La stanza di Messaud Said Gana

Messaud Said Gana

Missione Nalut    

Dal diario di Messaud Said Gana. A cura della Redazione dell'OASI

 ... da Tripoli a Nalut, alla ricerca delle vestigia coloniali italiane: caserme, opere difensive, installazioni ad uso della Guardia alla Frontiera.

Un bunker in calcestruzzo, con cupola dotata di feritoie rettangolari alla base e quattro oblò per osservazione e difesa.

PREMESSA

La missione è stata condotta da un gruppo di tre persone di origini berbere, di Nalut: 

 - Alhadi Messaud Alnami (1969): nato e residente a Nalut, conoscitore dei luoghi e della dislocazione delle dife- se militari costruite a Nalut durante il colonialismo italiano;

- Kaled Ali Berghig (1961): geologo, nato a Tripoli, studi superiori compiuti in Inghilterra. Lavora presso una Società libica. Ha fatto da guida a diversi stranieri nel deserto libico per conto di una Società petrolifera libica, e ad una missione di studio americana. Si è interessato alla scoperta del famoso dinosauro trovato in una miniera di sabbia per costruzioni, presso Nalut. Il dinosauro, ricomposto in un apposito Museo, costituisce una delle princi- pali attrazioni scientifiche della città. È membro del comitato per la protezione dell’ambiente.

- Messaud Said Gana (1944): pensionato, nato e residente nella vecchia Oea, a Bab al Bahr (Porta del Mare). Conoscitore di diverse lingue oltre il berbero (Mazigh), la lingua originaria parlata in casa.

 I membri di questa Missione appartengono a tre Cabile diverse, tutte originarie di Nalut: Alhadi Messaud Alnami appartiene alla cabila Azzaba (Eremiti) che raggruppa vari ceppi fra i quali gli Alnamiun ...; Kaled Ali Berghig appartiene alla Cabila Aulad Alder (I figli originali del luogo) che comprende i Ragaiga, i Gilani etc.; Messaud Said Gana, appartiene alla Cabila Aulad Saud (I Figli di Saud), che comprende i Gana etc. ...

 

Kaled Ali Berghigh, Messaud Said Gana, Alhadi Messaud Alnami

Emblema del popolo berbero (Amazigh) con i colori della loro bandiera

IL VIAGGIO PER NALUT

L’idea di una ricerca sulle strutture difensive degli Italiani nell’area di Nalut è scaturita dalla pubblicazione di alcune mie foto sul n. 4/2010 dell’oasi.

L’articolo del n. 106/2011 ha poi suscitato l’interesse di Kaled e Alhadi che hanno deciso di unirsi a me nell’esplorazione sistematica dei luoghi ben noti all’amico Kaled.

Abbiamo avviato la “missione un mese dopo la liberazione, quando regnava la calma nei luoghi interessati. Così il 22/4/2012 alle sette del mattino Kaled è venuto a prendermi con la sua macchina, una Dau Nivra bianca. Mi ha informato che saremmo passati a prendere un altro compagno di viaggio, Ahmed, un fotografo e artista noto in Libia, pure lui Nalutino e di origini berbere.

Dalle vicinanze del grande serbatoio d’acqua costruito dove un tempo sorgeva il Monumento ai Caduti ,passando per il lungomare nell’area della Spiaggia dei Dirigibili, il Nuovo Lido, e l’ex Colonia Marina (attualmente l’unica spiaggia popolare) giungiamo a Gargaresc e lì incontriamo il terzo compagno di viaggio, Ahmed Sifau; dopo i rituali saluti si riparte.

Per chi vuole intraprendere un viaggio per Nalut-Gadames è consigliabile partire di buon mattino per non avere il sole in faccia. Al contrario per il ritorno.

Passiamo accanto agli impianti sportivi, quindi raggiungiamo Azizia e ci dirigiamo verso ovest. Il cartello stradale indica le direzioni Riaina, Gebel Nefusa.

