LA STANZA   di   Francesco Caronia
  


Francesco Caronia

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7 Novembre 2017
Ciao Domenico, ti avevo accennato che avevo in cantiere un altro breve racconto e così  lo allego per poterlo inserire, quando puoi, assieme agli altri. Eventuali osservazioni sono gradite. Ti ringrazio come al solito e ti auguro una buona serata, Franco.
      

UVA ZIBIBBO

di

FRANCO CARONIA

In paese capitava spesso che accadessero fatti strani, curiosi o semplicemente singolari per cui se  ne parlava, specialmente nei bar e nei circoli, con l’accortezza di non rivelare mai i veri nomi dei protagonisti e collocando i fatti avvenuti, qualora avessero per oggetto dabbenaggini tali da suscitare ilarità, sempre in un paese vicino.
Tali fatti venivano e vengono tuttora raccontati, con gli opportuni aggiustamenti per rincarare la dose e rendere più pepata la notizia, soprattutto da quei  personaggi che, abituati a tenere banco, li tirano fuori al momento opportuno, per guadagnarsi l’ascolto e passare il tempo, alle spalle del povero malcapitato.
Una di queste storielle aveva per protagonista un certo Carlo, conosciuto da tutto il paese perché da quando era andato in pensione, per la quale percepiva una modesta rendita, arrotondava facendo il sagrestano nella chiesa parrocchiale del Collegio. Sempre per arrotondare, coltivava un appezzamento di terreno a vigneto di proprietà del parroco, don Matteo, col quale aveva pattuito una specie di mezzadria: metà del raccolto spettava al parroco, in quanto proprietario del terreno e la parte restante andava divisa ancora a metà tra il parroco, nella sua veste di concedente e il sagrestano in quanto mitateri (mezzadro).
Un giorno di fine agosto Carlo incontrava in piazza un suo conoscente, un certo Piloccu, di professione traffichino o sbricafacenni (intermediario), che a suo tempo si era prestato a fargli una raccomandazione, per una più sollecita definizione della pratica della pensione. Dopo aver parlato del più e del meno, Piloccu gli chiedeva il permesso di andare nel vigneto per raccogliersi un panaru (paniere) di racina (uva). Carlo cercava di tergiversare, spiegando che il terreno era di don Matteo e che lo stesso era un soggetto poco cucivulu (di carattere difficile) e soprattutto di manica stritta (tirchio). Tuttavia, essendo debitore di quella famosa raccomandazione, anche se era rimasta dubbia l’effettiva efficacia, gli era mancato il coraggio di rifiutare e aveva consigliato una certa riservatezza.
Quando Piloccu chiese indicazioni per individuare il posto, Carlo ebbe  l’idea che avrebbe potuto toglierlo da un possibile imbarazzo nei confronti del parroco, qualora ne fosse venuto a conoscenza. Spiega quindi che per raggiungere il terreno, in contrada Pisciapolli, doveva prendere la strada per Almesi e, subito dopo la casa cantoniera, imboccare la trazzera (passaggio per le pecore) alla sua destra e trovava il vigneto subito a sinistra.
Ovviamente l’indirizzo non era inequivocabilmente preciso per cui si poteva pur sempre dire che si era trattato di uno spiacevole malinteso. Poi la località Pisciapolli, chissà per quale presentimento, evocava nella mente di Piloccu il titolo del libro di Sciascia, IL GIORNO DELLA CIVETTA, giorno che in realtà non esiste essendo la civetta un uccello che predilige la vita  notturna.  

Lo scrittore siciliano Leonardo Sciascia ed una
copertina del suo libro, IL GIORNO DELLA CIVETTA


Nonostante tutto l’indomani Piloccu, di buon mattino, con la bicicletta si avviava per la strada che conduceva a Pisciapolli. Arrivato alla casa cantoniera, svoltava alla prima stradella a destra e si trovava in una zona tutta coltivata a vigneti, a perdita d’occhio.

Una zona tutta coltivata a vigneti, a perdita d’occhio.

Si fermava sul primo appezzamento subito a sinistra e, in base alle indicazioni che Carlo gli aveva fornito, quello doveva essere il vigneto del parroco.
Iniziava a raccogliere grappoli d’uva zibibbo, saltando da una pianta all’altra e quando aveva quasi riempito il paniere, vede avvicinare un contadino che gli chiedeva cosa stesse facendo sul suo terreno.


