La stanza di Roberto Longo

Roberto Longo

Un fatto di cronaca

di   Roberto Longo

 

Oggigiorno purtroppo, il furto, non avendo le aggravanti delittuose della rapina, non “fa notizia”. I giornali, giustamente, continuano a dar risalto a questo reato contro il patrimonio e, talvolta, su più colonne. Ma la maggioranza dei lettori, dopo aver letto il titolo e qualche volta il sottotitolo, si limita a muovere il capo in segno di disapprovazione ed a passare velocemente alle pagine sportive, alla Cronaca rosa, ed alla Politica anche se, a detta di alcuni, in quest’ultimo caso, chi, saltando il primo argomento si interessasse troppo ad essa, peccherebbe di incoerenza.

Non era così in passato. A Tripoli nel 1961 il furto ai danni di un Istituto di credito fece molto scalpore. In quei luoghi ed a quei tempi non accadevano spesso fatti di cronaca nera e pochi erano anche quelli di cronaca grigia. Eccezion fatta per i gravissimi disordini del 1945, del 1948 e del 1967.

Quando accadde un fatto grave e delittuoso che per fortuna rimase unico, se ne parlò per un decennio. Molti lo ricorderanno come “il caso Zanuttini” anche se a posteriori mi sembra di ricordare che avrebbe dovuto chiamarsi in un altro modo.

Per qualche tempo si parlò anche di un’altra vicenda tutt’altro che delittuosa. Un signore, tale Papotto dichiarò ai giornalisti che nel suo podere era atterrato un disco volante. Purtroppo fu accertato che l’emozione e la paura impedirono al  Sig. Papotto di … invitare gli Extraterrestri nel salotto buono a bere un buon bicchiere di scià-hi binnanà. La Terra, a causa sua, non fece una bella figura in fatto di ospitalità!

Ma, si dice, il tempo è galantuomo. Infatti, il proliferare dei dischi volanti successivamente innalzati al rango di Ufo, rese giustizia al nostro Papotto che fu, a posteriori ed a pieno diritto, riabilitato e creduto: i Marziani esistevano!

Gli Extraterrestri non potevano venire da Venere perché troppo brutte erano le loro hostess. Poco gioviali gli uomini per essere di Giove. Donne e uomini senza anelli per cui veniva esclusa la provenienza da Saturno. La non radioattività li escludeva dall’essere cittadini di Urano. Non so se fu per esclusione che si stabilì fossero Marziani o perché qualcuno riuscì a rilevare, nel buio, la targa delle aeronavi: MRT cioè Marte inequivocabilmente!

Tuttavia da quando è caduto il muro ed è finita la contrapposizione dei “blocchi”, i dischi volanti sono improvvisamente scomparsi. Forse, se si fosse prestata più attenzione o più “orecchio”, quel linguaggio incomprensibile quale sembrava fosse il “marziano classico” non era altro che uno stretto dialetto russo o un altrettanto stretto slang americano. Ma sono supposizioni. I marziani, per esempio, potrebbero, ad un certo momento, aver preferito tenersi alla larga non avendo gradito inquinamento e caos regnanti sul Pianeta Terra. Non bisogna dimenticare anche che, il “mancato invito” di Papotto, potrebbe averli convinti ad evitare un Pianeta così inospitale!

Nel 1961 lavoravo in una Banca. Vi ero approdato il 1° Gennaio del 1959 (non ero ancora maggiorenne) rispondendo con un garibaldino “Obbedisco” ad un ordine di mia madre che mi faceva lasciare sia la Essolibya, dove mi trovavo benissimo, sia uno stipendio più alto, in cambio del “posto sicuro”. Ho scritto primo gennaio. Ebbene, è stato il mio primo giorno di lavoro. Rivolgendomi ai giovani nati nell’era dei computer, spiego che allora il calcolo degli interessi sui c/c veniva fatto a mano: un team li calcolava con il metodo diretto, un altro con il metodo indiretto. Al termine il risultato doveva essere identico. Nove volte su dieci l’evento non si verificava, per cui bisognava ricalcolare il tutto. Oggi con i computer che lavorano giorno e notte con una velocità impressionante, gli interessi vengono registrati in c/c nella prima decade di gennaio, se non nella seconda. Allora, nell’era delle biro e delle calcolatrici a manovella, gli interessi dovevano, per disposizioni superiori, essere registrati o “calati”, come si diceva in gergo, il primo giorno non festivo dell’anno, per cui, 31 Dicembre e Capodanno erano giorni di intenso lavoro per la Ragioneria, reparto per il quale ero stato assunto.

