La stanza di Roberto Longo

Roberto Longo

Il Gran Premio Automobilistico di Tripoli

di   Roberto Longo

Ho 67 anni. Sono tanti, sono troppi. Ma sono pochi per poter dire con compiacimento la classica frase: “Io c’ero”.

Non ho infatti assistito allo sbarco delle auto al porto, né vissuto l’ansia della vigilia, né avuto il piacere di vedere sfrecciare i bolidi sul circuito, né sperato nella buona sorte con il biglietto della lotteria in mano.

Purtroppo devo anche dire che in tutti gli anni trascorsi in Libia, non ho mai sentito parlare né del Gran Premio né della Lotteria allo stesso abbinata. Ed è molto strano perché la corsa aveva raggiunto, alla fine degli anni trenta, una grande popolarità, era diventata un appuntamento importante per il mondo dei motori ed era stata innalzata al rango di corsa internazionale. Interrotta dalla seconda guerra mondiale, non capisco il perché non sia stata ripristinata non dico nell’immediato dopoguerra ma almeno negli anni cinquanta. Ne avrebbe guadagnato il turismo, il mondo economico che gira intorno a tali avvenimenti, il prestigio del Paese.

Invece proprio negli anni cinquanta si ritornò a parlare del circuito ma soltanto in occasione della demolizione delle parti più belle, dal punto di vista architettonico. Gli americani, che avevano alla Mellaha un’importante base aerea, decisero di abbattere le tribune perché, con i nuovi aerei a reazione, erano diventate un serio pericolo. Il circuito invece non fu distrutto e continuò ad ospitare gare di regolarità e di velocità.

Privo quindi di notizie, per poter ricordare a chi “c’era” qualche episodio del Gran Premio e per poter invece raccontare agli altri la storia, mi sono dovuto documentare. Così Giancarlo Consolandi mi ha fornito il bellissimo libro di Alberto Redaelli “Gran Premio di Tripoli” (Luigi Reverdito Editore), Gianni De Nardo ha rovistato nei suoi ricordi di impiegato alla base americana della Mellaha e Romano Bechi, involontariamente da me rattristato per il ricordo della morte del suo campione favorito Gastone Brilli Peri, mi ha fornito alcuni particolari.

La prima corsa si disputò nel 1925. Gli ideatori: Comm. Dott. Egidio Sforzini, Presidente; Cav. Rag. Arrigo Modena, Vice-Presidente; Cav. Riccardo Trozzi, Segretario; e Cav. Dott. Paolo Vassura, Cav. Uff. Antonio Varaschini, Cav. Paolo Viganò, Cav. Scialom Nahum, Consiglieri.

La chiamarono “Circuito automobilistico della Tripolitania”.

Nel 1927 il “Circuito” diventò “Gran Premio di Tripoli” per acquisire di anno in anno sempre maggior prestigio e notorietà soprattutto con la costruzione, nel 1934, dell’autodromo della Mellaha, allora all’avanguardia. Ma già dall’anno prima, il Gran Premio era stato elevato al rango di competizione internazionale.

Circuito della Mellaha

La corsa inaugurale si disputò in primavera. Qualche mese dopo gli stessi ideatori ed organizzatori fondarono l’Automobile Club di Tripoli.

Il via fu dato il 17 aprile 1925, a Tripoli, dove erano state montate le tribune per il pubblico. Il percorso, in terra battuta, di km. 71,100 da ripetersi tre volte, toccava Gasr Ben Ghashir, Suani ben Adem ed altre località. Si disputò in due prove: oltre 2000 c.c. e fino a 2000 c.c. Alla prima, parteciparono cinque macchine: tre Fiat, una Lancia ed una Cottin Desgouttes francese. Tre concorrenti furono costretti al ritiro: Mùstafa Mizran, Gaia e Babini. Vinse il tenente Trivero alla media di 72,300 chilometri orari. Il giorno successivo si disputò la gara fino a 2000 c.c. Alla partenza: nove concorrenti. Renato Balestrero su O.M., toscano ventisettenne, prese il comando dal primo giro distaccando sempre di più le altre macchine tanto da concludere alla media oraria di ben 94,496 chilometri, un vero record per l’epoca e per le condizioni della pista. Con la media ottenuta fu dichiarato vincitore del Primo Circuito Automobilistico della Tripolitania diventando contemporaneamente il primo vincitore di una gara automobilistica in terra d’Africa.

