La stanza di Roberto Longo

Roberto Longo

Maktub

di   Roberto Longo

Entrando in Giaddat Omar El Muktar da Maidan Asciu-hadà (la ex Piazza Italia) e proseguendo sul lato destro, si incontra ad un semaforo, Sciara Errascid, con il ben fornito Mercato Rionale, conosciuto come “Suk El-Hut” (Mercato del pesce).

All’angolo sinistro, per chi accede alla citata Sciara Errascid da Giaddat Omar El Muktar, c’era (e forse c’è) un bel palazzo noto, ai più, come “il Colosseo”.

Clicca sulla foto per ingrandirla

Il Colosseo - angolo Giaddat Omar El Muktar con Sciara Errascid

Non so come si fosse meritato tale appellativo perché non aveva alcuna peculiarità che ricordasse il celebre anfiteatro di Vespasiano e Tito. Possedeva, però, una caratteristica: invece di formare un angolo acuto, aveva una struttura circolare tanto bella, da essere grati all’architetto che lo aveva progettato. Sotto, al livello della strada, proprio nella parte circolare, c’era un Caffè Arabo: narghilè, caffè alla turca, bevande rigorosamente non alcoliche e tè verde o rosso con o senza menta.

Clicca sulla foto per ingrandirla

Caffè arabo - fumatori di narghilè

Per i pochi che non lo sapessero, il tè verde si ottiene essiccando al sole le preziose foglioline, quello rosso, tostandole, come si fa con il caffè. Nel “Caffè Arabo” del Colosseo facevano un eccellente tè, in particolare quello bin-nanà (alla menta)

Ma il tè servito al bar, pur essendo buono, non ha nulla a che vedere con il tè “all’araba” né, soprattutto, con quello preparato “alla libica”.

Proseguendo su Giaddat Omar El Muktar, in direzione della Fiera, dopo il caffè, c’erano i negozi dei fratelli Miscerghi ben forniti di elettrodomestici di marche prestigiose e, subito dopo, i negozi dei Darrat. In quest’ultimi si vendevano gli stessi articoli trattati dai Miscerghi. Il tutto contro ogni logica di mercato, essendo i citati Miscerghi molto conosciuti nonché affermati da almeno un decennio. Ma i Darrat si basavano su due loro principi: uno, che “al mattino il sole sorge per tutti”, l’altro, che erano Misuratini: commercianti nati, commercianti per antonomasia.

I negozi Darrat erano formati da un reparto vendite con grande bancone e scaffalatura e, di lato, a formare una elle, una zona destinata all’amministrazione e, per mia sfortuna, anche al “salotto” per ricevere amici e clienti. In tale zona, ho lavorato come secondo lavoro serale, dal gennaio del 1960 al gennaio del 1962 e, a tempo pieno, nei due anni successivi, validamente coadiuvato da un fezzanese di nome Mohammed che aveva la mia stessa età. Ragioniere anche lui, curava la contabilità in arabo.

Una sera del primo periodo, il salotto-ufficio si riempì di Ukala-a (rappresentanti) e di conoscenti dei Darrat.

Purtroppo, tutti rifiutarono i buoni servigi del Caffè accanto. Qualcuno suggerì, subito accontentato, di fare il tè sul posto: il tè “alla libica” (tre giri: il primo forte, il secondo medio ed il terzo leggero, dolce e con caccawia rigorosamente abbrustolita e non infornata). E purtroppo i Darrat disponevano di tutto l’occorrente anche se, per mia grande fortuna, tale evento si verificò una o due volte soltanto. Il perché dei numerosi “purtroppo” è presto detto: ogni sera trovavo una bella “pila” di documenti da esaminare e, se non potevo contabilizzarli, me li sarei ritrovati il giorno dopo, sormontati da altra “pila”. Alcuni documenti, poi, dovevano essere registrati tassativamente la sera stessa perché necessari la mattina successiva. Durante la “cerimonia” del tè, si usa conversare e si viene coinvolti. Se io mi fossi estraniato, se non avessi partecipato alla discussione, se avessi ignorato tutti, continuando a lavorare, sarebbe stato aeb, cioè scorretto, sconveniente.

