La stanza di Roberto Longo

Roberto Longo

La pesca subacquea

Intervista a Paolo De Gennis e Franco Venza

di   Roberto Longo

 

Tripoli 1957 - Roberto Longo "sub" - La foto è un falso!

Una foto del 1957, mi ritrae in perfetta tenuta di “sub”. È un falso! Un falso colossale! Ad un vero “sub” bastò una sola occhiata per chiedermi ironicamente da quale Veglione di Carnevale stessi uscendo. Con uno stratagemma ed in un momento di sua disattenzione, feci in tempo a cambiare la didascalia sul retro, sostituendo, la bugia “vecchia”, con un’altra più credibile: “Scherzo ad un amico”. Quindi gli chiesi cosa avesse notato di tanto strano.

“Hai le pinne ai piedi, il mare è a circa 50 metri. La prima cosa che fa un “sub” è togliersi le pinne, utilissime in acqua, ingombranti e fastidiose sulla sabbia. Se a fine pesca si sale sulla barca  o si guadagna la riva a nuoto, la prima cosa da fare, all’arrivo, è proprio sfilarsi le pinne. Hai il fucile con la fiocina in canna e rivolto verso l’alto mentre di norma, sulla “terraferma”, la fiocina è fuori canna ed è legata con la sagola allo stesso fucile. Hai la maschera sollevata sulla fronte e questo può anche “starci”, ma trattieni ancora il boccaglio in bocca. Vesti una camicia ... inamidata, sbottonata e con i due lembi inferiori legati a fiocchetto, roba da “figurino“ non certo da “sub“. Se l’hai usata impropriamente come ... muta, dovrebbe  essere bagnata ed “appiccicata” al torace. Poi trattieni il pesce per la coda. Normalmente si tiene dalle branchie. Appena pescato è viscido. Impossibile tenerlo in modo diverso”.

“Ma certo” risposi, “leggi qui che cosa c’è scritto. Non vedi che si tratta di uno scherzo fatto ad un amico?”.

Ovvio che non era vera né la prima né la seconda didascalia. Ma almeno da quel momento, siccome il discorso andò avanti a lungo avendo io posto un mucchio di domande, mi feci una cultura sull’attività subacquea. Dico “attività” subacquea perché mi viene un po’ difficile considerare la pesca uno sport, una competizione.

Nel ciclismo, ad esempio, tutti i corridori dispongono di una bicicletta e muscoli per farla andare. Tutti cioè partono “ad armi pari”. Poi ovviamente ci sono gli Armstrong, i Bonen, i Bettini. Lo stesso nel calcio, nella pallacanestro, nell’atletica. Tutti hanno gli stessi mezzi, tutti partono alla pari. Poi c’è il campione e la mezza calzetta.

Nella pesca con la canna, invece, da una parte c’è l’inganno, dall’altra: ingenuità e fame. In quella subacquea: da una parte un fucile, dall’altra: guizzo veloce e speranza di avere la tana molto vicina. Stesso discorso per la caccia: la sua pratica resiste dall’età della pietra ma come si fa a considerarla uno sport?

Non credo che la  “donna dell’età della pietra” dicesse: “Pietro, (qui inteso come Uomo ... dell’età della pietra) Pietro, vai a fare un po’ di sport ché non c’é più carne e stasera abbiamo ospiti: vengono quelli che si portano appresso anche il leone a guinzaglio”.

Tuttavia ho sempre ammirato coloro che riuscivano a nuotare e a scendere sott’acqua in apnea. Non ci sono mai riuscito, non ho mai imparato. Ammirato sì, invidiato no. Non conosco né l’invidia, né l’accidia. Rimangono altri cinque peccati capitali: per tre, quando sarò chiamato a giustificarmi (il più tarduccio possibile) invocherò le attenuanti generiche, per gli altri due mi necessiterà un buon avvocato!

Pur essendo contrario alla pesca ed alla caccia, non disdegno affatto né il pesce né la cacciagione. Non sono cioè come quei “protettori degli animali” nemici delle pellicce ma che al ristorante non solo chiedono una bella “fiorentina”ma si raccomandano che sia ... “al sangue”!