Il lavoro in banca non mi piaceva affatto. Troppi capi, sottocapi e capetti. Troppe norme, troppe normative da seguire tassativamente. Mi sentivo ingessato e me ne volevo andare. La retribuzione era molto al di sotto della media ma non potevo pretendere di più essendo stato assunto e rimasto, con il grado di “impiegato burocratico di 2ª  Categoria”.

Ad onor del vero in tre anni ho imparato moltissimo e quell’esperienza mi è servita per tutta la mia carriera lavorativa. In principio, entrando in una qualsiasi  Banca, mi presentavo come ex-collega. Successivamente non più: lo capivano da soli.

Dalla Ragioneria passai all’ufficio Posizioni. Sempre “burocratico” e sempre di “2ª Categoria” ma l’incarico era molto più importante ed i miei saltuari ritardi mattinieri causavano qualche giusta irritazione. Sempre per i giovani nati nell’era dei computer, chiarisco che, allora, non esistevano gli sportelli polifunzionali ed  i cassieri ricevevano e davano denaro e basta. Cambiali in cambio di denaro e basta. I clienti presentavano assegni da incassare o da versare al Riscontro di cassa e facevano le loro richieste di valuta estera, di aperture di credito o chiedevano di ritirare documentate merci agli uffici preposti. Tutte le contabili di addebito nonché gli assegni presentati per l’incasso finivano sulla scrivania del posizionista che, se la capienza del conto lo consentiva, addebitava gli importi nei conti interessati, ovviamente a mano, e passava gli assegni all’ufficio cassa e, con un cenno, dava il consenso agli uffici Estero e Merci che potevano così dare seguito alle operazioni.

Quando arrivavo in ritardo, trovavo sempre tre o quattro clienti che si alternavano nello sbuffare e nel protestare.

Purtroppo non avevo giustificazioni né di traffico né di parcheggio: abitavo vicino al posto di lavoro, avevo una Lambretta con la quale potevo tranquillamente dribblare il traffico e non avevo problemi di parcheggio all’arrivo.

Infatti da Sciara Sidi Bahlùl, dopo un centinaio di metri, svoltavo a destra in Giaddat Omar El Mukhtar. Altri trecento metri ed ero già al semaforo che regolava il flusso delle auto che, provenendo da Sciara Errashid, si immettevano in Giaddat Omar El Mukhtar o si avventuravano nel quartiere Belkhèr attraverso Sciara El Beida. Con la Lambretta zigzagando tra le numerose auto, raggiungevo la testa del “corteo” e naso all’insù aspettavo il verde perché era scritto nel destino che trovassi sempre il semaforo rosso. Al verde, però, via subito, perché una frazione di secondo dopo iniziava il famoso concerto per “Trombe ed insulti” di Anonimo diretto dall’autista immediatamente dietro di me. Se nella concitazione perdevo la sincronia tra il rilascio della frizione e la concomitante accelerazione con inevitabile spegnimento del motore, il primo della fila, sempre lui, dava inizio allo “Schiaccianoci” di Cajkovskij con Lambretta ed il sottoscritto nella parte delle “noci.”. Bisognava, in questa pericolosa ipotesi, guadagnare il marciapiede con la  citata Lambretta ed in tutta fretta.

Evitato il pericolo dovevo percorrere circa trecento metri, girare intorno alla meravigliosa Fontana dei cavalli marini dell’ex Piazza Italia, semiattraversare Piazza Castello ed ero arrivato. Si e no una decina di minuti.

Quel sabato mattina, però, il ritardo doveva essere più grave del solito perché parcheggiando la Lambretta e sbirciando attraverso la vetrata, avevo visto nel salone non i soliti tre/quattro clienti sbuffanti ma molte persone e  sembrava ci fosse molta agitazione. Pensai che oltre al solito rimbrotto del mio Capo-ufficio avrei preso, forse, anche legnate da parte dei clienti.