Nel 1926, cambia il percorso. Solo chilometri 26,200 ma da ripetere 16 volte con partenza ed arrivo a Sghedéida passando per Fornaj, Sidi Masri, Bab Tagiura e Suk El Giuma. Undici le macchine alla partenza divise in due classi: 1500 c.c. e 2000 c.c. Organizzatore: l’Automobile Club ed una madrina d’eccezione: la Signora Erminia De Bono, moglie del Governatore. Vinse Eysermann, il “tunisino”, su Bugatti 2000 “Grand Prix” con la bella media di 111,533 chilometri orari.

Il successo dei primi due anni, promosse il “Circuito” a “Gran Premio di Tripoli” ed inserì la corsa nel calendario automobilistico nazionale come prima prova ufficiale. Il gran salto di qualità, attirò i grossi nomi dell’automobilismo italiano. Favorite, alla partenza, sempre le “francesi” Bugatti questa volta affidate ad Emilio Materassi e Renato Balestrero. Terzo incomodo il bresciano Aymo Maggi  su Alfa Romeo. Outsider Alfieri Maserati su Maserati 1500. Tre classi: 1100 c.c. 1500 c.c. 2000 c.c. e tredici le auto partecipanti. Nella classe 1100 c.c. con una Derby, fece una buona corsa Luigi Arcangeli, già asso del motociclismo. Ma nessuno allora poteva competere con le potenti Bugatti che con i toscani Emilio Materassi e Renato Balestrero si aggiudicarono le prime due posizioni alla media di 132,080 chilometri l’ora. Il vincitore stabilì anche il nuovo record del giro a 142,737 chilometri orari.

La corsa come su detto, era diventata importante. Al quarto Gran Premio, nel 1928, parteciparono i migliori piloti e le migliori macchine ma cominciarono le prime polemiche. Un articolo del regolamento prevedeva macchine biposto con due persone a bordo o monoposto ma zavorrate con 120 chili incluso il peso del pilota. Le case automobilistiche in base a regolamento non potevano partecipare ufficialmente ma davano le macchine alle scuderie. La scuderia Materassi con due Talbot 1500 affidate a Materassi e Arcangeli avrebbe avuto grandi possibilità di vittoria ma i bolidi erano monoposto ed Emilio Materassi si rifiutò di zavorrarli adducendo che non c’era il tempo necessario per distribuire adeguatamente il peso sull’intero telaio. Inevitabile l’esclusione anche se le polemiche non mancarono. Le tre Bugatti della scuderia Nuvolari non ebbero avversari se non il caldo opprimente ed il cattivo stato del fondo stradale. Primo Tazio Nuvolari, secondo Cleto Nenzioni e terzo Achille Varzi.

Il 24 marzo 1929, il Gran Premio raggiunge la quinta edizione. Stesso percorso, stesso numero di giri ma nobilitato dalla presenza del fior fiore dell’automobilismo italiano. Assente illustre Emilio Materassi, purtroppo deceduto durante l’ultimo Gran Premio d’Italia. Favoriti Achille Varzi su Alfa Romeo 2000, Tazio Nuvolari su Bugatti 2000, Baconin Borzacchini su Maserati 1700, Luigi Arcangeli su Talbot 1502 e Gastone Brilli Peri su Talbot 1500.

Il motore della Talbot 1502 tradì Luigi Arcangeli costretto al ritiro dopo aver percorso soltanto un centinaio di metri. Anche Varzi che stava facendo una buona corsa si dovette ritirare per un guasto al motore. Via libera agli altri tre favoriti che per otto giri si alternarono al comando fra la delizia degli appassionati. E tutti e tre si fermarono ai box a metà corsa per il rifornimento. Gastone Brilli Peri ripartì per primo ma il motore si spense dopo pochi metri. Guai alle candele per la Bugatti di Nuvolari che riuscì a ripartire ma altri problemi meccanici lo tagliarono fuori dalla vittoria finale. Tutto liscio per Baconin Borzacchini a cui i guai di Brilli Peri gli avevano fatto guadagnare ben due minuti. Questo fu il tempo per far ripartire la macchina di quel diavolo di toscano, come lo ricorda il suo ammiratore Romano Bechi. Brilli Peri non si perse d’animo e deliziando gli spettatori si buttò all’inseguimento della Maserati 1700, dando dimostrazione di una guida audace e spericolata. Al tredicesimo giro, l’entusiasmante sorpasso tra gli applausi della folla. Senza nulla togliere alla bravura di Brilli Peri che si aggiudicò la corsa alla media di 133,965 chilometri orari ed ottenne il nuovo record del giro con 143,736 di media, è giusto ricordare che Borzacchini dichiarò che, negli ultimi giri, la sua Maserati aveva avuto problemi per cattiva carburazione.

