La stanza di Roberto Longo

Roberto Longo

Il diavoletto

di   Roberto Longo

L’avrebbero dimesso prima di mezzogiorno. Mancava soltanto la firma del chirurgo che prima lo aveva operato e poi seguito il decorso post-operatorio. Giuma, se l’era vista proprio brutta! Aveva creduto di morire. Tutte le donne  ritengono che gli uomini, in particolar modo i mariti, quando hanno problemi di salute, esagerino un po’ troppo sui loro mali e drammatizzino così tanto da trasformare un lieve malore in gravissima malattia.

Ma potevano pensare, dire quello che volevano ed anche ironizzare perché a Giuma non importava alcunché. Riteneva, infatti, di essere nato una seconda volta e lo aveva ripetuto continuamente ai numerosi amici che gli avevano fatto visita, ad intervento avvenuto.

 - “Ho sentito un dolore terribile al fianco destro, la testa mi girava, la vista si annebbiava ... vedevo tutto nero ... poi sono caduto a terra e per fortuna i miei vicini mi hanno portato immediatamente in ospedale, a Tripoli. Ma ... dovete credermi ... non pensavo di arrivarci vivo!” - 

Il tutto recitato con una drammaticità tale da fare invidia ad un grande attore!

Gli amici lo guardavano attoniti e, schioccando la lingua, emettevano, secondo le consuetudini, quei monosillabi attestanti grande meraviglia, che più o meno suonano così Ntsù, Ntsù, Ntsù, Ntsù. E Giuma, da protagonista, se ne beava, aggiungendo, ogni volta che riviveva la sua avventura, altri particolari tragici che, diceva, poteva raccontare per il solo fatto che evidentemente fino a quel momento non era ancora giunta la “sua ora”.

In realtà, aveva avuto un banale attacco di appendicite e neanche tanto grave considerando che lo avevano operato, in tutta calma, tre giorni dopo il ricovero. Appena passato l’intontimento dovuto all’anestesia ed ai farmaci, Giuma, aveva occupato le ore vietate alle visite a ricordare il passato: a rivedere col pensiero quella vita che, al momento dell’attacco, gli era sembrata giunta al termine. Una cosa lo assillava: aveva avuto l’occasione della vita? La fortuna, aveva bussato alla sua porta? Ne aveva approfittato o l’aveva ritenuta ingannevole e falsa e non le aveva aperto? Questa ossessione “dell’occasione della vita” era, per lui, un pallino fisso! Tutti, andava dicendo, durante la vita hanno avuto, hanno o avranno almeno una grande occasione! Il difficile semmai è valutare se si tratti realmente del classico colpo di fortuna da prendere al volo o invece di falsa opportunità piena di insidie e quindi da respingere. Quante volte aveva sentito dire da parenti ed amici: se quel tal giorno avessi accettato … avessi rifiutato .. avessi fatto questo … quello … a quest’ora io … noi ecc. ecc.

Si riferiva a quando, secondo lui, il “destino” si girava per un momento da un’altra parte e metteva davanti ad un bivio, ad una decisione da prendere velocemente, l’interessato di turno dandogli libera opportunità di scelta. In base alla decisione che quest’ultimo avrebbe preso o non preso, ne avrebbe riscritto o riconfermato il futuro.

Ma non era farina del suo sacco. Era stato Am Alì ad insegnarglielo. Quando Giuma era giù di corda, Alì lo confortava dicendogli che il destino gli avrebbe fatto, come a tutti, delle proposte. Perché il destino ad un certo punto della vita dava la possibilità a molti di variare in meglio o in peggio quanto per loro aveva già stabilito. Sì certo, anche in peggio e per questo motivo bisognava saper scegliere bene: accettare le buone alternative e fuggire da quelle brutte.

Ricordare Am Alì fu inevitabile. (“Zio Alì”, forma rispettosa nei riguardi di persona anziana.) Si era ripromesso pertanto che, appena in forze, sarebbe andato a trovarlo. Un po’ per raccontargli la “terribile” avventura, un po’ perché non lo vedeva da alcuni anni. Considerava il vecchio Alì, suo secondo padre e questi ne ricambiava l’affetto e la stima anche se il primo impatto, fra i due, non fu certo dei migliori.

