LA STANZA di Francesco Caronia
  


Francesco Caronia
   

RACCONTI


VICINI DI CASA

La zia Concetta, detta Mustazzusa per via di un accenno di baffetti, gran brava donna, benvoluta da tutti, era molto impegnata nei lavori di casa che in una famiglia contadina non mancavano mai, oltre a badare alla vecchia madre che era prossima a superare il traguardo dei cent’anni.

Nel tardo pomeriggio di una giornata d’estate la zia Concetta , mentre trafficava per la pulizia della gabbia delle galline che teneva sul marciapiede, vicino all’uscio di casa, avendo sentito un tonfo assordante, che preannunciava una disgrazia, si mise improvvisamente a gridare con tutta la voce che aveva: “Peppe, Peppe, aiuto, aiuto, cariu” (è caduto).

I primi ad accorrere erano stati i bambini del vicinato che giocavano per strada, seguiti, subito dopo, dalla comare Mommina, Rosa Paparuna e Titì Alifi, amiche vicine di casa.

            Peppe, figlio trentenne della zia Concetta, contadino come il padre, quando in campagna il lavoro scarseggiava, si adattava a fare il manovale muratore e così quel giorno si era impegnato ad eseguire dei lavori nella casa del vicino Vincenzo, proprio di fronte casa sua.

Si trattava di sostituire i lastroni di pietra arenaria, posti a copertura sia del pozzo d’acqua sorgiva che del pozzo nero perdente, in quanto non più affidabili.

Ai più giovani è opportuno ricordare che a  quei tempi in paese  non c’erano né l’acquedotto, né fognature.

Per fortuna, si fa per dire, Peppe inizia il lavoro a partire dal pozzo d’acqua quando, a seguito della improvvisa rottura di un lastrone, precipitava accidentalmente dentro il pozzo che aveva una profondità di circa sette metri e una sezione quadrata di circa un metro e mezzo di lato.

A giudicare dagli angoscianti lamenti che provenivano dal fondo del pozzo si intuiva che Peppe si era fatto male seriamente ma che tuttavia, forse grazie al mezzo metro d’acqua che c’era sul fondo e che aveva attutito il colpo,  non aveva perso conoscenza e chiedeva aiuto.

Intanto sempre più gente si radunava attorno al pozzo ma nessuno sapeva come poter prestare aiuto. Poco dopo arrivava Salvatore, un vicino di casa, che, per non smentire il proprio nome, si metteva subito a disposizione per soccorrere l’infortunato. Avvicinatosi con cautela al bordo del pozzo, da buon muratore, per meglio valutare la situazione, scrutava attentamente all’interno e ripeteva a Peppe, più volte, di farsi coraggio perché avrebbe cercato di tirarlo fuori al più presto.

Nel volgere di pochi minuti si procurava una scala a pioli in legno, sufficientemente lunga, la infilava con molta cautela nel pozzo, fino a raggiungere il fondo e scendeva giù.

Facendo ricorso a tutte le sue forze Salvatore caricava  Peppe sulle sue spalle e un piolo per volta e un respiro profondo ad ogni piolo, per riprendere fiato, risaliva in superficie, accolto da riconoscenti gesti di gratitudine di tutto il vicinato e della zia Concetta in particolare.

Peppe era dolorante, aveva riportato diverse fratture e necessitava urgentemente di cure mediche. Venne subito caricato sul carretto, trainato dal mulo e accompagnato all’Ospedale S. Antonio Abate, distante circa sei kilometri.

 Grazie, soprattutto, a S. Antonio Abate ebbe salva la vita e dopo un paio di mesi riprese a camminare.

Sul perché non fosse stato richiesto l’intervento dei Vigili del Fuoco e dell’ambulanza la risposta è semplice: in paese non c’erano né gli uni né l’altra e non c’era neppure il telefono.

La riconoscenza di Peppe e della sua famiglia, nonché la stima del vicinato, avevano ampiamente gratificato Salvatore che in cuor suo ha sempre ritenuto, in quella circostanza,  d’aver fatto semplicemente il proprio dovere.

Correvano gli anni del dopoguerra, intorno al 1950.   


Francesco Caronia

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