Ci fermiamo dove un gregge di pecore sta pascolando alla sinistra della strada. Scambiamo con i pastori parole di congratulazione per la liberazione della Libia, poi raggiungiamo una bella sorgente d’acqua e ringraziati i pastori per l’invito a fermarci a condividere il pranzo, proseguiamo verso Riaina.

Sosta amichevole con un pastore per un buon tè.

Kaled mi fa osservare una cosa curiosa, che avevo letto sui giornali. Sembrava di percorrere una pianura ma in realtà la strada era tutta in leggera salita: ferma l’auto, toglie il freno a mano e l’auto indietreggia. Da Tripoli a Riaina sono 130 km.

Sostiamo nel villaggio di Algiosc a 200 km. da Tripoli; seduti all’ombra delle palme facciamo una buona colazione, poi riprendiamo il viaggio scambiandoci idee sul programma.

A pochi chilometri da Nalut una sbarra ci blocca la strada. Carri armati e un nucleo di rivoltosi armati difendono l’accesso alla zona. È stato eretto un arco imbandierato con il vessillo dell’indipendenza e le bandiere della cultura degli Imazighen (Berberi) (pl. di Amazigh). Le sentinelle ci lasciano passare avendo riconosciuto i miei due compagni. Superiamo, alla nostra destra, il villaggio berbero di Tcut, luogo di recenti feroci scontri vinti dai rivoltosi. La strada da Tcut conduce a Uazzen, sul confine libico tunisino e a Dheba. Avanziamo sul ciglione di una montagna; la strada è così stretta e vertiginosa da consentire il passaggio di una sola  vettura. Fu costruita durante il colonialismo italiano e modernizzata sotto Re Idriss.

Alla destra si apre uno slargo dove sorge una moschea e vi sono servizi igienici. Dal piazzale si ha una bella vista panoramica. La strada sale, costeggiata, sulla destra, da piante di ulivi, fichi, albicocchi e varietà di datteri. Ecco la sorgente che alimentava la ghiacciaia, ora in disuso, costruita dagli Italiani.

In alto si vede il famoso Gasr Nalut attorniato dai ruderi delle antiche abitazioni costruite con pietra locale.

Arriviamo, grazie a Dio, sani e salvi. Un carro armato, trofeo di guerra, è collocato ben in vista, su un poggio. Accompagniamo Ahmed alla casa dei suoi genitori, perché stia un po con loro: hanno perso il figlio maggiore in seguito alle gravi ferite riportate in uno scontro a Beni Ulid. Ferito in modo grave, è stato soccorso e immediatamente trasportato in un ospedale in Grecia, ma nulla è valso: ora è sepolto nel cimitero di Nalut assieme ad altri martiri della liberazione. Sulle loro tombe sventola la bandiera dell’indipendenza. Noi due proseguiamo verso la casa del padre di Kaled (che è mio zio materno).  Dopo esserci rinfrescati, cambiati gli abiti da viaggio e fatto uno spuntino ristoratore, ci avviamo per un giretto in città e telefonicamente ci accordiamo con la nostra guida per l’inizio delle ricerche. L’appuntamento è per Lunedì 23 Aprile 2012, fra due giorni.

 

 

ESPLORAZIONE

 

Lunedì, 23 Aprile 2012

Di buon mattino, dopo le preghiere dell’Aurora e la colazione, ci mettiamo in macchina in direzione del villaggio di Tcut. Fa un gran caldo, c’è un forte vento. Compiuta la discesa giungiamo a Tcut e osserviamo la distruzione operata dalle incursioni Nato che hanno cenato con precisione i bersagli militari. Non mancano tombe di combattenti che hanno dato la vi ta per la liberazione. Passiamo quindi nel villaggio di Gazaia abitato da Arabi Melchiti (a differenza di Nalut  dove gli abitanti sono Berberi Ibaditi). Abbiamo notato da lontano che da un certo punto la strada è stata danneggiata e ostruita dai rivoltosi per fermare i convogli militari. Fermiamo il nostro mezzo e continuiamo a piedi. Dovunque mezzi bellici distrutti, armi, pallottole e residuati dei passati combattimenti. Fotografiamo. Eccoci ad Almrabah. Il passo è chiuso da cassoni di sabbia per impedire il transito verso il confine tunisino di Dheba. Fa un caldo insopportabile, il vento soffia sabbia dappertutto. Saliamo su una altura a fotografare ma non possiamo proseguire per il clima infuocato. Registriamo i dati con GPS, bussola, termometro, cronometro e torniamo a Nalut a riposarci.