A quattro anni era rimasto orfano di padre. Aveva anche una sorellina. La madre non si era risposata o meglio,  nessuno l’aveva chiesta al padre cui spettava ogni decisione. Giuma, ex-diavoletto, non conosceva con esattezza la sua data di nascita perché la famiglia, semi-nomade, non aveva provveduto alla registrazione all’anagrafe e quando si rese necessario farlo, al capo-cabila, la madre disse che era nato circa 15 giorni dopo lo scoppio della guerra. Non fu chiaro se intendesse il 1° settembre del 1939, invasione della Polonia o il 10 giugno del 1940, entrata dell’Italia in guerra. Siccome era necessario che Giuma risultasse più grande, fu scelta la data del 16 settembre 1939. Ma bastava solo 1939 perché su tutti i documenti veniva riportato soltanto l’anno, ignorando mese e giorno. Alla morte del marito, la madre di Giuma ritornò nella casa paterna e, dopo qualche anno, la famiglia decise di mettere fine alla vita nomade e di coltivare il bel terreno agricolo che già possedeva. All’età di dieci anni, Giuma  aiutava gli Ah-wal (zii materni) ad arare il terreno con un attrezzo fatto interamente in legno e trascinato da un dromedario. Tutte le mattine si alzava alle cinque e, insieme ad uno degli zii, raccoglieva frutta ed ortaggi destinati al mercato in centro città dove un altro zio aveva un “banco”. Si chiedeva, ma non osava dirlo, il perché la mattina alle cinque e non la sera prima. Quindi, con disappunto, aiutava a caricare un carro in legno senza sponde trainato da un somarello. Solo un asse e solo due ruote che andavano di sbieco, un po’ come accade a quelle dei moderni carrelli dei supermarket. Arrivati al mercato, Giuma aiutava lo zio a scaricare e sistemare sul banco, verdure, frutta ed ortaggi, quindi girava fra le varie bancarelle facendo di tutto. Poi arrivavano le signore che lo chiamavano diavoletto e si facevano portare a casa le borse piene, quasi sempre molto pesanti. La cliente migliore era la signora Maria. “diavoletto vieni qui” gli gridava. Diavoletto non era un’offesa ma lo storpiamento della parola araba “Ya uledi” (figliolo, ragazzo). Giuma, storpiando a sua volta, inconsciamente le rendeva la “pariglia” chiamandola “Saniura Marria”. Quando la intravedeva, lasciava perdere tutto. Saniura Marria significava almeno dieci M.a.l. e quasi sicuramente una decina di caramelle. Ma l’esperienza che aveva accumulato girando fra i banchi del mercato, gli suggerì di tentare la via del commercio. Chiese ed ottenne dagli zii di poter disporre di un paio di cassette di ortaggi e verdure varie da vendere “in proprio”. Ovviamente non dentro il mercato, ma appena al di fuori dove si accalcava una miriade di piccoli rivenditori.

Suk

Aveva intravisto un piccolo spazio fra il citato Alì, uomo molto influente e che incuteva un certo rispetto, ed un altro più anziano, un certo Omar, un po’ burbero. Il primo vendeva spezie, l’altro legumi secchi.

La mattina si era presentato con le sue cassette ed aveva esordito: - “Ammi Alì, posso mettermi tra voi due a vendere un po’ di verdure?”-

- “Vattene via! Non vedi che non c’è spazio nemmeno per noi?” -

Giuma riprese le sue cassette, le caricò sul carretto e se ne andò. Ma dopo una mezz’ora ritornò con un signore ben vestito.

- “Ancora qua sei? Ti ho detto d’andartene!” -

- “Ammi Alì, questo signore mi ha chiesto dove avrebbe potuto trovare del felfel. Gli ho detto che in tutto il mercato ... ma che dico ... in tutto il mondo il miglior felfel lo vendi tu!”-

Alì lo guardò con sufficienza. Ma il cliente acquistò anche un po’ di bzar, korkob, keruwia, kherfa andandosene senza neanche trattare sui prezzi.