I presenti iniziarono a parlare spaziando dai commenti agli eventi sportivi all’andamento del mercato, dalla pioggia che mancava da diverso tempo a notizie su amici comuni. Ed intanto il tempo passava …

Mentre stavamo gustando il terzo bicchierino con schiuma e caccawia, entrò un giovane che, dopo aver dato la mano a tutti secondo l’usanza, in modo molto concitato raccontò che suo cugino aveva appena subito un incidente: con la bicicletta era finito sotto un camioncino riportando, per fortuna, solo la frattura del braccio. Ma il fatto strano, precisava, era che suo cugino, in quel momento, non si sarebbe dovuto trovare in quella via, ma addirittura a Londra se non avesse perso l’aereo per un banale inconveniente. Non solo, ma non doveva neanche essere in bicicletta, lui che era un patito dell’auto e la bici non l’usava mai. Inoltre il camioncino non avrebbe dovuto trovarsi lì in quella direzione essendo la strada a senso unico.

Fu a quel punto che un vecchio, seduto in un angolo della stanza e che fino a quel momento non aveva detto una parola, impegnato com’era a sgranare la sua “seb-ha” (coroncina religiosa), disse: Maktub!

Mi sembrò di essere in un’aula di Tribunale, dove, sentite le ragioni dell’accusa e della difesa, lui, da giudice, avesse emesso la sentenza: Maktub. E ciò senza fare riferimento a considerazioni o ad articoli del codice.

Maktub e basta.

In arabo “destino” si dice qadar, nasib, ma Maktub è qualcosa di più forte: sta per “scritto” e “scripta manent”. Praticamente sarebbe come il diario dell’indomani, scritto il giorno prima.

Ovvio che ci fu un coro di approvazione. Finito di bere il tè, tutti, compresi i Darrat, si alzarono e decisero di andare a trovare l’infortunato. Anche il vecchio sembrava se ne volesse andare. Ma Mohammed, il mio collega, disse: “Sar maktub, ja ammi el haj?” (E allora era scritto, zio haj?)

Non era affatto suo zio, ma in Libya, in segno di rispetto, senza ricorrere ad appellativi tipo seyed, siattek o hadratek si usa ammi cioè “zio mio”. Lo fulminai con uno sguardo feroce. Se tutti se ne fossero andati, sarei potuto tornare alle mie scartoffie.

Maktub, ja weldi, maktub” (Era “scritto”, figlio mio, era “scritto”) rispose il vecchio ed intanto aveva avvicinato la sedia fino al bordo della mia scrivania. Poteva avere una settantina d’anni, un jerd (barracano) bianchissimo, due baffi ben curati, una bella figura. Era cioè una sciaksìa (personalità).

Si sistemò bene sulla sedia ed iniziò a raccontare una storiella per avvalorare la sua “sentenza” e spiegare a me, non arabo, il significato di quel “Maktub” cioè di quel destino a cui nessuno si può opporre.

Kan zaman  (C’era una volta) un facoltoso commerciante di Damasco. Nell’imminenza di un’importante festività, decise di andare a rifornirsi di mercanzia ad Aleppo e partì col suo dromedario portandosene, al seguito, un altro. Conclusi gli affari avrebbe caricato quest’ultimo con i pezzi più preziosi mentre il grosso dei suoi acquisti lo avrebbe affidato alla prima “qafila” (carovana) disponibile.

Era in viaggio da diverse ore, quando, quella figura che in lontananza aveva preso per un miraggio, si era materializzata: era una donna che doveva essere piuttosto vecchia anche se procedeva di buona lena appoggiandosi ad un grosso bastone che la superava di due spanne.

Quando le fu quasi a lato le chiese: “Ma dove stai andando?”. “Ad Aleppo, ad Aleppo” rispose la vecchia.

Il commerciante non poté trattenere le risa, diede un colpo di frustino al suo dromedario e proseguì continuando a ridere. Aveva appena fatto un centinaio di metri che si fermò. Non riusciva a togliersi di mente quella vecchia! Ne era attratto. Una forza misteriosa gli impediva di proseguire tanto che fece accovacciare il dromedario, ne discese, e le andò incontro. Quando le fu vicino, la vecchia alzò la testa facendo cadere la "farrashìa" (fazzoletto che avvolge il capo). Adesso poteva vederla bene. Aveva un’età indecifrabile ed era di una magrezza impressionante. Praticamente quel povero scheletro era ricoperto di sola pelle. Non era affatto bella, forse non lo era mai stata. A prima vista incuteva quasi paura e dava una certa sensazione di dolore, poi, improvvisamente tutto passava. Perché il suo viso ispirava serenità, dolcezza e, soprattutto, quiete. Sì proprio quiete, pace, requie.

