LA STANZA di Francesco Caronia
  


Francesco Caronia
   

RACCONTI


MESSA CANTATA

            Micheli Scarrozza era stato chiamato a derimere una controversia che da un lato poteva sembrare di lana caprina, ma per altri aspetti, considerata anche la personalità dei due contendenti, era questione tanticchia dilicata. E chi era Micheli Carrozza,  personaggio con carisma, tenuto in considerazione da tutto il paese di Almesi, poteva chiederselo soltanto una persona di fora, non certo un paesano o abitante del circondario.

            L’oggetto del contendere, in effetti,  non era materia di cui  don Micheli era profondo conoscitore, ché in genere trattava questioni più importanti, come  l’abigeato, ma era spesso  interpellato in virtù della fiducia che godeva e per colpa della cronica lentezza della giustizia istituzionale.

            Era successo che l’ingegnere Impeduglia, così conosciuto in paese ma geometra in effetti, persona ziccusa (insistente) e chiacchiaruna, nella ricorrenza dell’anniversario della  morte della suocera, aveva chiesto al parroco don Ruppusu di ricordarla con una preghiera di suffragio durante la messa della domenica prossima, nell’intento che potesse giovare all’anima della povera defunta. In cuor suo l’ingegnere riteneva che la suocera,  essendo stata in vita un esempio di dubbia integrità morale, potesse aver bisogno, nell’aldilà, di un aiutino.

            A messa finita, con preghiera puntualmente spedita in cielo, in memoria della povera suocera, l’ingegnere si presentava in sagrestia per consegnare l’obolo a padre Ruppuso il quale, con garbo e altrettanta umiltà, osservava subito, quasi chicchiannu (balbettando), come era solito fare quando c’erano soldi di mezzo, che l’obolo spettante era di importo maggiore in quanto la preghiera era stata rivolta non durante una normale funzione giornaliera ma nel corso della messa cantata domenicale. Sorpreso, Impeduglia rimaneva un attimo perplesso ma, facendo mente locale, rispondeva che lui non aveva richiesto la messa cantata e che una normale funzione sarebbe stata più che sufficiente.

            Il parroco non si aspettava la replica, rimaneva mutu alcuni secondi e poi puntualizzava che, pur non essendo stata fatta esplicita richiesta per la messa cantata, dal momento che si era riferito alla “prossima domenica”,  e poiché nella sua parrocchia tutte le domeniche si officiava la Santa Messa “cantata”, la sua richiesta di integrazione della tariffa era da ritenersi giusta, oltre che ineccepibile.     Per togliersi dall’impiccio e valutando di non poter competere dialetticamente col parroco, che notoriamente ne sapeva qualcuna più del diavolo, l’ingegnere troncava la discussione dicendo che, per non sapere, in questa materia, né leggere né scrivere, si sarebbe rivolto a don Micheli e quello che avrebbe deciso lui, avrebbe fatto.

            A sua volta don Micheli, di fronte a un caso che mai, nonostante gli anni, gli era capitato prima, disse che avrebbe esaminato tutte le carte, anche se materialmente le carte in questo caso mancavano e prese tempo una settimana per decidere, fermo restando che nel frattempo avrebbe sentito anche il parroco per conoscere la sua versione dei fatti.        Poco gli importava, ai fini dei suoi traffici, che era una questione di puntiglio più che d’interesse, ma il solo fatto che qualcuno si fosse rivolto a lui, riconoscendone l’autorità e che era stata tirata in ballo una figura prestigiosa del paese, come il parroco, il suo peso corporeo era aumentato di qualche chilu e più.

            In questa occasione, bisogna darne atto, don Micheli aveva profuso tutto il suo impegno al punto tale che la fama di cui godeva in tutto il circondario, sia pure per questioni di diversa natura, trovò puntuale conferma di equità ed equilibrio nella composizione di questa  curiosa vicenda.

            Infatti, dopo aver ascoltato la versione dei fatti dalla bocca di padre Ruppusu, incaricò una sua nipote di recarsi in chiesa, senza dare nell’occhio, per copiare il listino dei prezzi dei servizi ecclesiastici, quali battesimi, cresime, matrimoni, funerali, etc., preparato dallo stesso parroco ed affisso dietro la porta  della sagrestia.

            La nipote, degna discendente di cotanto nonno e in ottemperanza agli ordini ricevuti, dovendo agire in fretta e senza dare nell’occhio, invece di copiare l’elenco, piuttosto lungo, staccava il foglio dattiloscritto che era appeso alla porta della sagrestia con una puntina, lo ripiegava con cura e lo infilava nella tasca interna.

            Una volta in possesso del documento, don Micheli accertò che nel tariffario, per la messa a suffragio dei defunti,  era indicato un solo importo, senza distinzione tra messa normale e messa cantata. Rimase inoltre sorpreso, leggendo il tariffario, che per il posto a sedere, durante la messa, era dovuto un obolo di cinque lire, mentre per il posto in piedi era prevista un’offerta libera, a prescindere dal tipo di messa.