Gastone Brilli Peri

Tazio Nuvolari

Nino Farina

Achille Varzi

Il 23 marzo 1930, si disputò il sesto Gran Premio di Tripoli alla presenza del governatore, maresciallo Pietro Badoglio, e di tutte le più alte autorità. Pubblico delle grandi occasioni ma grande tristezza. Il giorno prima, durante le prove, in un incidente, era morto Gastone Brilli Peri favorito della vigilia. Fu un incidente molto strano e sul quale, forse volutamente, non fu fatta mai piena luce. Un grande politico italiano ha spesso citato un detto probabilmente di ispirazione cinese: “Pensar male è un grave peccato, ma quasi sempre ci si azzecca!” Il celebre pilota era appena transitato da Bab Tagiura ed a forte andatura si dirigeva verso Suk El Giuma. La strada era diritta, abbastanza larga, e protetta dalle “tabie” i caratteristici muretti in terra battuta che delimitano i confini dei vari campi delle oasi. Gastone Brilli Peri, che conosceva bene la pista sulla quale aveva dominato l’anno prima, attraversò la piazzetta del villaggio e nell’affrontare una comoda curva sulla sinistra, incredibilmente sbandò e fu proiettato fuori dalla sua Talbot. Il pilota rimase ucciso sul colpo insieme al suo meccanico di fiducia Alfredo Vivoli. Il già citato Romano Bechi la cui famiglia era molto amica di quella di Vivoli ricorda quanto si scrisse e si disse sull’episodio. “Conoscendo l’irruenza e la volontà di vittoria di Brilli Peri, un incidente nel percorso, era un evento possibile”. Così le cronache di allora giustificarono l’accaduto, ma non sembra che sia stato chiarito ed in maniera convincente se si trattò di errore umano o difetto meccanico. Gastone era molto orgoglioso e di forti sentimenti patriottici e sembrò strano che avesse accettato di correre con ampia possibilità di successo con una macchina straniera e per lo più francese! L’amico Bechi quindi ricorda il momento storico particolare ed i forti attriti politici allora esistenti tra Italia e Francia.

Non poteva certo vincere una macchina dell’odiata Francia. Forse fu fatalità o forse gli eventuali “sabotatori”, se ce ne furono, tentarono di nuocere alla macchina non prevedendo il coinvolgimento di vite umane.

Ma siccome the show must go on la gara fu disputata lo stesso e con le nuove regole: due batterie di selezione ed una di finale. Due altri incidenti gravi ma senza conseguenze: Toti perse una delle ruote posteriori ed uscì di strada; Gola riuscì in tempo a fermarsi: la cinghietta si era rotta ed il cofano si era alzato di scatto togliendogli completamente la visuale! Vinse Baconin Borzacchini su Maserati ad oltre 146 chilometri l’ora con nuovo record sul giro: 150,189 chilometri orari.

Per la settima edizione bisognerà aspettare il 1933. La grave crisi economica innescata dal crollo della Borsa di Wall Street del 1929, aveva attraversato l’Atlantico coinvolgendo tutta l’Europa. Nel 1931 il Gran Premio di Tripoli era diventato “internazionale” ma per mancanza di fondi non fu disputato. Stessa sorte nel 1932. Ma, si dice, il bisogno aguzza l’ingegno ed il sagace Presidente dell’Automobile Club il comm. Egidio Sforzini, ispirandosi alla Lotteria ippica irlandese, ebbe la brillante idea di organizzare una lotteria abbinata al Gran Premio.