“Scusami per prima” balbettò ma ... a piedi! ... Senza otre d’acqua! Senza provviste! Non potrai mai arrivare ad Aleppo!”.

La vecchia accennò un sorriso e rispose: “Io arrivo sempre al momento stabilito e dovunque! Prima o poi arrivo; perché vedi, io sono la Morte e questa mattina l’Altissimo, Colui che tutto può, sia gloria a Lui, mi ha consegnato una lista con duecento nomi di persone e mi ha ordinato di andare ad Aleppo, dove è scoppiata la peste, a recidere le loro vite”.

Il commerciante trasalì. Ad Aleppo c’era la peste? Non lo sapeva! Quindi timidamente implorò:

“Guarda se ci sono anch’io nella lista, il mio nome  è  Mohammed Alì Mabruk”.

La Morte si fece seria, ma sempre con dolcezza rispose: “Lo sai che non è dato di sapere il luogo e la data di morte! Perché mi fai questa domanda? Non sei un buon musulmano!”.

“Sì, sì, hai ragione ... ma ... il mio nome ... Mohammed Alì Mabruk non ti ricorda nulla?”.

La vecchia lo ignorò e stava per riprendere il cammino, contrariata da quell’insistenza, quando il commerciante le disse: “Scusami, scusami, sai sono un po’ confuso ma ... ormai è quasi buio, perché non ci fermiamo per la notte?  Domani mattina potrai utilizzare il mio secondo dromedario, recupererai il tempo perduto e faremo la strada insieme”.

“D’accordo”, disse la Morte. Depose il bastone e si accoccolò. Il commerciante fece altrettanto ad una distanza di una ventina di metri, dopo aver legato i dromedari. Il buon Mohammed Alì Mabruk, però, non riusciva a prendere sonno: continuava a girarsi e rigirarsi. Pensava che se avesse avuto la lista, avrebbe preceduto la Morte ad Aleppo ed avrebbe avvisato tutti: li avrebbe fatti pentire dei loro peccati. Il Signore sarebbe stato, così, più clemente.

E i bambini? Certamente c’erano anche dei bambini! Li avrebbe fatti giocare, avrebbe comprato loro dei dolci, confortato i loro genitori! E lui? Se c’era anche lui nella famosa lista? Il solo pensiero gli faceva venire i brividi. Improvvisamente la sua vita iniziò a scorrergli davanti agli occhi. Si rivedeva piccolo ed abbastanza discolo, ma chi non lo era stato, in tenera età? Ricordava sua madre che, amorevolmente, nascondeva le sue marachelle al padre, ritenuto troppo severo, allora, ma poi ampiamente giustificato. Ricordava, inoltre, quando andava ad aiutare suo padre in bottega, poi la scuola, gli amici ed il matrimonio: che bella festa era stata!  La sua sposa era bellissima, ed i bambini! Il più piccolo aveva appena un anno! Quando era partito dormiva, non aveva potuto salutarlo. Era un buon credente e gli dispiaceva non aver fatto il Pellegrinaggio, ma aveva solo 35 anni! Ma no, lui non poteva morire: aveva ancora tanti progetti, tante cose da fare! No, lui non poteva morire. Del resto la Morte era diretta ad Aleppo, ad Aleppo c’era la peste. Perché doveva andare ad Aleppo proprio quel giorno? Poteva aspettare che l’epidemia finisse. Certo, avrebbe perso le vendite dell’ormai prossimo “Aid El Kebir”, ma la vita, la vita, ovviamente, è più importante di tutto. La decisione di ritornare a Damasco, di fuggire dalla peste, gli aveva dato un po’ di serenità. Nel frattempo iniziava ad albeggiare. Sistemò il “musallaia” (tappetino di preghiera) ma era tanto confuso che sbagliò direzione e dovette rettificarla con la bussola. Fece “al-u-du-a” (abluzione) e si preparò al “Salà elfijr” (la preghiera dell’alba). Quando finì, notò che la vecchia dormiva ancora ed allora slegò un dromedario, salì in tutta fretta e si diresse verso Damasco pensando che quella fosse la decisione più saggia.

Poco dopo, la Morte si svegliò. Si accorse d’esser sola. Alzando lo sguardo vide che il commerciante era già lontano, ma era evidente che stava tornando a Damasco.

