La stanza di Roberto Longo

Roberto Longo

Natale, la festività più bella

(Cenni storici e ricordi degli anni più belli)

di   Roberto Longo

La nascita di Gesù è storicamente provata. La data esatta dell’evento, però, è stata per lungo tempo oggetto di discussioni mai arrivate ad unanime conclusione. Quella del 25 Dicembre, pertanto, si può definire convenzionale.

Anche l’anno in cui si è iniziato a celebrare la Natività, non è certo. La festa pare sia stata introdotta a Roma intorno al 330, forse agli inizi del IV secolo.

Fra le due grandi Chiese d’Oriente e d’Occidente non ci fu accordo su questa importantissima festività. Infatti, mentre la prima la celebrava il 6 gennaio, l’Occidente la onorava il 25 dicembre. Successivamente la Chiesa d’Oriente iniziò ad accettare la nascita di Gesù il 25 dicembre, ritenendo il 6 gennaio giorno del battesimo di Gesù mentre l’Occidente ha sempre festeggiato, in questa data,  l’adorazione dei Re Magi. Attualmente, però, la Chiesa ortodossa celebra il Natale il sette gennaio ed il battesimo di Gesù dodici giorni dopo. L’introduzione nella liturgia del 25 dicembre come festa della Natività di Cristo, secondo Dionisio Filocalo, sarebbe avvenuta al fine di contrapporre una festa cristiana, a quella pagana della nascita di Mithra, antica divinità indoeuropea, in grande rivalità col cristianesimo dei primi secoli e che si celebrava appunto  il 25 dicembre (Dies natalis solis invicti). La festa pagana vedeva, nel solstizio d’inverno, il sorgere del nuovo sole. Da qui il motivo di contrapposizione: Gesù era il nuovo sole, la nascita della nuova religione.

La Pasqua e la Pentecoste, ricalcano, con diversi concetti cristiani, feste già celebrate dal giudaismo, mentre, il Natale, è di origine prettamente cristiana, e, a differenza di Pasqua, è una festa a data fissa. Il Natale non è mai citato nei testi  prima del secolo IV anche se Ippolito nel suo  Commentarium in Danielem fissa la Natività al 24 dicembre dell’anno 42 di Augusto. Tertulliano e Origene (II e III sec.) ignorano l’evento. Tuttavia la Depositio Episcoporum, documento romano del 336, conferma già, per quell’anno, la celebrazione del Natale al 25 dicembre.

Come su detto, la Santa festività  iniziò a Roma da dove si diffuse rapidamente anche in Oriente, con le sole divergenze su citate. Tale diffusione coincide con le lotte dell’arianesimo che spinsero i cattolici ad una più grande venerazione verso il Figlio di Dio. La liturgia cattolica prevede, dal VI secolo, l’uso di celebrare tre Messe, con tre vangeli diversi, da parte di ogni sacerdote, simbolo allusivo della triplice nascita di Gesù Cristo: nell’eternità dal Padre, nel tempo da Maria Vergine, nell’anima dai cristiani. I riti: a mezzanotte, all’alba (ad auroram) e al mattino. La Messa di mezzanotte cominciò nelle chiese di Gerusalemme, con l’uso di celebrare il Natale, la notte, a Betlemme, presso il presepe. A Roma questa Messa si celebrava in una grotta con simbolico riferimento a quella di Betlemme. La seconda Messa, ad auroram, non aveva, inizialmente,  relazione con il Natale, se non con certi canti imitati da quelli processionali che si facevano nell’andar da Betlemme a Gerusalemme, dopo aver celebrato presso il presepio. Essa veniva officiata in onore della martire Anastasia di Sirmio, la cui festa cadeva il 25 dicembre.

La santa era molto venerata a Costantinopoli, da dove il culto, sotto la dominazione bizantina, passò anche a Roma nella chiesa al Palatino: l’attuale chiesa di Sant’Anastasia. Successivamente l’uso delle tre Messe si propagò in tutto l’universo cristiano.

L’importanza del Santo Natale, dell’Adorazione dei Re Magi, della Sacra Famiglia riunita nella grotta della Nascita, non poteva non essere oggetto di grande risalto nell’iconografia di tutti i tempi. I più antichi esempi, risalgono al IV secolo, e tra i più antichi, quelli delle Catacombe di San Sebastiano in Roma, purtroppo quasi cancellati dal tempo e, forse, anche dall’incuria. Risalenti al XII secolo i mosaici di San Marco in Venezia, quelli siciliani di Monreale, della Cappella Palatina e della Martorana, a Palermo. Nel XII secolo, il timpano di un portale di Nôtre-Dame a Parigi ed il mosaico absidale con il Presepe in Santa Maria in Trastevere a Roma, opera di Pietro Cavallini nel 1291. In seguito sino a tutto il Seicento, il Natale fu il grande tema d’impegno in cui si cimentarono molti dei maggiori pittori europei.