Dedotti premi e spese avrebbe dovuto finanziare i costi dell’evento sportivo. Ottenuta la legittimazione da un Decreto Reale, fece stampare i biglietti e fu il primo a meravigliarsi del successo, reso concreto da ben 15 milioni d’incasso. L’euforia suggerì allora la costruzione di un vero e proprio autodromo ma non si fece in tempo perché il 7 maggio 1933 il settimo gran premio in veste internazionale prese il via. Nuovo il percorso: 13 chilometri e 100 metri, lo stesso del nuovo autodromo in costruzione e prima edizione della lotteria che non ebbe un esordio limpido. I 33 biglietti abbinati ai piloti, furono estratti una settimana prima della corsa ed i 33 fortunati ebbero incontri più o meno segreti con i piloti con inevitabili tentativi di corruzione. Quella volta non ci fu bisogno di peccare pensando male … con quel che segue perché la “combine” fu tanto evidente da lasciare una macchia sulla prima lotteria e tale da costringere il Governo ad intervenire. Quando il maresciallo Badoglio dette il “via” i concorrenti erano soltanto 29 tra i quali Tazio Nuvolari e Baconin Borzacchini alfieri della scuderia Enzo Ferrari su Alfa Romeo 2600 P3 e l’inglese Henry Birkin su Maserati 2800. Gara appassionante e finale col brivido. Achille Varzi non si fermò ai box per il rifornimento perché equipaggiato con serbatoio supplementare. Ma a due giri dalla fine non riuscì ad aprire il rubinetto del secondo serbatoio, dando via libera a Nuvolari. Quando ormai Tazio Nuvolari sembrava il vincitore, Varzi, risolti i suoi problemi, si lanciava a tutto gas concludendo il suo inseguimento proprio negli ultimissimi metri riuscendo a battere il campione mantovano.

L’anno successivo, l’ottavo Gran Premio, si disputò sul nuovo circuito della Mellaha: un vero gioiello, un complesso sportivo tra i più moderni al mondo, allora all’avanguardia. Otto metri di larghezza nei rettilinei, dieci metri nelle curve sopraelevate, venti metri nel rettilineo davanti alla tribuna. Questa era lunga 400 metri, aveva 14 gradinate con un’audace tettoia che si protendeva verso la pista per 15 metri senza sostegni finali. La tribuna d’onore era decorata con marmi e pietre d’Azizia. Completavano il complesso diverse sale bar, ristoranti, pronto soccorso e servizi vari. Di fronte alla tribuna, separata dalla pista da un cortile di 25 metri, vi erano i box, le strutture per i cronometristi e per le segnalazioni, impianti telefonici e radio, una tribuna stampa dotata di telescriventi. Infine una torre alta 40 metri con un grande schermo elettrico in grado di informare il pubblico sulle posizioni dei concorrenti, dei giri compiuti, dei tempi di distacco ecc.

Circuito della Mellaha

Alla presenza del nuovo governatore Italo Balbo, affrontarono i 40 giri per complessivi 524 chilometri, ventisei concorrenti tra i quali cinque francesi, quattro inglesi, un algerino e due americani piloti di altrettante Miller (macchine tipo Indianapolis). Corretta l’estrazione dei biglietti della lotteria. Pauroso incidente per Taruffi che soltanto per un miracolo non ebbe brutte conseguenze. Grande bagarre nel finale tra il giovane Moll e l’esperto Varzi che riuscì a vincere per una sola ruota alla media di 186,149 chilometri orari. Ma fu di Louis Chiron il giro più veloce: oltre i 200 orari!

Il nono Gran Premio, nel 1935, fu caratterizzato dalla precarietà dei pneumatici. Le macchine erano diventate molto potenti e riuscivano a raggiungere velocità molto elevate ma le gomme non riuscivano a seguirle nei progressi. Tazio Nuvolari dovette cambiare i pneumatici tredici volte! Altra stranezza: due macchine definite da Enzo Ferrari “una immoralità tecnica”: erano due Alfa Romeo con due motori uno davanti ed uno dietro con il pilota al centro. Furono affidate: una a Nuvolari da 6320 c.c. ed una da 5810 c.c. a Louis Chiron. Lo scopo: contrastare la potenza delle macchine tedesche: tre Mercedes e due Auto Union. Vinse il tedesco Rudolph Caracciola su Mercedes 4000 a 197,933 di media e con nuovo record sul giro a 220,167 chilometri orari. Secondo Varzi che si rifece, vincendo, sempre su Auto Union, l’anno successivo, cioè nel 1936. Quell’anno, non ebbe successo il tentativo di Enzo Ferrari e delle sue nuove Alfa dodici cilindri di 4600 c.c. di poter gareggiare alla pari con le macchine tedesche. Tra l’altro, nelle prove, Nuvolari, suo uomo di punta, ribaltatosi a 200 all’ora, si era incrinato una costola e azzoppato. Restavano per tutti, i problemi alle gomme.

