LA STANZA   di   Francesco Caronia
  


Francesco Caronia
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Carmelo Agnetta

di

FRANCO CARONIA


 


Carmelo Agnetta

Carmelo Agnetta è un singolare personaggio poco noto del Risorgimento Italiano che merita di essere meglio ricordato per la sua volontaria e impegnata partecipazione alle attività politiche e militari che hanno consentito di realizzare il sogno dell’Unità d’Italia.

Era figlio di genitori siciliani, di temperamento focoso, irrequieto, autoritario, generoso, quasi sempre disponibile a qualsiasi sorta di avventura che avesse alla base una giusta causa, anche con sprezzo del pericolo. Il padre era un militare di carriera ragion per cui Carmelo era nato a Caserta, nel 1823, ma sin da ragazzo era tornato a Palermo dove aveva compiuto i suoi studi e iniziato a manifestare scarse simpatie per il regime borbonico.

Prima di parlare della movimentata vita di Carmelo Agnetta è il caso di ricordare il curioso episodio che lo ha visto protagonista, durante una delle imprese più famose del Risorgimento Italiano: La spedizione dei Mille.



La spedizione dei Mille

La passione per la politica e per l’avventura lo avevano portato in diverse capitali europee, come Londra e Parigi, dove aveva svolto attività diplomatiche e dove aveva fatto amicizia con Francesco Crispi, futuro Presidente del Consiglio del Regno D’Italia. Aveva anche soggiornato in molte città italiane, intrecciando rapporti con i movimenti rivoluzionari, impegnati nella lotta per l’unificazione delle diverse regioni italiane sotto un’unica bandiera.


Francesco Crispi

Nel maggio del 1860 Agnetta ricevette l’incarico di comandare un gruppo di circa sessanta soldati che dovevano imbarcarsi sulla piccola nave “Utile”, con un carico di armi e munizioni, diretti a Marsala in Sicilia, per ricongiungersi ai Mille di Garibaldi che avevano già raggiunto l’isola ed iniziato le operazioni militari per liberarla dal regime borbonico.

Fra i soldati imbarcati, in gran parte siciliani e genovesi, spiccava la figura di Enrico Fardella il quale in passato aveva preso parte, nel 1848 come l’Agnetta, alla rivolta dei Siciliani contro il governo dei Borboni.


Enrico Fardella

Essendo fallita la rivoluzione il Fardella era stato costretto a rifugiarsi in esilio negli Stati Uniti, dove aveva anche combattuto per l’esercito dell’Unione. Tornato in Italia dopo circa dieci anni, si era reso disponibile a partecipare alla spedizione dei mille. Dopo l’unità d’Italia si occupò di politica e fu sindaco di Trapani dal 1873 al 1879, mentre Il fratello Vincenzo Fardella di Torrearsa, già politico affermato, fu Presidente del Senato del Regno dal 1870 al 1874.

Tornando alla spedizione di Agnetta, il 25 maggio 1860, la nave Utile salpava da Genova e affrontava un viaggio molto avventuroso che, dopo una sosta alla Maddalena e a Cagliari, approdava a Marsala il primo di giugno.


Carmelo Agnetta ed i suoi uomini

Seguendo il percorso consigliato dallo stesso comandante in capo, Giuseppe Garibaldi, Agnetta e i suoi giungevano a Salemi il 3 giugno e proseguivano per Calatafimi, Alcamo, Partinico e Monreale, giungendo finalmente a Palermo.


Giuseppe Garibaldi

Cesare Abba, nel suo libro “Da Quarto al Volturno “ricorda l’episodio dell’arrivo a Palermo di Agnetta e i suoi uomini, col carico di armi. L’incontro con l’esercito di Garibaldi era stabilito ai Quattro Canti, nella Chiesa di San Giuseppe dei Teatini.


Cesare Abba

Agnetta era ansioso di presentare a Garibaldi il suo piccolo esercito ma appena entrato nella chiesa sentì un ufficiale, che dopo ha saputo essere Nino Bixio, che chiese chi fosse a comandare quel gruppo. Agnetta aveva fatto un passo in avanti per presentarsi e l’altro, senza dare il tempo di rispondere, gli ordinava subito di recarsi con i suoi uomini a rendere omaggio al funerale del colonnello Tukory. L’Agnetta avvertì il tono poco civile dell’interlocutore e immediatamente chiese: “Chi è lei?” “Io sono Bixio“ fù la risposta e nello stesso tempo gli mollò una sonora sberla in faccia.


Nino Bixio

Agnetta non era tipo da farsi passare una mosca sotto il naso, figuriamoci ricevere uno schiaffo; mise subito mano alla sciabola, in segno di sfida, mentre i suoi uomini si avvicinarono per scagliarsi contro l’aggressore. Intervennero altri militari presenti, a raffreddare gli animi e riuscirono a fatica a separare i due contendenti.

Agnetta voleva subito soddisfazione, sfidando il rivale con le armi ma intervenne Garibaldi in persona a impedire il duello. Un giurì d’onore stabilì che la soluzione della contesa fosse rinviata al termine della campagna militare.

Bixio fu subito punito da Garibaldi con gli arresti mentre Agnetta si guadagnò la stima dell’Eroe dei due Mondi, oltre ai gradi di Capitano maggiore.

Nel 1861 Agnetta si congedava dall’esercito ed era orientato a chiudere pacificamente la questione con Bixio, seguendo il consiglio che gli aveva dato Garibaldi. Bixio invece, incautamente, accusava il contendente che si era fatto mantenere da una prostituta, con il chiaro intento di lanciare, più che un’accusa, una vera e propria calunnia. A questo punto Agnetta così rispose: «Un uomo che a un invito d’onore risponde con la calunnia per evitarlo, non so veramente qual nome egli meriti e di quale titolo egli sia degno.»