Giotto, con l’affresco nella cappella degli Scrovegni a Padova e la Natività sulla facciata interna di Santa Maria Novella a Firenze. Quindi Filippo Lippi, Piero della Francesca, Botticelli, Perugino, Ghirlandaio, l’Angelico, Giorgione, Antoine Le Nain, Rijn Rembrandt, Esteban Murillo e tanti altri.

Padova - Cappella Scrovegni Firenze - Santa Maria Novella

Anche nella scultura, molti artisti si cimentarono per rappresentare il Natale. Giovanni Pisano, nel pulpito di Sant’Andrea a Pistoia e nel pulpito del Duomo di Pisa. Di anonimi le sculture nel San Bassiano a Pizzighettone (Cremona) e di parte dei rilievi sulla facciata del Duomo di Orvieto. Di Ghiberti nella porta nord del Battistero di Firenze; di Jacopo della Quercia nel portale di San Petronio a Bologna; di Amadeo nella Cappella Colleoni a Bergamo; di Andrea Sansovino  nella Santa Casa di Loreto e di Jacopo Sansovino nella porta bronzea della sacrestia di San Marco.

Insieme all’importante liturgia natalizia, si sono sempre più consolidate alcune tradizioni popolari e manifestazioni folkloristiche. Il ciocco o ceppo di Natale, ad esempio, che si collega alle importanti feste del fuoco del solstizio d’inverno, usanza, a fine propiziatorio, largamente diffusa in Europa, sopratutto nelle campagne. Nell’antica Roma il 17 dicembre si festeggiavano i Saturnali, con addobbi di rami sempreverdi e scambio di doni. Anche popolazioni definite barbare del Nord Europa, celebravano riti analoghi alla luce di candele nel calore delle case e delle famiglie. Ancora, ai giorni nostri, in Umbria, si fa ardere un grosso ceppo di olivo fino al giorno degli Innocenti, e se ne sparge poi la cenere nei campi e nelle vigne. I contadini romagnoli, la vigilia di Natale, danno fuoco ad un grosso tronco, che deve ardere  fino all’Epifania. La mattina di Natale, poi, si spargono i carboni spenti per scongiurare la grandine e i temporali. Così nelle valli del Sieg e del Lahn in Germania ed in Provenza. In molte altre parti della Francia e dell’Inghilterra tuttora il ceppo carbonizzato protegge la casa, non solo dai fulmini, ma anche dalle stregonerie. Nei Balcani il ceppo è ritenuto protettore dei raccolti in quanto avrebbe il potere di tener lontana la grandine; in Albania, che le ceneri di quel fuoco rendano i campi più fertili. Forse a seguito di tali tradizioni, anche sulle nostre tavole, accanto al famoso panettone, spesso c’è il famoso “tronchetto” che … tutti si guardano bene dal … bruciare!

Nella tradizione sono entrati anche  Babbo Natale e l’albero di Natale. Il simpatico vecchio dall’aria bonaria, la veste rossa, la lunga barba bianca, è di origine celtica o comunque del Nord Europa come è confermato dal fatto che è sempre rappresentato insieme a renne e slitta. Insieme all’albero, che da noi ha avuto la maggior divulgazione  nel dopoguerra, Babbo Natale, il Sancta Claus dei popoli di lingua tedesca, si è imposto in Italia, rubacchiando un po’ di popolarità al Presepe, a cui la tradizione italiana lascia comunque il ruolo più importante. Ma non sempre il compito di portare i doni è affidato all’idolo dei più piccoli.

O meglio, in questo amabile compito, è coadiuvato anche dall’albero, sotto i cui rami lascia i doni più consistenti, mentre i più piccoli li appende fra le luci e gli addobbi. L’origine dell’albero natalizio, è relativamente più recente di quanto si creda. Sembra sia “nato” in Alsazia o a Strasburgo agli inizi del 1600 sempre per fini propiziatori. Da qui passò a Parigi nell’800 negli ambienti aristocratici, quindi nei Paesi Scandinavi poi in Russia, per arrivare infine anche in Italia. Ma Natale vuol dire Presepe almeno per L’Europa meridionale e comunque per tutti i Paesi a vocazione Cattolica. Nel 1223 San Francesco costruì il primo Presepe. Considerando la natura del Santo, doveva essere molto semplice e spoglio. Oggi, in alcune regioni, allestirlo è diventata una vera e propria arte.