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Uva zibibbo

Piloccu impallidiva e spiegava che era convinto, così come gli era stato spiegato, che quello fosse il terreno di don Matteo e che era stato da questi autorizzato a raccogliersi alcuni grappoli d’uva.
Il contadino, che inizialmente si era mostrato molto seccato, trovava convincenti e sincere le ragioni che avevano causato l’errore e indicava nel terreno di fronte la proprietà del parroco. Piloccu chiedeva umilmente scusa per quanto accaduto e lasciava il paniere con tutta l’uva, nonostante il contadino lo invitasse insistentemente a portarselo via.
Si incamminava verso il paese, come un cane bastonato e ad ogni pedalata ragionava su quale fosse la migliore vendetta per il tiro mancino ricevuto, dando per scontato che il sagrestano avesse volutamente dato indicazioni approssimative, giocando su destra e sinistra e sulle scarse probabilità  che potesse trovarsi sul posto e a quell’ora il legittimo proprietario.
Arrivato a casa si tappava dentro e la rabbia che aveva accumulato gli suggeriva quale poteva essere la migliore vendetta per salvare la reputazione e dare una lezione a chi si era permesso di prenderlo per i fondelli, in quella sporca maniera.
Il mattino seguente chiedeva in prestito al suocero il carrettino con l’asinello e due carteddi (ceste) di canne intrecciate che si usavano per la vendemmia.

Carteddi di canne intrecciate

Si avviava verso Pisciapolli e, per ingannare il tempo e non pensare sempre a quella disavventura, si era portato un sacchetto di miliddi (biscotti) che finiva di sgranocchiare poco prima di arrivare a destinazione.

Miliddi, biscotti siciliani

Stavolta, non c’erano dubbi, quello era il posto giusto e si metteva con calma a raccogliere l’uva fino a riempire i due cestoni.
Ritornato in paese, verso l’ora di pranzo, cominciava a girare, passando per due volte attorno alla chiesa del Collegio, allo scopo di farsi notare da Carlo o da don Matteo con i due cestoni pieni d’ uva.
Il primo ad accorgersi del carrettino con l’uva era stato il sagrestano che gli andava subito incontro per chiedere spiegazione come mai avesse raccolto tutta quell’uva, invece del paniere che aveva chiesto. Piloccu si era preparato la risposta e ha cercato di tranquillizzarlo perché l’uva l’aveva raccolta non nel vigneto del parroco, ma in quello di fronte, cioè sul lato destro.
Facendo buon viso a cattivo gioco il sagrestano, con voce balbettante, rispondeva che andare a rubare l’uva nella proprietà altrui non era certamente un comportamento da uomo timorato di Dio. Piloccu, a quelle parole pronunciate da quel pulpito, frenava subito una sonora risata che poteva sembrare rivelatrice della vendetta e fingendo di consolarlo diceva che si assumeva tutta la responsabilità del gesto nei confronti del proprietario e che in fondo non era un grosso danno, trattandosi di meno di un quintale d’uva.
Alla parola quintale Carlo spalancava gli occhi e calcava istintivamente la testa sul collo, pensando alla reazione di don Matteo  qualora fosse venuto a conoscenza del fatto. Come si suol dire, quando si parla del diavolo  a volte spuntano per davvero le corna e così fu che il parroco si avvicinava al carrettino e senza bisogno di indagare più di tanto, come era solito fare nel suo mestiere, veniva a conoscenza dei fatti così come si erano realmente svolti.
Don Matteo non faceva nessun commento in presenza del Piloccu ma, appena questi si allontanava, emetteva una severa sentenza, senza possibilità di appello, naturalmente a sfavore del sagrestano che si vedeva dimezzare ancora una volta la parte di uva a lui spettante.
Piloccu, soddisfatto per come si era conclusa la vicenda, portava un cestone d’uva alle suore che si prendevano cura degli orfanelli del Piccolo Ricovero e l’altro cestone, dopo aver trattenuto per sé quattro grappoli, lo distribuiva a tutto il vicinato.

Orfanelli del Piccolo Ricovero

A distanza di anni questo curioso episodio, marcando giustamente  l’aspetto morale, è entrato a far parte  di un repertorio che continua ad essere raccontato, con dovizia di particolari  e con gusto, perché il furbo alla fine paga il conto e la  vittima salva la reputazione con una strategia che era la migliore risposta che si potesse dare.
Nel periodo estivo quel genere di episodi è oggetto di intrattenimento anche nei capannelli che si formano attorno ai banchetti du scarparu (calzolaio)  e du custureri (sarto)che, per scansare la calura che ristagna nelle  case, preferiscono lavorare fuori, sul marciapiede antistante la bottega e scambiare quattro chiacchere con gli amici del vicinato.
Questa particolare abitudine alimentava e continua ad alimentare  la maligna diceria  secondo la quale per ognuno che in paese lavora ci siano almeno altri cinque o sei che guardano. Volendo con ciò insinuare che il lavoro piace tanto guardarlo ma non tanto cercarlo.
Nulla di vero, solo dicerie,  per giustificare l’inerzia di chi dovrebbe affrontare e risolvere la cronica questione della mancanza di lavoro.



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