Anche se nuoto e pesca non mi hanno mai entusiasmato, la scarsa dimestichezza con pinne e maschere, mi ha impedito di ammirare i fondali bellissimi della Libia e quelli incomparabili del Mar Rosso e delle Maldive. Rimanendo a pelo d’acqua con quelle maschere “di una volta”, quelle che avevano  il boccaglio che terminava in superficie con un galleggiante pronto a chiudersi all’arrivo dell’onda in modo da impedire l’entrata dell’acqua, sono riuscito, a suo tempo, a vedere qualcosa. Quel tipo di boccaglio anni cinquanta/sessanta non lo fanno più. Tutto pertanto ha congiurato contro di me e sono stato sempre costretto a rifarmi con i documentari televisivi usando una poltrona al posto della barca ed il telecomando al posto di pinne, maschera e sopratutto “fiato”.

Quando mi è stato chiesto di scrivere qualcosa sulla pesca subacquea in Libia, ho avuto un attimo di panico. Poi ho accettato sapendo che avrei trovato collaborazione in due miei ex-compagni di scuola ed attuali amici: i signori Paolo De Gennis e Franco Venza.

Da qui in poi non è farina del mio sacco nel senso che io ci ho messo solo il sacco, il ghirbal (setaccio)  e qualche additivo. Loro la farina di ... pesce!

Paolo De Gennis mi rispose subito che non ricordava più niente, che erano passati ormai oltre cinquant’anni. Poi, sfogliando vecchi album di fotografie ed un articolo della rivista “Mondo Sommerso” che lo riguardava, ha improvvisamente messo indietro l’orologio di mezzo secolo e devo dire che, negli occhi immalinconiti dalla nostalgia, mi è sembrato vedere cernie, saraghi e ombrine guizzanti. Mi stava venendo il mal di mare!

Paolo De Gennis

“Passavo la maggior parte del tempo disponibile, in acqua”, esordisce Paolo. “A dodici anni, mio padre mi fece il regalo tanto atteso: un fucile. Qualche anno prima, erano arrivate in Libia le prime attrezzature per i “sub”: pinne e maschere della Superga e fucili della Cressi. Il “siluro” fu il mio primo fucile. Poiché la pesca subacquea continuava a fare “proseliti“, arrivarono in seguito, il “Saetta” A e B, il “Cernia” ed il “Cernia Sport”. Tutti fucili a molla, sempre più potenti. La pesca subacquea diventava, ogni giorno di più, l’obiettivo della mia giornata. Il “conflitto d’interesse” con lo studio era tranquillamente superato quando mia madre, pronta al “rimbrotto” giornaliero, si vedeva presentare il risultato della caccia: il pesce da lei stessa ordinatomi per il pranzo. Quel meraviglioso, pescosissimo mare, non mi ha mai fatto fare brutta figura.

Abitavo a Giorgimpopoli, vicino all’omonima spiaggia. A pochi metri affiorava uno scoglio che, con poca fantasia, chiamavamo “il primo scoglio”. Quattrocento metri più al largo, un secondo scoglio. Ovvia la sua denominazione.

In ambedue, una miriade di cernie, saraghi, ombrine, lecce, ricciole, orate, spigole, dentici, murene, cefali e cicale. Praticamente tutte le specie viventi nel Mediterraneo. I pesci, al nostro arrivo, non erano assolutamente spaventati anzi, erano addirittura curiosi e si avvicinavano diventando, purtroppo per essi, facili prede. Le cernie di fondo salivano a candela mentre branchi di ricciole del peso anche di 20 Kg. continuavano a girarci intorno. Le mie prime “uscite” le ho fatte con Gasparino Gucciardi, bravissimo “sub”.

Nuotando dai citati scogli verso il Lido, ad una profondità di circa 15 metri, vi era una specie di molo. Si trattava, in realtà, di massi quadrati di grande dimensione che si propagavano verso il largo per circa 50 - 60 metri. La chiamavamo la “strada Romana” ed era il regno di grossi saraghi. Con un colpo, se ne potevano prendere due o tre. Una volta, entrato in un branco, ne presi cinque, in un sol colpo.