Al fascino del Natale, non potevano restare indifferenti i musicisti ed i cantastorie. Numerosi i canti popolari sul Natale (Weihnachtslieder tedeschi, i noels francesi, le carols inglesi). Chi non conosce  Adeste fideles , il tedesco  Stille Nacht o Jingle bells?

In Sicilia, i celebri cantastorie, narrano agli angoli delle vie principali, episodi  relativi alla nascita e infanzia di Gesù, affascinando anche il pubblico adulto. I cantastorie sono coadiuvati nel rendere più allegro il Natale, dagli zampognari, che, in tutta Italia, per tradizione, vestono  i costumi dei pastori sardi, diffondendo nenie che contribuiscono a rendere più festosa questa importante ricorrenza.

La tradizione poi si sposta al celebre pranzo natalizio, per la realizzazione del quale, si è portati a non tener conto dei costi. Oggi, per i Paesi più fortunati, il benessere sembrerebbe aver svalutato il “rito”. Ma Natale oltre che importante festa religiosa, è anche la grande festa della famiglia. E per le nostre famiglie, riunite a tavola, quasi sempre con  (mi si perdoni l’irriverenza) i nostri cari Giuseppe e Maria, mentre si rincorrono vocianti nostri piccoli Gesù, credo sia quanto di più bello si possa desiderare.

La "cocca" di nonno Roberto

L’atmosfera creata dalla Ricorrenza, rende più buoni. Nei giorni precedenti il Natale, dicevo a mia madre di essere pentito delle marachelle commesse nell’anno. Mi rispondeva sempre che il pentimento era tardivo e “interessato” visto l’approssimarsi della Festa. Non era vero! Non mi pentivo per ottenere regali ma proprio perché suggestionato dall’evento. Non trovai mai “carbone”… forse perché al mercato nero costava di più di altri oggettini.

Il ricordo adesso mi porta agli anni del dopoguerra. Un Natale, di cui conservo un bel ricordo, è quello ormai lontano del 1946. Era il primo Natale della mia famiglia finalmente riunita dopo gli eventi bellici, che l’avevano divisa.  Eravamo a Nalùt. Insieme alla figlia del Comandante Irlandese della guarnigione, io e mio fratello eravamo gli unici ragazzetti di religione cattolica. Fu proprio a casa del Comandante Littledale, che ci aveva invitati, che vidi il primo albero di Natale. C’erano appese figurine di carta ritagliata, nastri colorati, fiocchetti di cotone e delle arance, appena arrivate da Tripoli con l’autocarro che ogni quindici giorni riforniva il villaggio.

Nessuna luce, né fili argentati ma, sotto, tra i numerosi doni, due pacchettini anche per noi: in uno, un camion di latta, nell’altro caramelle e dolciumi. Ci disse che li aveva portati Babbo Natale. Avevo otto anni quindi piuttosto grandino, avevo visto una guerra e stavo vivendo in un altrettanto brutto dopoguerra ma ricordo che mi piacque credere che fosse tutto vero.

...nessuna luce, nè fili argentati..

In quegli anni, il Natale, non aveva l’importanza commerciale di oggi e Babbo Natale non viveva a Rovaniemi in Finlandia con tanto di casella postale ed ufficio smistamento lettere. Era vivo solo nel nostro immaginario infantile così che, ognuno, se lo plasmava come voleva. Ricordo che la moglie del Comandante, cattolicissima, ci raccontò tante storielle, cantò alcune filastrocche natalizie, ci parlò del Natale nella sua Irlanda,  non riuscendo a nascondere nostalgia e commozione. Io e mio fratello non sapevamo una parola né di inglese né di irlandese e mio padre ci tradusse soltanto alcune frasi. Sembrerebbe assurdo, ma ricordo che capimmo tutto. Forse perché la signora era di una dolcezza e di una espressività incomparabili.

Prima di quel Natale, i doni (molto modesti: qualche caramella, qualche dolcetto) li avevamo avuti “dai morti”. Eravamo a Catania e penso che tale tradizione resista ancora. Il due novembre, giorno di dolore, per non rattristare ulteriormente i bambini ed anche per dimostrare che chi non c’era più si ricordava ancora di loro,  si diceva che i cari defunti portavano i doni. Poi a Verona, dove a tali incombenze provvedeva il 13 dicembre, Santa Lucia. Ma non ci è mai stato un vero Natale, una vera festa, e non ci sono stati mai doni graditi perché la nostra famiglia, come su detto, era divisa.