Appena entrato, però, mi accorsi che c’erano anche alcuni agenti di polizia. Chiesi ad un funzionario che cosa fosse successo e la risposta fu: “Si pigghiarunu 20.000 stellini du u caveau giovedì notti” (Ovviamente al posto del verbo pigghiare ne usò un altro molto più colorito). Mi venne spontaneo chiedergli (ma era solo una battuta) come facesse a sapere che erano proprio 20.000 sterline libiche e che erano state rubate la notte tra il giovedì ed il venerdì. Ebbe una reazione che, sul momento, mi sembrò sproporzionata perché gridò: “Ma che mizzica vai ricennu!”. (Ma che cosa stai dicendo!). Ovviamente sempre usando un vocabolo del colorito dialetto siciliano.

Seppi così che la notte tra il giovedì ed il venerdì erano state rubate 20.000 sterline libiche dal caveau della Banca. Per avere un’idea del valore, si tenga presente che il mio stipendio era di 47 sterline lorde e che l’importo rubato corrispondeva a 35 milioni di lire italiane del 1961. Nel 1964 comprai un appartamento nuovo di 75 metri a Roma quartiere Torpignattara pagandolo 8 milioni e mezzo.

Non c’erano segni di scasso né forzature alla cassaforte. La cassaforte del caveau si apriva con il concorso di due chiavi di cui una in possesso del capo cassiere, l’altra di un funzionario di cassa. Tutte le sere, chiusa la cassaforte, i due responsabili dovevano custodire le chiavi portandosele a casa. Ma era abitudine del capo cassiere lasciare la propria chiave nel cassetto della sua scrivania contravvenendo alle severe e giuste norme stabilite dalla Banca. Il funzionario di cassa, invece, le norme le seguiva ma dal giorno in cui si era dimenticato la chiave a casa, aveva preso l’abitudine di lasciarla in un cassetto anche lui. Chi aveva commesso il furto doveva necessariamente essere al corrente di questi non certo insignificanti particolari. Le 20.000 sterline erano in una sacca in regolamentari mazzette pronte dal giovedì pomeriggio per essere depositate il sabato mattina alla Banca di Libia perché stimate “eccedenze di cassa”. Ovviamente in cassa c’era anche altro denaro cioè il fabbisogno per il normale funzionamento della Banca ma questo denaro era in un’apposita cassetta che, sebbene fosse chiusa con chiave non di sicurezza, era piuttosto ingombrante da trasportare. La circostanza delle eccedenze, si verificava saltuariamente per cui il ladro doveva essere a conoscenza anche di questo particolare.

Poiché tutte le porte erano chiuse e senza segni di scasso ad eccezione di una laterale che risultava essere stata aperta dall’interno cioè era servita al ladro per uscire e non per entrare dopo averla forzata e successivamente uscire, la polizia stabilì, con condivisibile logica, che uno degli ultimi clienti o uno dei circa 30 dipendenti della Banca, si fosse nascosto, in uno dei bagni, per uscire a notte fonda, prendere le due chiavi dai cassetti, scendere nel caveau, aprire la cassaforte prendere il malloppo ed uscire dalla citata porta laterale che al mattino del sabato era stata trovata, ripeto, aperta ma dall’interno. L’ipotesi del cliente cadde appena formulata. Come avrebbe potuto sapere un cliente, anche se assiduo, il particolare delle chiavi? Quindi non poteva essere stato che uno dei dipendenti. Compresi subito la veemente e nervosa  risposta che mi aveva dato il funzionario, alla mia battuta, appena entrato in Banca: eravamo tutti potenziali colpevoli.

La polizia aveva ragione a sospettare di tutti ma tutti noi avevamo subito individuato il possibile colpevole ed anche l’eventuale complice che con molta probabilità, quella notte, aveva atteso al di fuori, con auto pronta, ladro e malloppo.  Il ladro, infatti, uscendo, non poteva rischiare di imbattersi in un passante o peggio in un poliziotto per cui necessariamente doveva aver avuto un complice che ad un certo momento della notte gli aveva dato il via libera: il famoso palo presente in ogni furto o rapina che si rispetti. Ovviamente ognuno si teneva per sé ogni congettura anche perché la certezza sarebbe stata un grave caso di presunzione.

Certo che il “lavoro” era stato tanto “pulito” da essere degno di Arsenio Lupin però il non aver scassinato a colpo fatto le porte o la cassaforte in un tentativo di sviare le indagini,  hanno reso piuttosto Fantozziana l’esecuzione del “piano”.

Venimmo convocati a turno per dimostrare con fatti e non con chiacchiere che eravamo usciti regolarmente all’orario di chiusura e fornire eventuali alibi validi e soprattutto credibili.