Caserma della Guardia alla Frontiera, (‘al balas’, per i locali)

Una vipera in posizione difensiva.

Martedì, 24 Aprile 2012

Dopo la consueta preghiera dell’Aurora prepariamo la colazione ed il pranzo e andiamo al panificio a rifornirci. Verso le 8,00 arriva la guida che attendiamo, il sig. Elhadi, con la sua macchina, e partiamo per esplorare l’area che ci interessa.

Percorriamo un tratto asfaltato quindi ci inoltriamo per una strada di montagna fino a che compare la Caserma che gli abitanti chiamano “al balas (il palazzo). L’edificio  non  si  vede  percorrendo  la  via  principale. Spesse volte ho percorso questa strada senza avere mai visto la Caserma. La località in cui sorge è chiamata Dighigia. Sono rimasto a bocca aperta di fronte alla bellezza lineare della costruzione

Durante la nostra esplorazione abbiamo trovato altre due caserme. Una aveva perfino i muri con disegni e scritte, mentre l’altra non era stata terminata.

Lungo la frontiera tunisina e sulle montagne si vedevano torrette d’avvistamento ed edifici in rovina che erano stati uffici, case, vasche per la raccolta dell’acqua piovana. Abbiamo trovato gallerie scavate nelle montagne, lunghe trincee per i militari ed altre più profonde anticarro, e dovunque disegni inneggianti al Duce e al Re, iscrizioni di nomi e cognomi di militari in servizio.

Le nostre giornate iniziavano alle 8,00 e terminavano alle 21,00, con le pause per la preghiera, per il pranzo e con una sosta verso le 16/17; il Venerdì pausa di preghiera e visite ai parenti.

Trincee italiane.

Alhadi nei pressi delle trincee.

 

Sabato, 5 Maggio 2012

A Nalut abbiamo esplorato e fotografato varie strutture in uso  durante  il  colonialismo:  l’ospedale  (ambulatorio? chiuso), la sala da ballo, la scuola italiana, l’ex cimitero italiano (non più esistente), la Caserma dell’Esercito italiano (non esistente), la ghiacciaia per la produzione del ghiaccio (chiusa), il Cimitero mussulmano degli soldati libici arruolati nell’esercito italiano caduti in combattimento durante la guerra ... (Le spoglie degli italiani vissuti a Nalut erano state traslate con elicottero a Tripoli.) In fondo al Gasr abbiamo trovato i resti della conduttura che, attraverso un sistema di pompaggio, portava l’acqua dal pozzo alla fontana di Nalut (non più esistente).

Strumentazione usata nella missione

Fregio dellArma del Genio Pionieri. (le scritte laterali risultano scalpellate)

Strada militare costruita dal Genio Pionieri.

Tavola riassuntiva del programma svolto

 

AL BALAS (Il Palazzo) 

 

Caserma della G.a.F. nell’area di Nalut.

Su una cisterna per la raccolta dell’acqua piovana si legge: NUCLEO MISTO GENIO con lemblema della Compagnia di stanza nel XXIX Settore, ad Ain el Ghezaia.

Il 24-4-2012 la nostra guida El-Hadi Al-Nami ci ha condotto all’edificio che gli abitanti chiamano “al balas (il palazzo). È una caserma. Nascosta tra le montagne di Dighigia, (Nalut), la struttura è ancora in buone condizioni, e secondo noi è una bellezza! Nessuno dei Nalutini ha saputo dirci da chi fosse usata, sapevano solamente che apparteneva all’Esercito Italiano . Il  proprietario  del  terreno  vi  raduna  il suo gregge.