“Ha avuto paura” pensò ma ...”Come ha detto che si chiamava? Ah, sì ... Mohammed Ali Mabruk”. Mentre pensava, le venne in mente un particolare. Quando l’Altissimo le aveva consegnato la lista e lei stava per andarsene, Egli l’aveva richiamata a Sé, si era fatto ridare la lista, aveva fatto delle annotazioni e gliela aveva restituita. Era curiosa di sapere se il nome del commerciante fosse compreso nell’elenco. Quindi lo aveva preso e lo stava consultando. “Ah, ecco Mohammed Alì Mabruk. In effetti era presente nella lista di Aleppo, ma era stato cancellato! Vicino però, c’era un’annotazione.

“Dopo aver messo fine alle succitate 199 vite ad Aleppo, ti recherai a Damasco e reciderai la vita di Mohammed Alì Mabruk”.

La Morte restò un momento pensosa, alzò lo sguardo ma il commerciante, ormai, non si vedeva più. Tentennò la testa e disse tra sé:

“Era simpatico, era un brav’uomo”. Quindi slegò l’altro dromedario, prese il suo bastone e si incamminò verso Aleppo. Non si era accorta che, forse inconsciamente, di Mohammed Alì Mabruk aveva già parlato al passato.

 

*****************

Il vecchio aveva terminato il suo racconto ed era compiaciuto. Pur non essendo ragazzini, avevamo seguito la storia con interesse ed apprensione. Sapeva di aver destato interesse e ne era orgoglioso. In effetti il vecchio non aveva raccontato, ma recitato la storia.

Aveva modulato la voce secondo le circostanze, aveva fatto pause anche di qualche minuto ed aveva cambiato voce a seconda dei personaggi. Si era alzato e stava avviandosi all’uscita. Era molto tardi.

Khallini inwuasslek, ja ammi el haj, saiarti ghiddam eddukkan gaada” (Permettimi di accompagnarti, zio, ho la macchina qui davanti al negozio). “Là shukran, nemshi a-la-rij-len kher” (No grazie, preferisco andare a piedi).

****************

Il rumore delle serrande ed il saluto del collega Mohammed: Nsciufek yom essebet, insha-Allah (ci vediamo sabato a Dio piacendo), mi fece venire in mente che l’indomani era venerdì e che venerdì! Da una decina di giorni avevo promesso al parentado di partecipare ad un’intera giornata al mare e con questa promessa mi ero fatto perdonare piccole magagne. Pur non essendo, in senso assoluto, evento eccezionale, da giorni, non si parlava d’altro. La pasta al forno alla siciliana, l’immancabile anguria e le costolette di agnello da arrostire sul carbone, erano già pronte dal primo pomeriggio. Il desiderio che io partecipassi ad ogni costo non era certo dovuto alla mia “importanza” ma al fatto che ero l’unico che aveva la patente.

I miei orari di lavoro erano diversi da quelli di alcuni amici e del parentado: io facevo “festa” il venerdì mentre la domenica lavoravo mezza giornata. Gli altri l’esatto contrario: festa la domenica e mezza il venerdì. I miei parenti, amanti del mare, qualche volta si erano detti pronti a rendersi liberi la mattinata di qualche venerdì ma io, molto impegnato in diverse aziende, ero sempre riuscito a glissare. Esaurite tutte le scuse, avevo dovuto promettere che quel venerdì a qualunque costo mi sarei reso disponibile. Una bella giornata di mare tutta per noi.

Purtroppo a causa di quelle inaspettate visite in negozio, storiella della Morte inclusa, non mi sarebbe stato possibile mantenere la promessa. E non era la prima volta: stava diventando una barzelletta! Quel giovedì sera non ero riuscito a combinare niente. Ottimo il tè, piacevole la conversazione, avvincente la storiella ma niente registrazioni. Avrei potuto recuperare la sera del sabato. Ma dalla famosa “pila” Darrat-Capo mi aveva sfilato una ventina di “ordini eseguiti” per i quali bisognava emettere le fatture. Queste dovevano essere consegnate tassativamente il sabato mattina per non perdere l’ultimo giorno utile per il pagamento entro la fine del mese. Quel famoso venerdì, a serrande abbassate, avrei dovuto provvedere e ci voleva tutta la mezza giornata. Niente giornata al mare.

Durante il tragitto per raggiungere casa mi stavo scervellando per trovare una buona scusa: Poi all’improvviso … 

Ma certo! Come non averci pensato prima!

“Che cosa ci volete fare!”, avrei detto, “Non dipende da me, evidentemente … era ... Maktub!

Roberto Longo

(Pubblicato su rivista “l’Oasi” n° 3/2001 Settembre - Dicembre 2001)

**************************************************************************************