Gli anni successivi, trascorsi a Ghariàn, sono stati un po’ più “ricchi”. Mia mamma faceva l’albero che di anno in anno diventava sempre più bello e la base sempre più “affollata” di doni. Io, da tradizionalista, il Presepe. Certo non avevo né i mezzi né la competenza dei napoletani, che hanno il culto del Presepe tanto che, nel periodo natalizio, il capoluogo campano merita un viaggio apposito.

Il Presepe

Si producevano, allora, spaghetti lunghi  e con gobbetta, impacchettati a mano in una carta azzurra. Il loro imballo, era il cielo del mio Presepio. Le casette di cartone erano oggetto di scherno da parte dei miei denigratori perché non “proporzionate” all’altezza delle mie statuette di terracotta e ...”ma figurati se a quei tempi le case erano fatte così!”.

Mia mamma, poi, non era da meno. “Quella stella cometa”, mi ripeteva ogni anno, “sembra un gatto giallo arruffato ed ingobbito”..

La statuetta che non ho mai voluto rinnovare era quella del pescatore. Era la più bella. Il pescatore allungava, sul laghetto fatto con un pezzo di specchio rotto, una canna al cui amo aveva abboccato un pesce. Purtroppo un Natale, nel prenderla, mi accorsi che aveva la testa mozzata. Da allora, non disponendo dei supercollanti moderni, impastavo farina ed acqua. Quando però l’impasto si seccava, la testa cadeva nel laghetto. Al che, altra presa in giro: “Hai un pescatore che pesca la sua testa!”.

Abbiamo sempre festeggiato la ricorrenza, il giorno ventiquattro. Si iniziava con la cena e si andava avanti fino alle tre/quattro del mattino per cui, il giorno del Santo Natale, era  giorno di riposo. Mia madre era bravissima a preparare la cena nel rispetto della tradizione che la voleva rigorosamente di magro: a Ghariàn il pesce  non c’era!

Spesso alcuni amici con le loro famiglie, erano nostri ospiti. Poi la grande emozione per l’apertura dei doni, grandi giocate a tombola e a carte. A mezzanotte tutti alla Messa e solito rimbrotto di Padre Antonio accompagnato da più sentite cordonate sulle gambe! Ero chierichetto e toccava a me suonare le campane ... ma arrivavo sempre tardi! Dopo la Messa, si riprendeva a giocare. Così fino all’alba.

A Tripoli, con il benessere derivante dallo sfruttamento del petrolio, il Natale diventò ancora più ricco. Ma solo dal punto di vista materiale. Spiritualmente, per la nostra famiglia, lo è stato sempre. Il 24 Dicembre ricorreva anche l’anniversario dell’Indipendenza della Libia per cui tutto il Paese era in festa.

Una volta, ricordo, stavo tornando a casa in anticipo per gli ultimi ritocchi agli addobbi ed alla cucina. Era la Vigilia del Natale 1962. Incontrai un “importato” (così erano chiamati operai specializzati, funzionari e tecnici che venivano dall’Italia con contratto di lavoro temporaneo e quindi non residenti). Era un amico di mio fratello. Gli chiesi il perché fosse così cupo e soprattutto come mai non fosse partito, visto che, da oltre un mese, non faceva altro che parlare con enfasi delle usanze e tradizioni Natalizie del suo paese nell’Alto Lazio. Mi rispose che non aveva trovato posto in aereo e vani erano stati i tentativi del “via Tunisi” e “via Cairo“. Era al suo primo anno e non sapeva che bisognava prenotare entro i ... quindici minuti dall’apertura delle prenotazioni. Lo invitai a casa nostra ed accettò. Prima di far ritorno a casa, in tutta fretta, comprai un regalino anche per lui. Un piccolo accendino.

Aggiungemmo un posto a tavola”, come nella celebre commedia, e la festa fu ancora più lieta. Si commosse quando si accorse che sotto l’albero c’era un pacchettino anche per lui e, molto imbarazzato, si disperò perché per noi non aveva portato alcun dono.

Quando, a festa finita, se ne andò, nel ringraziarci, ci disse, raggiante, che aveva passato un bel Natale. Che gli era sembrato di essere stato a  casa sua, con la sua famiglia.

Non si rese conto che, con quelle affermazioni, ci aveva fatto il regalo più bello.

Roberto Longo

 

Fonte consultata per i cenni storici: Enciclopedia Universale Fabbri.

(Pubblicato sulla rivista “l’oasi” nel Numero 3/2005 – Settembre - Dicembre 2005)