Altre zone vicine e molto pescose erano: Gargàresh, la “Punta Nera” e tutta la scogliera di fronte alla tonnara. Ma il piacere dell’esplorazione oltre a quella più concreta della cattura del pesce mi spingeva sempre più lontano. Così, insieme a Duccio Menghi, un grande della pesca subacquea, pescavo a Zuara, Marsa Zuagha, Sabratha, Sorman, Zavia ed anche ad est verso Garabulli, Homs, Leptis Magna, Zliten e Misurata.

Una volta, all’Isola Corradini, insieme a Franco Venza e Bruno De Marchi,

Franco Venza Bruno De Marchi

pescammo molte cernie. Infilate nella sagola, le stavamo portando a nuoto a riva certi che, l’indomani, ci sarebbe stato haraimi per tutti. Improvvisamente il nodo, che chiudeva la sagola a cerchio, si sciolse e tutte le cernie ne uscirono. Quando ce ne accorgemmo, tornammo indietro per recuperarle. Giacevano, infatti, sul fondo. Ne presi una tra le mani ma questa mi scappò via a razzo perché... era viva! Si trovava sul fondale per caso e si stava riposando vicino alle altre.  Non era affatto una delle cernie catturate in precedenza.

La pesca subacquea, con il passar degli anni, affascinava un sempre più crescente numero di appassionati. Iniziarono le prime gare. La gara durava sei ore ed ogni sub disponeva di una barca e di un rematore. La zona di pesca veniva scelta dalla giuria  il mattino della gara (Possibilmente il giorno di chiusura delle pescherie N.d.R.). Al termine delle sei ore concesse, si rientrava a rimorchio. Vinceva il peso, non la qualità del pescato. Tra i migliori, Gigi Sartori, Duccio Menghi, Vito Calia, Gaspare Gucciardi, Renzo Corradi. Se ho dimenticato qualcuno, la colpa è del troppo tempo trascorso, non si tratta di … dolo.

Ricordo molto bene, invece,  un’immersione nei fondali di Gargàresh. Avevo arpionato una grossa cernia e tentavo di tirala fuori dall’anfratto in cui si era infilata. Dopo un certo numero di emersioni ed immersioni ed altrettanti tentativi per recuperare cernia e fucile, di colpo, mi trovai di fronte uno squalo. Era il primo che vedevo a così poca distanza. Rimasi pietrificato per qualche istante poi, velocemente, riemersi. Non seppi mai se quel tipo di squalo fosse pericoloso o innocuo per l’uomo. Ma, anziché pormi tale dilemma, optai per l’immediata emersione. Lo squalo non cambiò la sua rotta. Passò tranquillamente sotto di me, avrei potuto toccarlo. Non so dove lo squalo se ne andò, ma ricordo dove andai io: velocemente a riva senza né cernia né fucile.

Questo simpatico episodio, affiorato tra i ricordi, ha stemperato un po’ la nostalgia. Per i luoghi ricordati, per il rivivere quegli anni meravigliosi. Ma Paolo De Gennis

Paolo De Gennis

non ha ancora appeso al classico chiodo pinne, maschera e fucile. Infatti, più volte all’anno, con l’ausilio di bombole, insieme alle figlie, si immerge negli altrettanto limpidi e pescosi fondali di Lampedusa. Il bottino: non sempre abbondante, ma di qualità.

Paolo viene premiato da una sorridente signorina - Alle sua sinistra Alì Zentuti

L’intervista, per usare un termine che sa di iperbole, era terminata ma, nel congedarmi, vidi che Paolo aveva tra le mani alcune pagine di una rivista. Era incerto se mostrarmele o meno.

Paolo de Gennis  nelle acque di Giorginpopoli

Si trattava di un articolo a firma di Roberto Dei, scritto per la rivista “Mondo Sommerso” nel 1964,  che descriveva  un viaggio in Libia provenendo via terra dalla Tunisia ed esaltava la bellezza dei fondali libici. Ne trascrivo alcuni stralci:

“A Zuara, scrive l’articolista, ho lasciato la guida a Paolo De Gennis e mi sono addormentato. All’alba eravamo già di fronte la villetta di Renzo Corradi, uno dei migliori subacquei conosciuti in Libia e che fa da guida ai turisti che vogliono essere accompagnati nelle zone migliori di pesca o caccia ...