Di fronte alla caserma, a qualche metro dall’edificio, si trova un simbolo a mosaico, composto con sassolini multicolori. All’interno di una delle tre caserme su una parete abbiamo scoperto un disegno che per noi è stata una rivelazione ma anche un mistero. Si tratta di un disegno che raffigura un occhio al cui interno sono disegnate una moschea, la palma, la piramide etc.

 

Su unaltra parete un emblema della Guardia alla Frontiera:la pupilla di un occhio (la vigilanza!) puntata su Moschea, palma, dromedario, piramide ... tutti soggetti con riferimento alle aree di confine sorvegliate.

Scolpita su una lastra di pietra, allinterno di una torretta di avvistamento, la fiamma del 20° Genio   Pionieri, XXII Compagnia: XXII COMP LAVOR A XVII

 

Pagina del taccuino di Messaud Said Gana con pianta e annota- zioni sul balas”, ossia la Caserma della Guardia alla Frontiera situata nei pressi di Nalut, a Dighigia.

Nessuno in tanti anni ha mai rilevato l’esistenza del disegno che abbiamo scoperto io e i miei compagni di missione. E nessuno di noi ne conosceva il significato. Grazie ad una ricerca di Fratel Gip siamo riusciti a stabilire la destinazione dell’edificio. Era una Caserma italiana della G. a. F. (Guardia alla Frontiera). Costruita durante la colonizzazione, nei pressi di Nalut, sul confine libico con la Tunisia, faceva parte del un vasto sistema difensivo affidato alla G. a. F.

Il fregio dellArma del Genio  è composto  da due asce incrociate sormontate da una bomba fiammeggiante simile a quella dellAr- tiglieria; il fregio è por- tato  sia dal personale fuori  corpo sia  dal Genio Pionieri.


Dipinto su una parete, il motto della Guardia alla Frontiera: AI SACRI CONFINI GUARDIA SICURA (riprodotto solo in parte dalla foto).

 

 

L'INCIDENTE E LA NOSTRA SALVEZZA

Il penultimo giorno di esplorazione ci fermammo all’altezza di due gallerie scavate dai militari italiani nei dintorni di Nalut. La nostra guida fermò la sua auto e scendemmo: Kaled entrò nella galleria, io e il fotografo Nasser rimanemmo di fronte all’accesso discutendo sul lavoro compiuto, con la guida vicino a noi, quando ci accorgemmo che la macchina ci veniva addosso. Gridammo a Kaled di restare nella galleria e scappammo per non essere investiti. Solo per un miracolo la macchina restò in bilico, incastrata, e non precipitò interamente nella trincea.

Il proprietario non disse una parola.

Cercammo di constatare i danni e come poterla rimettere in piano. Si faceva sera. Nasser si mise in cammino per cercare chi desse una mano a tirare su l’auto Intanto Kaled con il suo cellulare informò un nostro parente, così arrivarono alcuni uomini e si misero a studiare come estrarre la macchina. Si era fatto buio e si decise di rimandare il ricupero al giorno dopo. Ritornammo a Nalut discutendo sull’accaduto e ringraziando Dio di non aver subito danni alle persone.

La mattina seguente ci ritrovammo sul posto e rimessa l’auto in strada la trasportammo dal padre di Alhadi che non proferì una parola. Sapevamo che da mesi non percepiva stipendio, perciò, a sua insaputa, ci mettemmo d’accordo per inviargli da Tripoli i pezzi di ricambio oltre che alcuni libri di storia di cui è appassionato.

La macchina dell'incidente nel dirupo e mentre viene trasportata via

*Messaud Said Gana ringrazia con affetto tutta la Redazione de l'oasi per aver composto professionalmente il testo del suo articolo.