E il duello, ormai inevitabile, ebbe luogo a Brissago, al confine con la Svizzera. I padrini disposero Agnetta e Bixio, armati di pistola, alla distanza di circa 30 metri, uno difronte all’altro e dopo il via avevano facoltà di spostarsi in avanti e sparare a volontà.

Agnetta colpì l’avversario al primo colpo alla mano destra, procurandogli una dolorosa ferita e la perdita della funzionalità permanente.


Duello alla pistola

Bixio ammise che era stato punito alla stessa mano con la quale aveva dato lo schiaffo al suo rivale. Tuttavia rimasero in buoni rapporti per il resto della loro vita

Nel 1862 Agnetta fu assunto alla Prefettura di Palermo, con la qualifica di consigliere di terza classe, iniziando così una carriera che svolse in diverse città del nord, del centro e del sud ed esercitando le sue funzioni sempre con molta energia e determinazione. Terminò il servizio nel 1889, a Massa, dove morì a causa di una malattia, assistito dalla moglie Emilia Sauvet.

Per meglio comprendere la complessa personalità dell’Agnetta si riporta un giudizio che nel 1874 la signora Emilia Peruzzi Toscanelli, patriota fiorentina, gli aveva chiesto sulla situazione siciliana:


Emilia Peruzzi Toscanelli

«La Sicilia è travagliata da vecchi mali pei quali i rimedi i più opportuni sono le strade, le opere pubbliche in genere e soprattutto l’istruzione pubblica e precipuamente l’elementare. Ai vecchi mali se ne aggiunge un altro di sua natura acutissimo ed è la profonda corruzione delle masse che è giunta a tal punto da generare la Mafia. Qualunque siciliano non ha mai potuto sapere da che derivi questo vocabolo, però la cosa che denota è una specie di associazione segreta che tende a far vivere gli affiliati senza travagliare e ad eludere la legge in tutte le conseguenze sue. Infatti mercé le male arti della Mafia la legge dei giurati è convertita in strumento di impunità. La Pubblica Sicurezza ignara, avvilita, spaventata, più non funziona. Le aziende comunali sono in mano di mestatori altrimenti mafiosi in guanti gialli [...] I pubblici funzionari, la massima parte ignara dei costumi, della lingua e delle speciali tradizioni di questo specialissimo paese, sentono il vuoto che li circonda e di null’altro si curano che di abbreviare il loro soggiorno nell’isola, vantando poi come servizi speciali l’esser rimasti fantocci impotenti in quest’isola sciagurata.”

 

In un equilibrato giudizio sul carattere di Agnetta, lo storico Mario Rosi affermava:

«Non piacquero generalmente le sue maniere burbere e risolute, che mantenne in tutti gli uffici militari e civili, ma egli s’impose spesso ad elementi turbolenti col grande coraggio personale, che fu sempre apprezzato durante le insurrezioni e le guerre, e qualche volta riuscì utile pure nelle amministrazioni provinciali.»

 

Infine un aneddoto:

Il re Vittorio Emanuele gli aveva regalato un prezioso orologio e, tempo dopo, incontrando Agnetta, gli chiese: «Come va l’orologio?». Si sentì rispondere: «Benissimo ma ha un grave difetto, vi sono incise le cifre reali e quindi non posso impegnarlo».



 

Re Vittorio Emanuele II

 

Meritano di essere ricordate le principali imprese che lo videro impegnato sin da giovane in azioni militari:

Partecipò ai moti di Messina del 1847 e, nel 1848, con i trapanesi Enrico Fardella e l’avvocato Salvatore Calvino, alle vicende rivoluzionarie in Sicilia, durante la presidenza di Ruggero Settimo;

 

Quando i Borboni ebbero la meglio sui rivoluzionari, nel 1849, fu costretto a rifugiarsi in esilio prima a Malta e successivamente a Parigi, Londra e in Egitto;

 

Nel 1859 aveva combattuto con Garibaldi e l’esercito piemontese, nella seconda guerra d’indipendenza, contro gli austriaci;

 

Nel 1860 fece parte dell’organizzazione dell’impresa dei Mille, con i patrioti Giuseppe La Farina, Agostino Bertani, Salvatore Calvino e Giacomo Medici, i quali gli affidarono il compito del trasporto delle armi e munizioni che Garibaldi non era riuscito ad imbarcare;

 

Nel 1862 stava per partecipare alla spedizione di Garibaldi che fini tragicamente ad Aspromonte ma dovette rinunciare perché assunto in prefettura.

In conclusione, in Sicilia Nino Bixio non aveva lasciato un buon ricordo, per il suo carattere rozzo, scontroso e soprattutto per la feroce repressione seguita ai fatti di Bronte, immortalati nella novella “Libertà”, di Giovanni Verga.


Giovanni Verga

Lungo il suo cammino Bixio ha incontrato un uomo coraggioso, Carmelo Agnetta, che anteponendo la sua dignità alla stessa vita, gli ha fatto pagare un conto salato, sfidandolo a duello e invalidandogli, con un colpo di pistola, la mano con la quale aveva osato colpirlo a tradimento.

Questa, in sintesi, la storia che fa onore a Carmelo Agnetta, patriota, vivace e intelligente, uomo d’azione e di coraggio, garibaldino, siciliano.

Sono certo che merita di essere ricordato.

Francesco CARONIA