- “Sai Ammi Alì, tutti quelli che hanno acquistato dal mio carretto qualche zucchina, qualche fijel, qualche melanzana, mi chiedevano dove avrebbero potuto trovare gli hararat (spezie) ... Che siano prodotti “complementari?”. Per caso, non sarà che ... un articolo ... tiri ... l’altro?” -

Alì non poté trattenere una risata. - “Amma enta sheitan, sheitan kebir!”, (tu sei un diavolo, un grande diavolo qui nel significato di “furbo, grande furbo”)  - “E va bene, mettiti qui, ma provvisoriamente ... hai capito?” -

Non aveva finito di dire le ultime parole che Giuma aveva già scaricato il tutto e si era accovacciato a ridosso del muro pronto a ricevere i clienti. Arrivarono le proteste di quell’altro, Omar, che vendeva ceci, lenticchie, fave, fagioli. Ma bastò un’occhiata di Alì a farlo desistere. Giuma col tempo si era conquistato anche la simpatia di Omar. Non potendo dare consigli, secondo costume, ad un uomo che aveva almeno il quadruplo della sua età, in due occasioni ricorse ad uno stratagemma:

- “Lo sai Ammi Omar che forse avevi ragione tu quando mi dicesti che era il caso di aggiungere ai tuoi articoli anche della semola da kus-ksì e della farina d’orzo per il basin?”-

Non era vero: ad Omar non era passata neanche per l’anticamera del cervello l’idea di aggiungere quei prodotti ai suoi. Alì, che lo sapeva benissimo, tentennava la testa e quasi parlando a sé stesso ripeteva: - “Sheitan, sheitan kebir”-

Omar aggiunse semola e farina d’orzo ai suoi legumi e ne vendeva almeno un sacco al giorno.

Spesso, un signore ben vestito si fermava davanti a Giuma, scambiava qualche parola, poi acquistava qualcosa ed andava via. Alì si rivolgeva immediatamente a Giuma e gli ripeteva: - “quell’uomo non mi piace”-.

Negli intervalli tra un cliente e l’altro purtroppo spesso molto lunghi, Giuma non si poteva dar pace.  - “Ammi Alì ma perché la maggioranza preferisce acquistare dai “banchi” del mercato anziché da me. Ti giuro che, di nascosto di mio zio, la mattina, scelgo gli ortaggi migliori e li vendo a metà prezzo. Tutti i signori entrano nel mercato grande ed escono con le “goffe” piene pagando il doppio, prodotti che valgono la metà!”-

- “E tu alza i prezzi! Ricordati che la maggioranza non è in grado di valutare la qualità ma, stupidamente,  la ritiene proporzionale al prezzo”-.

Ma a Giuma non dispiacevano i periodi di pausa perché poteva ascoltare i racconti ed i consigli di Alì.

- “Tutti, diceva spesso Alì, hanno avuto o avranno almeno una possibilità di cambiare in meglio la loro vita. Tutti: ricchi e poveri. Ma non tutti ne approfittano. Alcuni per incapacità altri per varie circostanze. Quando sarai più grande e ti troverai a conversare con i tuoi amici, ciascuno di loro ti dirà ... “se avessi accettato ... a quest’ora ... e fossi partito invece di ... se avessi preso quella strada invece di quell’altra ... ”. Involontariamente essi ti diranno che hanno avuto la possibilità, l’occasione della vita, ma non l’hanno sfruttata. Attenzione, però: qualche volta, anziché la fortuna, alla porta si presenta l’inganno sotto le sembianze della migliore occasione della vita”.-

- “A me non succederà. Capirò subito se chi busserà alla mia porta sarà vera fortuna o fortuna ingannevole”- disse Giuma con la baldanza e l’arroganza proprie della sua giovane età.

-“Non è così semplice, Giuma. Devi sapere che diversi anni fa, ad un mio parente accadde una cosa molto strana. Un vicino, che doveva trasferirsi in città, lo andò a trovare e gli chiese se avesse voluto acquistare la sua hawaza (azienda agricola). - “Ma non posseggo denaro”-  rispose il mio parente. - “Non ti preoccupare, pagherai quando li avrai”-.

- Era una terra fertilissima senza problemi di acqua. Ecco la grande occasione della vita, pensò, il mio parente.” -

- “Certo che lo era! Perché, non fu così?”-.