Quando fu il mio turno, fui convocato insieme ad altri due colleghi. Ad ognuno fu chiesto di dimostrare che fosse uscito. Io dissi che dieci minuti dopo la chiusura, mi ero incontrato con la mia ragazza A.N. con la quale avevo un appuntamento. Quindi un’ora dopo ero stato presso una famiglia proprietaria di un famoso negozio di materiali ed attrezzature per l’idraulica. A casa loro, tenevo la contabilità non essendoci spazio in negozio. Uscito dopo un’ora e mezza, ero andato presso i negozi dei Fratelli Darrat dove anche da loro curavo la contabilità per poi rincasare definitivamente alle ore 22.00 circa.

Vedemmo partire tre investigatori mentre fummo invitati ad attendere in un salotto attiguo. Nonostante fossi stato il primo ad essere interrogato, i miei due colleghi avevano ottenuto, dopo appena un’ora, il desiderato e liberatorio “potete andare”. Siccome a quell’invito avevo aderito anch’io, stavo già guadagnando l’uscita quando un “No, lei stia qui” mi fece raggelare. Rimasto solo, compresi il significato di chi diceva o scriveva “Trascorsero così due lunghissime ed interminabili ore … ” Mi ero sempre detto: ma le ore sono sempre di sessanta minuti quindi non esistono né ore lunghissime né ore cortissime. Ma in quel frangente, avevo capito il concetto!

Le ore intanto corte o lunghe passavano e nessuno mi diceva niente. Cominciai quindi a pormi delle domande. Innanzi tutto se la vicinanza della mia scrivania di posizionista con le due incriminate nei cui cassetti i cassieri allegramente lasciavano le chiavi, avesse generato “cattive supposizioni” negli inquirenti. Poi rimuginavo sul mio alibi. Della mia frequentazione con A.N. ne era a conoscenza la madre alla quale non ero poi tanto antipatico ma il padre, a detta della figlia, continuava a dirle con voce alterata “Pensa a studiare e lascia perdere “quello” della Lambretta!”. Rimproverata più volte, l’aveva minacciata di non farla uscire più di casa. Se l’investigatore fosse andato proprio a casa di A.N. e, vista l’ora, ci fosse stato anche il padre, ero sicuro che A.N. avrebbe negato di avermi visto e forse avrebbe negato anche la mia esistenza. E se per caso il “controllore di alibi” si fosse poi recato a casa della famosa famiglia e costoro, interpretando male la Legge Libica che prevedeva il permesso di lavoro per impiegati ed operai non libici, nel timore di incorrere in infrazioni, avessero detto: “Longo? Mai visto e perché dovrebbe venire a casa nostra? Longo? E chi era costui?”. (Don Abbondio docet).

Ma poteva anche darsi che l’investigatore non conoscendo bene la lingua italiana avesse optato per la verifica presso i fratelli Darrat. Ma, pensai, i fratelli erano quattro. Io ero in contatto con Hag Ahmed, che mi aveva assunto mentre con gli altri tre i rapporti di lavoro erano scarsi e saltuari. I fratelli si alternavano nella conduzione dei negozi. A parte Hag Ahmed, gli altri, conoscevano il mio nome? Se a Mohamed avessero chiesto: “È stato qui Roberto Longo giovedì sera?”. Probabilmente conoscendomi solo di vista, avrebbe risposto. “No. E chi lo conosce”.

Certo che adesso ritengo eccessive le mie preoccupazioni perché ad una contestazione di alibi fasullo, avrei chiesto all’investigatore il vis-à-vis e i tre su menzionati non potevano negare di avermi visto perché, se l’avessero fatto, sarei passato da “presunto” ladro a “certo” … omicida!

In quel momento invece ero seriamente preoccupato. Come quando si hanno problemi di una certa importanza: pensandoci di notte sembrano irrisolvibili, poi, il mattino dopo, pur ritenendoli comunque gravi, se ne trova sempre la soluzione.

Non passò inosservato il balzo di gioia che feci quando mi dissero: “Te ne puoi andare!”.

Inforcata la fedele Lambretta, mi recai subito da A.N. e le chiesi se per caso fosse venuto un poliziotto a chiedere informazioni su di me. Ovvia la logica femminile: “Perché, che cosa hai combinato!”. Le spiegai il tutto e finalmente un’affermazione giusta: “Certo che avrei confermato che ci eravamo visti e poi sai, mio padre non è vero che non ti può vedere. Solo che vorrebbe che il permesso di uscire lo chiedessi anche a lui”.