            Stante così le cose, maturava il convincimento che la ragione pendeva più dalla parte dell’ingegnere che del parroco. Per contro, valutava anche che sarebbe stato opportuno schierarsi dalla parte del più forte, in questo caso, del parroco, come era solito fare in altre occasioni. Stavolta però prevaleva l’interesse per la notorietà, come ricaduta sul suo operato, che il personaggio Impeduglia, anche lui molto conosciuto in paese  e che sicuramente si sarebbe vantato del fatto, garantiva con certezza quasi assoluta.

            Con un tempismo che vorremmo ci fosse anche nei nostri Tribunali, don Micheli convocava le parti a casa sua, ufficialmente per bere una tazza di caffè e nell’occasione riferiva la sua decisione, favorevole all’Impeduglia.

            Aggiungeva anche la motivazione nella quale riteneva che doveva considerarsi di pari efficacia l’effetto che avrebbe avuto la preghiera, sia che fosse rivolta durante la messa cantata, che in quella feriale, tenuto conto del medesimo contenuto della preghiera stessa.

            Anche il parroco dovette convenire sulla equipollenza delle due messe e a malincuore si dichiarava soddisfatto. Un piccolo particolare, tuttavia, gli era sfuggito   e cioè il fatto che don Micheli, anche se non lo dichiarava, era molto scettico in fatto di religione e con la sua decisione intendeva piuttosto dire che quella preghiera non poteva cambiare il corso delle cose,  pertanto non avrebbe potuto sortire alcun effetto, né in un caso, né nell’altro.

            Compiuta la mediazione, con piena soddisfazione delle parti , il padrone di casa passava ai saluti e nel congedare gli ospiti, faceva consegnare dalla cameriera na vascedda di ricotta caura,  a ciascuno, che fu bene accetta.

            Da quel fatidico giorno in parrocchia venne abolito il tariffario e al suo posto comparve un cartello con la scritta che per tutti i servizi celebrati in chiesa e fuori, con la presenza del sacerdote, era dovuta un’offerta libera.

            Ovviamente, era sottintesa e coltivata la speranza del parroco di poter incassare, in tale maniera, qualcosina in più rispetto a prima, così dicevano in paese le male lingue che lo conoscevano bene.    


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Appendice        

Nella chiesa del Carmine c’è un massiccio sarcofago di granito, due pantere rincagnate che lo sostengono. Vi riposa l’ill.mo don Girolamo del Carretto, conte di questa terra di Regalpetra, che morì ucciso da un servo a casa sua, il 6 maggio 1622.

                Se ne parlava tempo addietro col parroco del Carmine. Mi piacerebbe vedere com’è, dicono sia stato imbalsamato – disse il veterinario comunale. Un’idea folgorò il parroco. Disse – farò aprire il sarcofago, chi vuole vedere il conte pagherà cinquanta lire, la mia chiesa ha bisogno di tante cose.

               Invece ha avuto venti milioni dal governo per restaurare la chiesa, buttarla giù e rifarla più brutta; ha dovuto far rimuovere il sarcofago: e i regalpetresi hanno visto gratis l’Ill.mo don Girolamo del Carretto. Non tutti: perché il parroco subito si scocciò del pellegrinaggio tumultuoso, non c’era sugo, chiuse le porte della chiesa”.

               Con queste frasi inizia La Storia di Regalpetra, del grande scrittore Leonardo Sciascia, che si può leggere nel libro Le parrocchie di Regalpetra. Nessuna relazione, se non una lontana somiglianza col racconto di cui sopra, anzi, potremmo ritenerla una giusta ricompensa, un’occasione per rifarsi il palato, a quanti avranno avuto la pazienza di leggere questa “Messa Cantata”.

               Casuale deve pertanto ritenersi qualsiasi accostamento con la figura del parroco e quella di don Girolamo del Carretto: il parroco, nell’esercizio del suo ministero chiedeva, per la sua chiesa, un compenso alla luce del sole; don Girolamo del Carretto invece, sempre sotto lo stesso sole, soleva esigere dai sudditi, che si spezzavano la schiena a lavorare la terra, tasse del terraggio, del terraggiolo e  balzelli vari.

               Per completezza d’informazione, dirò che don Girolamo, mentre era affacciato al balcone, fu assassinato da un servo con un colpo d’arma da fuoco. Si racconta anche che quella sera i regalpietresi, contadini soprattutto, mangiarono con la salvietta, volendo con ciò esprimere,  in privato, solenne soddisfazione.

               A Regalpetra, come ad Almesi, i parroci continuano ad esercitare il loro ministero, per curare le anime, i don Girolamo del Carretto sono scomparsi o forse costretti a cambiare nome.                                                                                        

Francesco Caronia

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