- “Le cose andarono molto bene per soli tre anni durante i quali parte del denaro pattuito fu versata al venditore. Poi, purtroppo, il pozzo si prosciugò. Il mio parente chiamò un’impresa che invano perforò dappertutto, ma acqua, neppure una goccia! Il terreno dovette essere svenduto. Per saldare il debito con il venditore e pagare  l’impresa di perforazione, il mio parente sta ancora facendo grandi sacrifici!”-.

Ritornando con la memoria a quegl’anni, Giuma, dal suo letto d’ospedale, pensava che molto probabilmente Alì gli aveva raccontato la storia dell’occasione della vita, per tirargli su il morale nei momenti in cui la scarsa clientela lo demoralizzava e gli rendeva incerto il futuro. E forse per rendere sicura la scelta fra fortuna e inganno, lo aveva convinto ad andare a scuola di pomeriggio. Doveva tuttavia ammettere che, discorrendo con gli amici,  gli era capitato spesso di sentir dire che avevano perso delle opportunità favolose, per non aver afferrato l’occasione propizia. Altri stavano zitti, ma se si assentavano, immediatamente, c’era sempre chi diceva: -“Quello sì che è stato fortunato!”-, oppure - “Quello ha fatto una scelta molto stupida ed adesso è ridotto molto male!”.

Un giorno, tornando a casa, Giuma raccontò alla madre di quel signore elegante che spesso acquistava da lui verdure ed ortaggi e lo descrisse. La madre disse: - “Quell’uomo, che adesso è molto ricco, un tempo mi chiese in sposa. Mio padre gli rispose che ero già impegnata con colui che dopo sarebbe diventato tuo padre. Non era vero, ma quel signore aveva già due mogli che non gli avevano dato figli e ne cercava pertanto una terza. Questa situazione non piaceva a mio padre per cui, rifiutò”-.

- “Anche tu allora hai avuto l’occasione della tua vita e le circostanze ti hanno impedito di approfittarne!”-.

La madre che era a conoscenza della “teoria” di Alì, per averla sentita ripetere più volte da Giuma, prontamente rispose: - “Ma era fortuna ingannevole! A quest’ora non avrei un brutto khanzir come te!”- E lo abbracciò. (khanzir, letteralmente maiale, in questo caso, detto da una madre affettuosa, ha significato di birbantello).

Un giorno, il signore elegante, disse a Giuma di caricare tutto quanto aveva sul carretto e di raggiungerlo a casa. Avrebbe comprato tutto quello che aveva. “Quell’uomo non mi piace”, continuava a ripetere tra i denti Alì. Ma non si oppose anzi incoraggiò il timoroso Giuma, che, con il suo carretto sbilenco, si presentò al cancello della villa. Finalmente poteva vedere cosa c’era oltre quelle alte mura, appena fuori dalla città. Quando un servitore aprì, Giuma restò immobile e meravigliato dalla bellezza dei giardini. Solo l’invito imperioso del proprietario lo convinse ad attraversare il vialetto con il più volte citato carretto. I servitori scaricarono le tre cassette, il signore, come al solito, pagò senza mercanteggiare. La villa aveva un corpo centrale con ai due lati due appartamenti perfettamente uguali, arredati allo stesso modo con tappeti e mobili che il povero Giuma non aveva mai visto prima, neppure in sogno. È la rigida regola che impone uguali diritti per ogni moglie. Nel primo appartamento gli furono offerti dolci e bibite. Poco dopo entrò una donna. Iniziò a conversare con lui guardandolo affascinata. Ma quasi subito disse: Hua weld ghnein lakin kibir, kibir giddan” (È un ragazzo carino, ma è grande, troppo grande). La stessa scena si ripeté subito dopo nell’altro appartamento con un’altra donna, molto più giovane della precedente. Giuma fu così congedato e mentre se ne andava sentì le urla di disapprovazione del signore verso le sue due mogli.

Ritornò al mercato col suo carretto  per riprendere lo zio ed ebbe il tempo di raccontare il tutto ad Alì.