Dalla padella alla brace. Avevo rischiato qualche giorno di carcere cioè per il solo tempo necessario a dimostrare che con quel furto non avevo nulla a che fare e rischiavo un, anche se dolce, incarceramento pre-matrimoniale.

Ringraziando, andai subito da Darrat. Trovai Abdalla al quale chiesi se sapesse come mi chiamavo. “Giunieri” disse “Sanior Giunieri” rinforzò come avesse risposto ad un quiz da mille sterline. “Si d’accordo sono il vostro ragioniere ma il mio nome è Roberto Longo. Ti raccomando e lo raccomando anche ai tuoi fratelli se per caso qualcuno chiedesse di Roberto Longo, quel tale sono io anche se la mia professione è quella del ragioniere o “giunieri” come voi mi identificate. Comunque dopo aver spiegato il motivo di quelle precisazioni mi assicurò che si trovava in negozio dalla mattina ma che non era venuto nessun poliziotto. Intanto mi guardava in modo strano e sembrava assente, come se pensasse ad altro: per esempio, cambiare in tutta fretta la combinazione della cassaforte conoscendo, io, quella in essere!

Non era rimasta che la casa della famiglia dei titolari del negozio di idraulica. “Signora per caso …”

“Ma certo! È venuto un poliziotto in borghese a chiedermi se eri stato qui. Gli ho risposto affermativamente. Poi mi ha anche chiesto che tipo eri. Gli ho risposto che ti abbiamo dato anche le chiavi di casa, tanta è la fiducia che riponiamo in te!”.

Mi tranquillizzai ma si stava avvicinando la partenza per le ferie. Stavo valutando se era il caso di lasciar perdere. Se fossi partito, gli inquirenti, non potevano pensare ad una mia fuga? Ed il licenziamento? Da tempo pensavo di dare le dimissioni per fare il burocratico di 2ª categoria altrove purché con stipendio adeguato! Si fa presto a dare giudizi ma consiglio a chi leggendo, a questo punto, accenni ad un sorrisino, di pensarci su, un momentino, prima di dare giudizi. Bisogna trovarsi in certe situazioni! Anche perché, intanto, era iniziato il processo. Si concluse circa un anno dopo.

Un grande avvocato, la posizione dell’Istituto che nel frattempo aveva ritirato la denuncia, l’eccezionale benevolenza del Giudice, avevano fatto assolvere i due unici imputati. La Pubblica Accusa non ricorse in appello. Restava comunque aperto un processo “contro ignoti” quindi ancora contro noi tutti!

Mi, anzi ci, dispiacque che se la fossero cavata. Purtroppo, oltre a non essersi trovata la refurtiva, avevano presentato un alibi probabilmente fasullo ma “di ferro”. Eravamo affezionati alla nostra Banca e quel denaro era come se lo avessero rubato a tutti noi.

Tuttavia dovevo partire. Le ferie venivano stabilite dalla Direzione ad inizio anno e il periodo non era modificabile.

Ricordo che ogni anno si aveva diritto ad un’assegnazione di valuta estera pari al controvalore di Sterline Libiche 250 successivamente aumentata a 300. Tale importo poteva essere aumentato di ulteriori 90 sterline (successivamente incrementato a 110) se ci si recava all’estero per cura. Chi era titolare di licenza commerciale, artigianale o industriale aveva invece diritto ad un’assegnazione di 25 sterline per ogni giorno di soggiorno all’estero.

Al momento di andare in ferie, era logico che chiunque sperasse di essere in buona salute e di avere il morale alto, ma stranamente, ci si ammalava ed anche gravemente. Ora siccome per ottenere le 110 sterline bisognava dimostrare che le cure erano particolari e quindi non disponibili in Libia, le malattie di cui ognuno era afflitto erano tanto gravi che, se la prescrizione fosse stata letta all’arrivo in Europa o in America da un dottore, costui, per aver soltanto preso in mano il foglio, dopo aver ordinato una quarantena, sarebbe corso subito a farsi la doccia con l’alcool puro dopo aver fatto il bagno in un disinfettante ad alto potenziale.

Accadde una volta che si presentò allo sportello una famiglia di cinque persone: genitori e tre figli. Tutti ammalati e non a causa di una pandemia. Ognuno infatti aveva una malattia diversa. Anzi ci doveva essere anche il nonno al seguito ma lui era ammalato veramente e non poté partire.

