La stanza di Roberto Longo

Roberto Longo

Meglio tardi che mai!

di   Roberto Longo

Paderno del Grappa - 5 settembre 2004 -

Giuseppe Segalla  e Mario Anan si sono riconciliati dopo 35 anni

Fratel Eligio e Mario Anan si sono riconciliati dopo 35 anni e la foto qui riprodotta ne è la prova inconfutabile. Sarà perché il tempo affievolisce i rancori, sarà perché a tavola si smussano molti angoli, sarà perché aleggiava quel generale spirito di fratellanza sempre presente nei Raduni di Paderno del Grappa, fatto sta che ne è derivata una calorosa stretta di mano e la posa di una pietra anzi di un macigno sul passato.

Pur avendo frequentato spesso il luogo del fattaccio, non ero presente alla partita in questione per cui ho chiesto “lumi” ai diretti interessati.

Ricordo perfettamente il campo di calcio della Mellaha, luogo in cui si disputavano contemporaneamente due “lotte”. Una in campo dove le forze bene o male si equivalevano, l’altra impari sugli spalti tra un centinaio di spettatori ed alcuni ... milioni di zanzare.

Correva l’anno 1969, tarda primavera. Allora i giocatori erano ancora portiere, terzini, mediani, mezze ali, ali, centromediano e centrattacco. Non c’erano ancora i “difendenti”, gli “incontristi”, il “cursore offensivo”, il “fluidificante di destra”, il “tornante di sinistra”, il “giocatore di fascia”, punta, mezza punta, seconda punta.

Nessuno si sognava di “entrare in cabina di regia” né di “prendere per mano la squadra”. A centro campo non c’era “nessun filtro” ma semmai delle belle buche. Sulle maglie c’erano sempre i numeri da 1 a 11 e ogni numero corrispondeva ad un giocatore con compiti ben precisi. Non esisteva il numero 35, 63, 80, 91 ecc. ecc.

Nessun allenatore “disponeva” la squadra con il 4-4-2 o con il 4-3-3 ecc. ecc. anche perché, la maggioranza di detti allenatori, aveva poca dimestichezza con la scienza di Archimede per cui pensando al 5-4-3 o 6-4-2 rischiava di mandare in campo tredici/quindici giocatori invece dei regolamentari undici. L’allenatore era semplicemente colui che stabiliva chi doveva giocare. Scelta che avveniva all’inizio del campionato e non cambiava se non per infortunio o serio impedimento del “titolare”. Nella maggioranza dei casi, l’allenamento consisteva in alcuni giri di campo (esercizio detestato da tutti) e poi via col pallone. Normalmente “attacco” contro “difesa”. Quando un attaccante calciava con forza il pallone verso la porta avversaria, non “provava il destro” né lasciava “partire il sinistro” ma semplicemente tirava “una sventola” o “una sleppa”. Chi giocava ... "energicamente" non era certamente da biasimare perché il “calcio” non era né è certo sport per signorine. Ma chi esagerava era un “Caino” (in questo caso bastava ... non esserne il fratello!). Chi “entrava ai limiti del regolamento” era considerato un mulo. Mulazzaro o mulazzone era invece colui il cui scopo principale era mirare direttamente alle caviglie, agli stinchi, al bersaglio grosso; mai al pallone!

Mario Anan non apparteneva a nessuna delle categorie citate. Per lui fu coniato (per sua stessa ammissione) un nuovo epiteto: Macellaio (senza offesa per questa categoria di onesti quanto necessari lavoratori). Mario rincorreva il suo avversario e mirava subito a stinchi, ginocchi, caviglie, senza badare al pallone. “Tanto”, diceva, “dietro c’è il mio compagno. Ci penserà lui”.

Tornando al “fattaccio”, Fratel Eligio e Mario Annan mi hanno raccontato, ovviamente ciascuno dal suo punto di vista, quanto successo nel lontano 1969 e oggetto di una guerra terminata appunto con il citato armistizio dopo trentacinque anni.

Si disputava l’ultima partita del torneo. San Francesco e La Salle erano a pari punti. Nulla di strano perché quest’ultima formazione non era più la grande La Salle (quella del pareggio con l’Ittihad, per intenderci) ma era una La Sallina priva ormai del supercontrollo di Fratel Arnaldo. Ovvio che chi avesse vinto, si sarebbe aggiudicato il torneo. Il pareggio non serviva a nessuno. Nelle file del San Francesco, Mario Anan. In quelle de La Salle, Fratel Eligio.

Fratel Eligio era il pericolo numero uno per le difese avversarie. Era molto veloce e sapeva “trattare” bene il pallone. A Mario Anan il compito di fermarlo. I compagni, infatti, gli avevano detto di marcare l’uomo. Si dice che Anan abbia interpretato male la cosa, cioè marcare, nel senso di apporre il marchio dei suoi tacchetti al “titanio” sull’uomo. Fratel Eligio asserisce che Mario gli aveva fatto “il ponte” facendolo cadere pesantemente con conseguente lussazione della clavicola. Molto contrariato da simile affermazione, Mario si difese dicendo che è sempre stato specialista in caviglie e stinchi. Fare ruzzolare l’avversario facendogli “il ponte” non era la sua specialità.

Tornando alla partita, fuori Fratel Eligio, il San Francesco dilagò vincendo per 3 - 0.

Ma, incontrandosi dopo 35 anni, e ricordare quei bei tempi in gioventù, aveva rallegrato entrambi che, senza rancore, si sono scambiati calorose strette di mano.

 

P.S. La “voce” che un impiegato di una nota Compagnia di Assicurazione, fosse stato licenziato in tronco per aver emesso un certificato a copertura di infortuni in una partita dove era certa la presenza di Mario Anan, sembrerebbe priva di fondamento.

La notizia che per molto tempo Mario Anan, girasse con il burka per non farsi riconoscere da un imbufalito “Fratel Eligio”, non ha mai trovato riscontro.

Il “si dice” che Fratel Eligio, fosse tornato in abiti“civili” ritornando ad essere Giuseppe Segalla per non aver obblighi morali di “porre l’altra guancia”, ma “menare di brutto” il Macellaio, è solo fantasia di maldicenti.

Roberto Longo   

(In margine al Raduno di Paderno del Grappa del 5 Settembre 2004)