Il 10 maggio del 1937 sulla stessa distanza e con lo stesso numero di giri si disputò l’undicesimo Gran Premio di Tripoli. Anche quell’anno, contro lo strapotere delle macchine tedesche, nulla poterono le Alfa Romeo di Enzo Ferrari né le Maserati. In Germania il regime aveva visto nelle gare internazionali un notevole mezzo di propaganda quindi elargiva importanti finanziamenti alle Case automobilistiche. In quanto ai piloti, agli italiani mancava il grande Varzi che aveva abbandonato le corse vittima della droga. Per fortuna vinse anche la gara contro di essa e dopo qualche tempo, ritornò alle corse. La gara prese un avvio eccezionalmente veloce tanto che al terzo giro Hans Stuck su Auto Union 6000 aveva ottenuto il record sul giro (229,234 chilometri orari) che non fu mai più superato. Ma la gara parlava solo tedesco. L’industria della gomma non era al passo con la potenza e tecnologia delle macchine che si dovevano fermare spesso per il cambio gomme. Davanti al traguardo a Von Brauchitsch saltò il battistrada di una gomma posteriore fortunatamente senza conseguenze. Vinse Hermann Lang alla media di 216,315 l’ora stabilendo il nuovo record su Mercedes W 125: un bolide di 5660 c.c. e 8 cilindri.

Nel 1938 il dodicesimo Gran Premio si disputò con le nuove regole: cilindrata massima 3000 c.c. con il compressore o 4500 c.c. senza compressore e peso minimo 850 chili. Scompare la scuderia di Enzo Ferrari e l’Alfa Romeo rientra ufficialmente nelle gare. Assente l’Auto Union perché non riuscì ad approntare una macchina in tempo. La Mercedes aveva debuttato in Francia con la nuova macchina ma senza successo. La gara pertanto sembrava più aperta che nelle ultime edizioni. Presente alla gara anche un rinnovato Achille Varzi. Assente anche la Bugatti per guai al motore durante le prove. Vent’otto le macchine: tre Mercedes, quattro Alfa Romeo, due Maserati, due Delahaye, diciassette Maserati da 1500 c.c. ;  tra i piloti: Taruffi e Villoresi. Per il pubblico l’eroe del giorno fu Trossi su Maserati 3000 ma improvvisi problemi al cambio fecero perdere terreno al bravo pilota italiano che si ritirava dopo qualche giro. Ma al disappunto doveva purtroppo seguire anche il dolore. Eugenio Siena su Alfa Romeo 312 in fase di sorpasso, uscì di pista e venne schiacciato dalla sua macchina. Poi una collisione tra l’Alfa 312 di Nino Farina e la Maserati 1500 di Hartmann fece uscire di pista tutt’e due ad altissima velocità. Purtroppo per l’ungherese non ci fu nulla da fare. La vittoria arrise a Hermann Lang su Mercedes W 154.

Hermann Lang

Il dominio tedesco doveva finire e la F.I.A. (Federazione Italiana Automobili) impose nuove regole (leggi “furbate” ). Numero di giri portato a 30 e iscrizione solo per macchine di 1500 c.c. I tedeschi non avevano macchine di simile cilindrata ma punti sul vivo si rimboccarono le maniche e sfornarono la Mercedes W 165 appunto di 1500 c.c. Il pubblico tripolino iniziò a sperare poiché nonostante l’ottima impressione delle nuove Mercedes nelle prove, il giro più veloce fu quello dell’aerodinamica Maserati di Luigi Villoresi. Molto bene andarono, in prova, anche le Alfa Romeo 158. Il 7 maggio 1939 ci pensò il Ghibli a rovinare la festa. Vento caldo con 35 gradi all’ombra e 50 sull’asfalto. Effetti negativi sui piloti e disastrosi sui motori. I tedeschi forse si aspettavano un eventuale aumento della temperatura e sostituirono subito l’acqua dei radiatori con una miscela a base di glicolo. Trenta le macchine alla partenza di cui due sole Mercedes. Il caldo distrusse motori e piloti: alcuni svennero altri ebbero allucinazioni. Vinse ancora una volta Hermann Lang su Mercedes vanificando le furbate della F.I.A.

Il 5 Maggio 1940 venne corso il quattordicesimo Gran premio di Tripoli e fu l’ultimo. Parteciparono soltanto macchine e piloti italiani poiché Germania, Francia ed Inghilterra erano già impegnate in guerra. Italo Balbo che era stato lo starter assiduo ed appassionato degli ultimi anni, morirà  il 28 giugno 1940 precipitando col suo aereo a Tobruk colpito da “fuoco amico”.