... Ma non solo per la varietà ed abbondanza di pesce ... nei fondali antistanti gli scavi di Sabratha, è facile trovare interessanti reperti archeologici ... Al contrario del mare tunisino, così avaro per i subacquei, quello libico non potrebbe essere più generoso ed eccitante ... Fa caldo a Zuara, quando arriviamo, Duccio Menghi e Gigi Sartori mi hanno convinto ad andare con loro ... nomi famosi tra i subacquei di Libia ... ambedue hanno fatto parte della nazionale libica ai campionati mondiali ... il primo è l’attuale campione di Libia, il secondo lo è stato per vari anni …”

Segue un’ampia descrizione dei fondali visitati dalla quale emergono sorpresa, meraviglia, entusiasmo da parte di un attonito Roberto Dei. Nelle foto presenti nell’articolo, Duccio Menghi con due cernie ... più grosse di lui, una foto che ritrae Renzo Corradi e Paolo De Gennis davanti alla famosa edicola di Cesare Filacchioni. Un’altra, mostra un’asta a cui sono sospese un numero incredibile di cernie, ombrine, spigole con la seguente didascalia: “Il carniere della foto qui sotto, è stato realizzato in apnea, in neanche un’ora”. La frase rafforza incredulità e meraviglia dell’articolista.

La Libia subacquea, ha attirato per anni anche Walter Chiari. Ho avuto la fortuna di conoscerlo.

Walter Chiari

Quando era il momento di partire, consultava la sua agenda. Tra gli impegni per film in lavorazione, teatro, radio e televisione, cercava sempre due/tre giorni liberi per ritornare ad immergersi nel mare di Libia.

L’altro intervistato è Franco Venza che “Visto che ti ha detto tutto Paolo ... ti racconto alcuni episodi.

Tripoli 1962 - Franco Venza

La mia zona usuale di caccia, era quella antistante i Bagni sulfurei e quella nota come “il settimo“. Nome dovuto al chilometro della Litoranea. Ero all’inizio della mia attività hobbistica di “sub”, quando una mattina decidemmo di fare una battuta di pesca partendo appunto dai “Bagni sulfurei” dove mio suocero Dante Borghi aveva una cabina in legno nell’alveo dell’Uadi Megenin .

(Questo Uadi, ogni tre/quattro anni, decideva che era ora di rinnovare tutte le cabine in legno che si trovavano sul “suo letto”. Quindi con una bella “piena” obbligava i proprietari alla ricostruzione la primavera successiva. Le cabine erano tutte in legno. Tutte pitturate di verde e con una bella veranda. I proprietari le avevano posizionate su pali. Sembravano  palafitte. Speravano che l’acqua passando sotto le avrebbe risparmiate. Ma l’Uadi ogni tanto … N.d.R.)

“Con la barca di Giorgio Lo Negro - continua Franco - in compagnia di mio suocero ed altri appassionati, salpammo di buon mattino. Quindici minuti dopo eravamo già sulla secca di 5 - 8 metri a metà strada tra la spiaggia e lo scoglio centrale. Ansioso di collaudare il mio nuovo “Cernia Sport” a doppia molla, dopo una profonda inspirazione giù sul fondo tra le rocce. Neanche avessi fissato un appuntamento: davanti a me, ma fuori portata del mio fucile  una grossa cernia. Mi avvicinai lentamente, il fucile puntato. Stavo per tirare il grilletto quando la cernia (che non aveva alcuna intenzione di fare da “portaspilli”), con una fulminea virata si infilò in un anfratto non più largo di un palmo.

Ripreso fiato in superficie, nuova immersione. Attraverso la fessura, vidi la sagoma scura della cernia. Tirai il grilletto, grande assordante rimbombo nella tana mentre un nuvolone di sabbia oscurò la vista. Afferrai la sagola ed iniziai a tirare ma inutilmente. Emersioni ed immersioni continue, strattoni sempre più forti, ma nessun risultato. Oramai era una sfida. (Nulla a che fare con quella tra il capitano Achab e la sua Moby Dick e soprattutto ... N.d.R.)  nulla di personale ma, a quel punto, volevo almeno ricuperare fucile e fiocina.

