principale. Un servitore bastonava un ragazzo che chiedeva di essere portato al suo cospetto. Alì diede ordine di farlo entrare ma con mani e piedi legati.

Con grande stupore riconobbe Giuma, il piccolo Giuma suo compagno di giochi quand’era un povero pastorello. Immediatamente ad Alì ritornarono alla mente i bei tempi della sua infanzia. Quando poteva correre, giocare con gioia e spensieratezza. Allora, non aveva certo tutte quelle ricchezze ma aveva quell’unica immensa ricchezza che si chiama felicità.

“Eccellenza” balbettò tremante Giuma. “la prego, liberi mio padre, le prometto che lavoreremo per tutta la nostra vita per pagare le tasse che ci ha richiesto. Lei ha ragione, le tasse sono giuste, ma con mio padre nelle carceri come potremmo pagarle?”.

“E chi ha fatto questo a tuo padre?”.

“Eccellenza” disse sottovoce uno dei consiglieri “È stato lei ad ordinarlo. Non si lasci intenerire, sono tutti delinquenti!”. “Liberate il padre di questo ragazzo e tutti gli altri imprigionati per lo stesso motivo” ordinò Alì. Quindi si ritirò nelle sue stanze e scoppiò a piangere. Il rimorso lo tormentava, la nostalgia per il suo villaggio, per quelle piccole cose che non aveva più, lo addolorava.

Si ricordò della pietra nera, la prese e con umiltà chiese di poter ritornare quello che era prima.

Anche questa volta Alì fu avvolto in un turbine seguito da forti scossoni. Erano però quelli che suo padre dava al suo letto per farlo svegliare.

“Ti vuoi alzare sì o no! Lo sai che dobbiamo andare al mercato a vendere i nostri ovini! Se tardiamo ancora non ne venderemo nemmeno uno!”.

Alì un po’ frastornato gridò: “Ma quale mercato! Io sono l’Emiro! Dove sono i servitori! Guardie accorrete! Mi vogliono derubare!”.

 Il padre prima lo guardò stupefatto poi gli diede un sonoro ceffone.

Ma allora ho sognato! Ho sognato tutto! Certamente era stato un bel sogno, pensò Alì.

Mentre in tutta fretta si vestiva, raccontava con agitazione tutto quello che credeva aver sognato: il vecchio, le pietre, le ricchezze improvvise, il palazzo, i servitori, i desideri realizzati. Il padre l’ascoltò preoccupato guardandolo con commiserazione. Poi gli rinnovò l’ordine di sbrigarsi e di lasciar perdere i sogni. Ma quando Alì infilò la mano in tasca si accorse che c’erano tre pietre: una bianca, una rossa ed una nera. Non avevano più i colori vivaci di quando gliele aveva date il vecchio ma erano pur sempre colorate.

“Papà, non ho sognato, guarda, ecco le tre pietre!”.

“Ma sono pietre comuni! Qualcuno ti ha fatto uno scherzo o le hai raccolte tu per governare il gregge. Adesso sbrigati e smettila di dire simili stupidaggini! Le pietre che … realizzano desideri, bah! Che figlio scemo!”.

La presenza delle tre pietre nella stessa tasca dove ricordava averle messe, il fatto che i colori non fossero vivaci nonché altre strane circostanze, avevano fatto dubitare Alì. Non poteva aver sognato anche se poteva darsi che le avesse raccolte lui stesso per lanciarle a qualche pecora ribelle o che qualche suo compagno gli avesse fatto qualche scherzo come diceva suo padre. Ma non c’era tempo per rimuginare perché il cugino che li aiutava era già sulla via del mercato con una cinquantina tra montoni, pecore ed agnelli. Padre e figlio lo seguirono su due distinti asinelli. Mentre andava al mercato Alì pensava a quanto si verificava ormai da tante settimane. Solo qualche capo venduto alla metà del prezzo richiesto dal padre. Del resto gli altri, soprattutto quel loro lontano parente che al mercato era vicinissimo a loro, avevano capi migliori e molto più grassi. Quel maledetto lontano parente quando li vedeva arrivare li guardava con scherno ed aveva ragione. I montoni che insieme a suo padre portava al mercato non erano granché: questione di pascolo. Quel giorno, forse, c’era qualche possibilità di vendere qualche capo in più essendo imminente la festività dell’Aid El Kebir.

Avevano appena sistemato i capi in vendita quando da un nuovissimo barroccio scese un signore distinto e ben vestito. Si avvicinò ad Alì e disse: “Vorrei comprare questo montone, quanto vuoi?”. Alì si meravigliò che un signore così distinto si occupasse lui stesso di acquistare il montone per la festa senza delegare i suoi servitori o almeno farsi accompagnare dagli stessi e, prima di rispondere, lo guardò a lungo perché quel viso gli sembrava fosse familiare.

“Cinque dinàr, Signore, vale cinque dinàr”.

“Cinque? Per queste quattro ossa? Te ne do tre.”.