Quel pomeriggio la temperatura era mite e nonostante i “venti di guerra” le tribune e tutto il percorso erano affollati come sempre. Fra i partecipanti, il ventunenne Alberto Ascari, figlio d’arte, su Maserati. Nino Farina su Alfa Romeo sbandò alla “curva di Tagiura” riuscì a rimettersi in pista, perse tempo prezioso ma con una grande rimonta riuscì a vincere aggiudicandosi l’ultimo Gran premio di Tripoli.

Esemplare di un biglietto del Lotteria abbinato alla disputa del Gran Premio Automobilistico del 1943 - L'ultimo Gran Premio disputato prima dello scoppio della Guerra.

 

Poco più di un mese dopo anche l’Italia entrò in guerra e tutto finì. Veramente non tutto poiché sembrerebbe che la lotteria continuò fino al 1943. Il condizionale è d’obbligo. In una rivista per collezionisti sono stati di recente riprodotti, tra gli altri, alcuni biglietti della “Lotteria di Tripoli” (il particolare che i numeri siano 0000 lascia pensare ad una ricostruzione più che ad una fotocopia). Uno è del 1941, è intestato “Lotteria Automobilistica di Tripoli” e si vede sfrecciare un’auto da corsa ma è notorio che nel 1941 non fu disputato alcun Gran Premio Automobilistico. Il biglietto del 1942 diventa “Grande lotteria Nazionale di Tripoli”. Particolare interessante quello del 1943. La rivista informa che tali biglietti sono ricercatissimi ed hanno un valore tra i 1.100 ed i 1.200 euro. La lotteria infatti non fu estratta per gli eventi bellici ed i biglietti furono rimborsati o sostituiti con quelli della lotteria di Merano. Da qui la rarità e di conseguenza l’alta valutazione. Ma qualcuno li dimenticò in qualche tasca o non ritenne utile far la fila per dodici lire. Sul biglietto, mi sembra sia riprodotto il complesso dell’hotel Uaddan. E che ne fu del circuito?

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Nel 1950, mi scrive Gianni De Nardo lavoravo alla Mellaha alle dipendenze della Crow-Steers-Shepherd cioè con la Società americana incaricata dei lavori di ampliamento dell’area aeroportuale. Tribune e relative strutture mi erano molto familiari poiché le vedevo, anzi le ammiravo quasi tutti i giorni. Devo dire che anche tutto lo staff della Compagnia, ingegneri in primis, apprezzavano quello che loro chiamavano “Stadium” soprattutto l’ampia tettoia sospesa nel vuoto che sembrava una visiera. Le strutture che ricordavano entusiastici eventi sportivi erano utilizzati allora per scopi molto diversi. Gli spazi sotto le gradinate erano stati trasformati in alloggi e sempre sotto le gradinate ma nella parte superiore, gli ampi saloni erano utilizzati per la mensa e relative cucine. Le gradinate coperte dalla famosa tettoia, venivano usate come deposito per derrate alimentari ovviamente non deperibili. Ma i lavori di ampliamento necessari per i nuovi aerei a reazione, portarono le piste a ridosso delle Tribune con possibili pericoli per gli aerei in decollo o in atterraggio. Fu decisa quindi la demolizione. Probabilmente gli americani sapevano di distruggere un’opera grandiosa tanto che invitarono chiunque avesse interesse a fare fotografie-ricordo prima di procedere.

Ricordo ancora quelle gru che sollevavano sfere di acciaio di un diametro di 60-80 cm. per farle poi ricadere con forza sulla famosa tettoia. Ai complimenti precedenti per i pregi architettonici seguirono quelli per la robustezza. Gruisti e fiamma ossidrica per tagliare il ferro dell’armatura lavorarono sodo per parecchio tempo.

Gianni De Nardo

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Ed oggi? Per la sua posizione al centro del Mediterraneo, per il clima, per le bellezze naturali, per il patrimonio archeologico, la Libia potrebbe tranquillamente costruire un circuito ed entrare nel giro internazionale dei Gran Premi. L’evento sportivo potrebbe incrementare notevolmente l’attuale già alto numero di turisti senza dimenticare il grande prestigio per il Paese.

Non c’è bisogno di lotteria peraltro vietata dalla religione (gammara) , basterebbe il petrolio.

Roberto Longo.

Pubblicato sul notiziario “l’Oasi”nel Numero 1/2006 -  Gennaio - Aprile 2006