I miei compagni, nel frattempo, avendo catturato numerosi saraghi e corvine, erano già a riva per il pranzo. Memorizzato il posto della mia tenace cernia, raggiunsi anch’io la comitiva. Nel pomeriggio, non senza difficoltà, ritrovai tana, cernia e fucile. Altri strattoni, tutto inutile. Aggirai la tana e vidi la testa della cernia incastrata tra le rocce. Iniziai a colpire la roccia per allargare il foro, raggiunsi così la testa del pesce che indietreggiò. Finalmente con un ulteriore strattone, allo stremo ormai delle mie forze, riuscii a stanare la cernia.

Tripoli 1962 - Franco Venza

Il giorno dopo, nel giardino di Giorgio, insieme a molti amici gustammo uno dei piatti più gustosi della cucina tripolina: il kus-ksì con la cernia.

Non dissi ad alcuno che, da pescatore ancora inesperto, avevo commesso un grosso errore: arpionare la cernia sulla coda.

Un’altra volta, mi immersi con Giorgio nelle acque antistanti il settimo chilometro. Ognuno andò nei propri luoghi segreti. Quando dopo alcune ore decisi di ritornare, non vidi più né Giorgio né purtroppo la barca! Probabilmente il mio amico, non vedendomi, aveva pensato che fossi rientrato da solo. Era già sera. Dopo qualche attimo di panico, iniziai a nuotare verso i Bagni Sulfurei da dove, molte ore prima, eravamo salpati. Arrivai completamente distrutto!

(Dopo alcune ore, quando il buio fitto e l’inspiegabile ritardo, avevano giustamente preoccupato parenti e amici, una grossa sagoma nera agitava le acque. Poteva essere un grosso pesce con in bocca lo sfortunato Franco o lo stesso Franco con una sagola piena di cernie e spigole. Fortunatamente si verificò la seconda  alternativa. N.d.R.)

“Con Duccio Menghi, un’altra brutta avventura, anche se a lieto fine. Decidemmo di pescare di notte con le torce. Improvvisamente qualcosa mi colpì. Mi trovai una fiocina infilzata in un fianco. Solo per fortuna aveva trapassato la muta da parte a parte sfiorando appena la pelle.”

“Adesso continuo ancora ad immergermi. È  sempre magnifico il farlo, ma le cernie, i saraghi, le spigole del mare libico non le ho più viste”.

*****

A sentir parlare di quelle meraviglie, mi  ricordai della mia pescheria preferita di Tripoli. Quella gestita da un ebreo, quasi di fronte al Cinema Metropol da me citata sull’Oasi di genn/aprile 2002. Sopratutto mi era venuta una gran voglia di mangiar pesce. Anzi haraimi con la cernia! Entrai quindi in una pescheria di Milano. Il commesso, si accorse che stavo osservando da un po’ il banco espositivo.

“Quelle sono orate allevate in Italia. Queste altre invece sono di allevamento greco. Se preferisce quelle allevate in Spagna ... poi ci sono i branzini, le consiglio quelle di allevamento nazionale ... quella è piovra decongelata, come quei moscardini lì in basso  ...”.

“Veramente avrei desiderato acquistare una cernia”.

“Eccole lì, pescate in Atlantico, arrivate oggi” Mi disse.

Vidi alcuni pesci scuri che non mi ricordavano affatto le cernie che intendevo acquistare e gli chiesi: “Non avete le cernie di scoglio ... quelle che hanno il sottopancia dorato?”.

Mi rispose di no, un po’ imbarazzato. Forse non le aveva mai viste.

“Mi dia un chilo di sarde, per favore”. Presi il cartoccio e me ne andai. Per l’haraimi, il prossimo anno ... ho qualche probabilità ... sono ... ultra sessantacinquenne! Potrei ottenere il visto d’ingresso in Libia.

Una cernia "doc"

Roberto Longo

 (Pubblicato sulla rivista “l’oasi” nel Numero 3/2005 – Settembre - Dicembre 2005)