La trattativa, secondo costume, durava da una quindicina di minuti mentre Alì si chiedeva dove avesse visto prima di quel momento, quel tipo. Mah! Eppure era sicuro di averlo già incontrato. Ad un tratto intervenne il padre di Alì, Hag Mohamed che disse:

“Signore, è la nostra prima vendita e ti vogliamo accontentare vada per tre dinàr”.

Il signore, soddisfatto, disse al padre di Alì: “Ti ringrazio e ti faccio un augurio, un grande augurio: che questo primo montone sia il primo di tanti. Ti auguro di vendere tutti i capi che hai portato. Ricordati di questo augurio!”.

Il vicino, quel loro lontano parente fece un mezzo sorriso di scherno dando uno sguardo a tutti i commercianti presenti al mercato del bestiame perché sapeva benissimo che quello sarebbe stato l’unico capo ad essere venduto o meglio, svenduto, e che, come al solito, il vecchio Hag Mohamed sarebbe ritornato con tutte le sue bestie invendute, altro che augurio!

Hag Mohamed riscosse il denaro mentre Alì caricò il montone sul barroccio e salutò. Il signore sorridendo rispose al saluto: “Ma-assalama Ja Alewa!”. Alì non fece in tempo ad esultare. Il signore sollecitò i cavalli e se ne andò velocemente.

“Padre, ecco chi era quello! Ero sicuro di averlo già visto.  È il vecchio delle tre pietre. Così elegante, così ben messo, non lo avevo riconosciuto anche se dal primo istante mi sembrava di averlo già visto. L’altra volta era mal vestito, la barba trascurata … Ma sì! Era proprio il vecchio delle tre pietre!”.

Hag Mohamed si infuriò. “Ancora con la storia di queste maledette pietre! Devi finirla” e giù botte sul povero Alì.

Le grida e le urla avevano fatto accorrere molta gente. Tutti chiedevano cosa fosse successo.

“Mio figlio, il mio unico figlio maschio è diventato pazzo. È da questa mattina che va raccontando una storia di pietre, non ne posso più!”.

In breve Hag Mohamed raccontò l’accaduto. Il più vicino del gruppo, forse per stemperare un po’ il clima e calmare le ire di Hag Mohamed, chiese quanto valesse una pecora che aveva adocchiato e dopo breve trattativa la comprò. Ed un altro fece lo stesso e così un altro, un altro ed un altro ancora. Tutti i potenziali acquirenti presenti nel mercato si affollarono davanti agli ovini di Hag Mohamed e di Alì fra gli sguardi di rabbia e di invidia del famoso lontano parente vicino a loro. Tutti volevano i loro capi tanto che per gli ultimi tre, Hag Mohamed ebbe la sfrontatezza di dire frasi di questo genere, inaccettabili per gli usi e costumi locali: “Senti. Il suo prezzo è quello che ti ha detto Alì, se lo vuoi bene, se ti sembra caro, il mercato è pieno di pecore e montoni compra da altri!”.

Vendettero tutto in due ore. Il cugino che aveva condotto le bestie al mercato e che, come al solito, era in attesa per riportare il tutto indietro, se ne andò contento della lauta mancia. Padre e figlio erano allibiti! Non era mai successo! La settimana precedente ne avevano venduti due, quell’altra ancora, uno soltanto.

Montarono sui loro asinelli e ritornarono verso casa.

Hag Mohamed continuava a contare e ricontare il fascio di dinàr che aveva realizzato. Alì non poté fare a meno di dire “Hai visto, padre? È stato l’uomo delle tre pietre, il suo augurio, sono state le tre pietre! Le tre pietre! Ci credi adesso?”.

Hag Mohamed fece finta di non sentire e al colmo della gioia disse: “Sono 250 dinàr! Possiamo finalmente acquistare quel terreno di tuo zio materno. Con un acconto di 250 dinàr, non credo che farà obiezioni. Eh! Quel campo! Lì sì che c’è dell’ottimo pascolo e le bestie ingrasseranno bene!”.

“Quel terreno che ha solo tre palme?”. Domandò Alì.

“Non solo tre palme, ma anche tre ulivi e tre mandorli e sono le uniche piante. Devi sapere che il loro nonno ebbe tre figli maschi. Ogni volta che ne nasceva uno piantava una palma, un ulivo ed un mandorlo. Se riusciamo a comprarlo lo chiameremo “il campo delle tre palme” oppure “dei tre ulivi.” Che ne dici, Alì?”.

“E … se lo chiamassimo …” disse Alì lasciando la frase in sospeso.

 “Se lo chiamassimo?”. Lo interrogò Hag Mohamed.

“Se lo chiamassimo le tre pietre?”. Disse Alì molto timidamente aspettandosi la solita violenta reazione.

Questa volta Hag Mohamed guardò il figlio e scoppiò a ridere. A ridere come un matto.

Roberto Longo

Pubblicato sul notiziario “l’Oasi” nel Numero 2/2006 – Maggio - Agosto 2006