- “Sì, probabilmente ti volevano adottare. Quello non ha figli. Ti ho sempre detto che non mi piace. Un decennio fa vendeva rottami di ferro, poi di colpo, soldi a palate. Con il lavoro del ferro vecchio, i soldi non si fanno, caro Giuma!-

-“Quindi anch’io ho avuto la mia buona occasione! ... Comunque non è dipeso da me; altri hanno deciso”.

-“Zitto, che sei stato fortunato! E non dire a tua madre che hai perso un’occasione! Vorrebbe significare che ti vuoi allontanare da lei!”-.

Passarono gli anni, Giuma aveva finito il primo ciclo di studi. Non era diventato un professore ma aveva avuto una buona istruzione. Pronto, quindi, a distinguere le occasioni buone da quelle ingannevoli.

Da quel letto d’ospedale, tornando con la memoria a quegl’anni era sempre più sicuro che Alì con la sua “teoria” lo aveva convinto ad andare a scuola. A ventuno anni, la patente di camionista, sempre su consiglio di Alì che, qualche tempo prima gli aveva confidato, con amarezza, di aver sentito dire che il mercato sarebbe stato demolito e trasferito altrove. Ai titolari di “banco” sarebbe stato dato un nuovo spazio ma, ai piccoli rivenditori dell’esterno, non sarebbe stata più permessa alcuna attività. Giuma, ormai autista, gli aveva chiesto che cosa avrebbero fatto tutti quei poveretti senza lavoro. - “Siamo ormai tutti anziani, Dio, nella Sua grande bontà e misericordia provvederà a noi”-.

-“Beh, però adesso il Paese ha il petrolio, c’è benessere per tutti!”-.

-“Il petrolio? Che cosa ha avuto il popolo dal petrolio! Che il costo di una marta di orzo è raddoppiato come tutti gli altri prezzi! ... il petrolio … bah!”-.

Petrolio : stazione di pompaggio

Giuma non condivideva ma non poteva contraddire una persona che aveva il triplo della sua età. “Andek el hagh, am Alì’, andek el hagh” (hai ragione, hai ragione)

Il boom petrolifero suggerì a Giuma l’acquisto di una grande autobotte per fornire acqua ad alcuni pozzi petroliferi nel deserto. Adesso ne aveva tre ed il ricovero in ospedale gli aveva fatto perdere un contratto ma non era un problema, ne avrebbe ottenuti tanti altri.

Quando si presentò dal concessionario per l’acquisto del primo automezzo, disponendo di una piccola somma e non potendo dare alcuna garanzia se non l’iscrizione di “privilegio” sul libretto di circolazione, ebbe come risposta un netto rifiuto. Sconsolato raccontò il tutto ad Alì. -“Domani andiamo insieme, mi sembra di conoscere il Direttore”-. Andarono e dopo la lunga cerimonia dei convenevoli ed un paio di bicchieri di tè, Alì entrò in argomento. -“Giuma è onesto, un gran lavoratore e ... shitan, shitan kebir. Vi pagherà senz’altro, caso contrario garantisco io”.-

In un Paese dove amicizia e conoscenze contavano moltissimo, Giuma non si pose neppure la domanda: “e con che cosa garantisce? Con un paio di sacchi di felfel e di korkob?”.

Mentre era assorto in tali ricordi, entrò il medico curante, gli fece una visita veloce e firmò il documento di dismissione. Come si era riproposto, andò subito a casa e, nel primo pomeriggio si recò a trovare Alì. Conosceva molto bene la casa. All’uscita della scuola passava sempre da lì. La moglie di Alì gli voleva bene come ad un figlio ed egli la chiamava rispettosamente Ummi (mamma).

Alì era accovacciato sul tappeto e accennò appena ad alzarsi. -“Ammi Alì come stai?”- Dopo i lunghi convenevoli Giuma, dimenticando la fenomenale memoria propria degli analfabeti che, non potendo prendere appunti, esercitano la memoria all’estremo, disse:- “ti trovo bene, meglio dello scorso anno”-.

-“Sono quattro anni che non vieni più ... era il mese di Ramadan ... non ti ricordi?”-.

Giuma farfugliò qualcosa poi: -“Sai il lavoro è tanto … arrivo e riparto ... scusami ... ma veramente ti trovo bene”-. Mentiva, Alì era il fantasma di quell’uomo a cui doveva praticamente tutto.

