La stanza di Giancarlo Consolandi

Giancarlo Consolandi

          Itinerari tripolini       

Tagiura e Suk El Giuma

Un ritaglio di giornale, uno pseudonimo per firma: il Viandante. Non siamo stati in grado di rintracciare l’Autore per chiedere la necessaria autorizzazione alla pubblicazione e, nello stesso tempo, poterlo ringraziare. Ma l’articolo ci è piaciuto molto e non siamo riusciti a resistere alla tentazione di pubblicarlo.

Giancarlo Consolandi

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Si è parlato molto di Tripoli, in questo nostro foglio, ma la nostra vita laggiù non era naturalmente confinata alla città. C’erano dei dintorni interessanti, cose belle da vedere, e si andava spesso in gita a Tagiura come a Suani, a Homs per gli scavi di Leptis Magna ed a Sabratha col suo magnifico teatro romano, al Gariàn e, più lontano, fino a Jefren e Nalùt, a Zliten e Misurata fino alla pittoresca oasi di Tauorga, ed a Tarhuna e Kussabat per il magnifico altipiano: tutte gite diverse, ognuna con un suo particolare aspetto dal punto di vista della natura e del folklore.

Vogliamo fare insieme qualcuna di queste gite? Incominciamo da quella più popolare e più conosciuta, all’oasi di Tagiura. Usciamo da Porta Benito, l’antica Porta ben Gascir, ed abbiamo di fronte a noi un bivio: per la strada a destra si va appunto a Ben Gascir, o Castel Benito, col suo aeroporto; noi prendiamo invece la strada a sinistra che, passando per Sidi Mesri e Miani si avvia verso Tagiura. È una splendida strada, fiancheggiata da altissimi eucaliptus, quei magnifici alberi australiani introdotti in Libia dall’ammiraglio-agricoltore Fenzi, trovando in questo clima e terreno un ambiente ideale per la loro crescita e sviluppo: chilometri di strada, piantonata da migliaia di queste piacevoli ed ombrose sentinelle.

Poco dopo aver lasciata la città si costeggiano i lussureggianti campi della Scuola di Agricoltura di Sidi Mesri, con i suoi vivai e culture sperimentali. I fabbricati della scuola e gli uffici del Dipartimento sono tinteggiati a calce in un bianco smagliante, sul quale spiccano violenti i tralci delle buganvillée, con un meraviglioso contrasto di colori.

Si attraversa il piccolo centro di Miani, con la sua bella chiesetta sull’alto di una gradinata, alcune ville, scuole e caserme, poi una lunga tirata fino a un altro bivio: proseguendo si arriverebbe a Gasr Garabulli e Homs, ma noi svoltiamo a sinistra e ben presto ci troviamo immersi nella magnifica oasi di Tagiura.

Un mare di palme: ogni tanto qualche bassa casetta o piccoli negozi di generi alimentari, con l’immancabile avanportico, sotto il quale alcuni arabi chiacchierano e si riposano, mentre uno di essi, accovacciato per terra a gambe incrociate, è sicuramente occupato nella lunga preparazione del tè. Un bricchetto blu è posto su un fornelletto a carbone; quando il tè bolle, viene versato dall’alto, con grande maestria, in piccoli bicchieri di vetro allineati su un tavolinetto basso e stretto; di qui il tè viene restituito, sempre dopo un lungo volo, al bricchetto, ed ancora dalla “sezua” ai bicchieri per diverse volte consecutive: ciò per amalgamarlo e raffreddarlo un po’. Questo è il primo dei tre tè regolamentari: scuro, amaro, fortissimo! Poi il rito si ripete per un secondo bicchierino di tè, questa volta più vicino al nostro gusto europeo. Infine, sempre dopo molti travasamenti, si arriva al terzo tè, dolcissimo e quasi stucchevole, se non fosse corretto dalle noccioline abbrustolite che vi sono state aggiunte, modificandone molto gradevolmente il gusto.