Il certificato medico doveva essere allegato al modulo di concessione valuta da inviare alla Banca di Libia. Per un errore, per fortuna evitato dal funzionario che appose l’ultima firma, si stava inviando il modulo del bambino di due anni con allegato il certificato medico che attestava “gravi disfunzioni dovute a menopausa precoce” mentre il certificato relativo al bambino che era affetto da problemi di minzione “per cui si richiedeva un intervento al pisellino”, era stato allegato alla richiesta della madre.

Ovvio che le Autorità erano perfettamente a conoscenza di queste false attestazioni, anzi ci scherzavano su. Conoscevo un funzionario della Banca di Libia il quale mi chiedeva: “Quando ti ammali quest’anno?” per chiedermi quando sarei andato in ferie.

Mi diceva che le Autorità avrebbero voluto innalzare l’ammontare dell’assegnazione annuale ma temevano comunque di non riuscire ad eliminare il fenomeno perché, non potendo abolire la concessione speciale per chi si recava all’estero per cure, ritenevano che, dopo breve tempo, il malcostume si sarebbe ripetuto con le nuove cifre aumentate. Inoltre con il considerevole aumento delle disponibilità valutarie derivante dagli introiti del petrolio, le restrizioni valutarie non erano poi tanto necessarie. Era anche in progetto un allentamento dei vincoli valutari e si pensava addirittura di svincolare la sterlina libica da quella inglese, renderla convertibile, di lasciare al libero mercato la sua valutazione e rendere completamente libera la sua circolazione nei mercati mondiali. L’intento era fare di Tripoli e Benghàzi due piazze finanziariamente valide e all’altezza di Beyrùt.

Passò così ancora qualche mese. Alla fine, vinti gli indugi, mi “ammalai” anche quell’anno nella data … stabilita dalla Direzione e passai le mie ferie a Roma. Il primo febbraio del 1962 venni assunto dai Fratelli Darrat. Passavo da burocratico di 2ª categoria a capo contabile con relativo risvolto economico non indifferente. Ero sempre “Giunieri” ma a tempo pieno e non a mezzo servizio. Alla fine di quell’anno redassi il mio primo Bilancio con relativi allegati e relazioni. Finalmente avevo potuto mettere in pratica i preziosissimi insegnamenti del Prof. Martini. Una grande emozione. Come quella del chirurgo al suo primo intervento. 

E … il furto? Come ogni giallo che si rispetti, presento la soluzione qui alla fine.

 

Uno dei dipendenti della Banca si ammalò gravemente: era colui che aveva fatto da “palo”. In punto di morte disse alla moglie: “Vai da Tizio e fatti dare 10.000 sterline. Sono la mia parte del furto. Quella notte, subito dopo il “colpo”, sotterrammo il malloppo nel deserto in un posto che lui sa!”.

Furono le sue ultime parole. La moglie, non potendo provvedere personalmente in base agli usi e costumi locali, si rivolse ad un parente maschio della famiglia il quale, pur non conoscendo il sig. Tizio, non se lo fece dire due volte e si recò da Tizio, autore materiale del furto ed anch’egli dipendente della Banca. Tizio, non credendo alla versione data dallo sconosciuto e credendo invece si trattasse di un tranello della polizia investigativa, negò tutto ed asserì che nel deserto ci andava soltanto a caccia. Il parente della vedova, infuriato ed indispettito, andò alla Polizia cui non mancarono i mezzi per far confessare il tutto al sig. Tizio. Recuperata anche la refurtiva, l’Istituto, che aveva già ritirato la denuncia, ne chiese l’archiviazione. L’ottenne, perché “Palo e Tizio” erano i due imputati nel primo processo, già assolti con sentenza passata in giudicato perché non appellata. Mi sembra che nessuno possa essere giudicato una seconda volta per il medesimo reato se già assolto la prima. Almeno così mi sembra di ricordare.

 

P.S. Un solo momento, per favore, prima di girare pagina. Avvicinatevi, vi devo dire una cosa all’orecchio … solo poche parole ancora: tutti noi dipendenti avevamo intuito chi fossero i colpevoli sin da quel sabato mattina e non c’eravamo sbagliati.

Roberto Longo

Pubblicato sul notiziario “l’Oasi”nel Numero 1/2006 -  Gennaio - Aprile 2006