-“Ti ricordi quando ti raccontai di quel mio parente ... che aveva acquistato quella hawaza ... che poi il pozzo si esaurì ... che credeva di essere stato baciato dalla fortuna invece fu l’inizio della sua disgrazia e che soltanto qualche anno fa ha terminato di pagare i suoi debiti?”-.

-“Sì, ricordo. Fu incauto: non si accorse che si trattava di un’occasione sfavorevole! Altro che occasione della vita! Avrebbe dovuto far controllare la riserva d’acqua del pozzo! È stato veramente sciocco!”-.

-“Bene, non era un mio parente: quell’incauto e quello sciocco sono io!”-.

Giuma si morse la lingua e, per la prima volta, si accorse di aver davanti un uomo avvilito, sfiduciato, vinto e sopratutto molto stanco.

-“Senti, tu sai che ho rilevato la terra dai miei zii e dai miei cugini. Nessuno la voleva lavorare, così ho assunto due tunisini. Sono molto bravi ma io non posso seguirli. Accetteresti di sorvegliarli in mia vece?”-.

Alì non rispose e l’imbarazzo che gli argomenti avevano generato, fu fortunatamente interrotto dall’irrompere nella sala di due bambini. Uno di circa sei anni l’altro di quattro. Subito assalirono il nonno che  li rimproverò: -“Salutate vostro “zio” Giuma”.- Il grande si limitò ad un serio saluto, il piccolo invece  gli si arrampicò addosso, lo tempestò di domande.

-“Questo è Mohammed, un ragazzo tranquillo, bravo. Il piccolo invece è Salah: “Sheitan, sheitan come eri tu!”-. Lo disse con orgoglio rinnovando inconsciamente l’affetto e l’ammirazione che aveva per Giuma.

Questi, poco dopo, si alzò avviandosi all’uscita. Gli venne incontro la moglie di Alì che davanti a lui si presentava a volto scoperto avendolo praticamente cresciuto. Salutò entrambi.

Alì, che a fatica si era alzato, gli disse: -“Ti ringrazio per quell’incarico che mi hai offerto”- e con atteggiamento ironico proseguì: - “forse era l’occasione della mia vita, ma arriva troppo tardi. Sono troppo stanco e non mi sento tanto bene”-.

Giuma si era sentito un verme. Ma come aveva potuto osare di far diventare suo dipendente un uomo come Alì, non fosse altro per il rispetto verso la persona e la sua veneranda età? Per sua fortuna, un vigile urbano armeggiava vicino la sua Volskwagen “maggiolino” in divieto di sosta, per cui ebbe buon motivo per scappare in fretta. 

 

 

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Quando gli giunse la notizia della morte di Alì, si trovava in pieno deserto, non sarebbe mai potuto arrivare in tempo per il funerale che le regole islamiche prevedono entro 24 ore dalla morte. Andò a trovare la vedova qualche giorno dopo.

-“Sai Giuma, Alì poco prima di morire mi ha detto di dirti che la buona occasione della sua vita è stata conoscere te”-.

-“Ma è vero il contrario, sono io ad avere avuto la grande fortuna di averlo incontrato”-.

-“Esattamente quello che gli ho detto anch’io .... mi è sembrato ne fosse orgoglioso”-.

-“Ummi, mi è molto dispiaciuto, ti faccio le mie condoglianze”-.

-“È stata fatta la volontà di Dio”-.

Tornando verso casa, Giuma involontariamente si era trovato nella piazza su cui un tempo si “affacciava” il vecchio mercato. Adesso c’era un grande palazzo la cui porta centrale occupava lo spazio dove si accovacciava davanti ai suoi ortaggi  a fianco delle spezie di Alì.

Vide, non visto, due anziani la cui fisionomia gli ricordavano il venditore di pignatte dell’angolo e quello che vendeva le stoffe. Ebbe un momento di esitazione: fermarsi a parlare con loro o andare via.

Le spezie, gli articoli più richiesti e più caratteristici del suk

Andò via. Il fermarsi era ritornare al passato ed il passato era stato seppellito insieme ad Alì.

Roberto Longo

(Pubblicato sulla rivista “l’oasi” n° 3/2003 - Settembre - Dicembre 2003)