Questo tè è la bevanda nazionale libica, e durante la giornata il lungo rituale si ripete continuamente: un modo piacevole, per i libici, di non far niente e di passare il tempo con gli amici …

Continuiamo per la stretta strada serpeggiante nell’oasi, incontrando a destra e sinistra alcuni pozzi arabi, riconoscibili da lontano per gli alti sostegni laterali delle carrucole, fatti a scala, con un piccolo bacino da dove l’acqua viene distribuita ai campi circostanti. Di fronte al pozzo un ripido pendio di una ventina di metri, generalmente ombreggiato da grandi alberi di gelso o di fico per rendere meno pesante il lavoro; lungo il quale pendio, instancabilmente un bue, accompagnato dall’uomo, scende lentamente tirando la corda alla quale è collegato un grande otre di pelle che vien su carico d’acqua; poi il bue risale per  far nuovamente immergere l’otre nel pozzo: ore ed ore di questo lento andirivieni, ogni giorno d’estate e d’inverno … Ma presto anche gli arabi impareranno che basta un motorino elettrico o diesel, di uno o due cavalli, per aver tutta l’acqua che gli occorre, standosene beatamente sdraiati al fresco! Cosa vuol dire la civiltà …

Continuando il percorso si scorgono pigri asinelli imbambolati, qualche cammello ripiegato sulle zampe, bimbetti che giocano, donne che si nascondono appena vedono arrivare dei forestieri, ancora casette in muratura o in terra battuta, piccoli orti stentati, e sempre palme a perdita d’occhio … Ora le case s’infittiscono e si arriva nel piccolo villaggio di Tagiura, sulla piazza principale del quale spicca l’antica moschea di Murad Aghà, con una moltitudine di colonne romane, provenienti dalle rovine di Leptis Magna.

Ma, prima di arrivare alla piazza della moschea, una sosta è d’obbligo al Ristorante delle Palme, meta domenicale di centinaia di tripolini. Un ampio cortile all’araba con salette tutt’intorno ed un portichetto su un lato: una buona pizza, un bel bicchiere di birra, qualche giro di danza, i bimbi scorrazzano fra i tavolini, gli amici s’incontrano, molta confusione, molta letizia; poi si riprende la via del ritorno verso la città.

Dopo circa un chilometro l’oasi dirada, per cedere il posto a campagne o terreni brulli. Ci si immette su parte del circuito automobilistico della Mellaha, che racchiude il campo di aviazione poi occupato dagli americani: il Wheelus Field. Di qui si prosegue per arrivare a Suk El Giuma, sede del grande Mercato del Venerdì, con la sua bella piazza col portico sui quattro lati, ed una graziosa moschea. Anche a Suk El Giuma c’era una volta un simpatico ritrovo, con bar, ristorante, pista da ballo o per il pattinaggio, un bel giardino con tukul ricoperti da “gerid” o foglie di palma, aiuole fiorite; ma ebbe meno fortuna di quello di Tagiura ed ancò avanti solo per pochi anni.

Da Suk El Giuma è breve il percorso per le mura di Tripoli e per il centro, che si raggiunge attraverso belle campagne ricche di aranci e di limoni, passando per il “Dilanino Libico”, la stretta Sciara Zauiet Dahmani, e finalmente il Lungomare dell’Hotel Uaddan, la fontana della gazzella, il Castello.

Ma dalla Mellaha era possibile raggiungere Tripoli anche per mezzo dell’autostrada costruita negli anni sessanta dagli americani, per congiungere il Wheelus Field alla città: un percorso di qualche chilometro, con una magnifica vista, prima sul mare aperto e poi sul porto, attraverso Sciara Sciatt di fronte all’hotel del Mehari, ed il Lungomare Adrian Pelt, per ricongiungersi di fronte all’Uaddan col percorso alternativo già ricordato.

Da Tripoli a Tripoli: un giro di una quarantina di chilometri, fresco, piacevole, vario, un tour che si faceva molto spesso in compagnia di amici, sia d’estate che d’inverno, per passare piacevolmente un pomeriggio o una serata: chiu di voi non se ne ricorda?

Voja de lavorà sarteme addosso, dicono qui a Roma …

Il Viandante