Un
caffè con... Luciana
Capretti
Intervista
di
Paola
Romagnoli
Luciana
Capretti
Caffè
o tè?
Tanto
caffè. Il tè mi piace moltissimo ma richiede tempo, è una cerimonia,
significa sedersi, aspettare che si raffreddi e intanto mangiare un
biscottino,
chiacchierare. Ma nella vita frenetica di ogni giorno è difficile
trovare un
tale spazio, quindi caffè, anche se mi piace meno.
Cosa
sta leggendo?
Non
è più come prima, elogio del perdono nella vita amorosa di
Massimo
Recalcati. E’ interessante vedere come la coppia possa vivere, e
sopravvivere, e fare proprio quel dolore che poteva segnarne la fine
trasformandolo in un nuovo inizio. Leggo sempre diverse cose
contemporaneamente,
ora ho cominciato anche Gone Girl di Gillian Flynn, in
inglese, Chiara d’Assisi di Dacia Maraini e La
lenta
nevicata dei giorni di Elena Loewenthal.
C’è
un libro che le piace rileggere o portare sempre con sé nei suoi
viaggi?
Di
recente ho riletto Il male oscuro di Giuseppe Berto, e
poi Pavese, ma non ho un titolo in particolare che riprendo. Ogni tanto
mi
viene la curiosità, avrei voglia di rileggere i classici ma il tempo a
disposizione è quel che è.
Carta
o ebook?
Carta,
assolutamente. Mi è capitato di leggere un testo su ebook ma non mi
ha lasciato alcuna soddisfazione.
Ha
un luogo del cuore?
Il
mare. Lo sogno. Forse perché sono nata in una città sul mare, forse
perché esprime libertà e perché è vasto, non ha confini.
Giallo,
nero, bianco; nel suo nuovo romanzo Tevere questi
tre colori scandiscono i capitoli e gli spazi temporali sulle tracce di
una
donna scomparsa a Roma negli anni Settanta. Da dove è partita?
Alla
base di questo romanzo c’è una storia di cui sono venuta a conoscenza
quando ero una ragazza, quindi in contemporanea con l’accadere dei
fatti. Mi
aveva molto colpito, mi ero chiesta: se mia madre se ne andasse io cosa
farei?
Poi sono passati tanti anni, è successo che mi sono messa a scrivere ed
è
uscito il mio primo romanzo, Ghibli. Quando è stato il
momento del
secondo libro questa storia era lì dentro di me che aspettava di essere
raccontata.
Il
giallo del mistero, il nero per la storia che si riannoda ai giorni
della guerra, il fascismo e la lotta partigiana, e il bianco che
ammanta un
limbo di giorni sofferenti. Un libro da cui emerge una figura di donna
e
insieme la donna, il suo ruolo nella società e nella famiglia. E pagine
che
puntano l’indice sul baratro che la quotidianità, e non solo i grandi
eventi,
può spalancare nell’animo. Come si è addentrata in questi diversi
livelli narrativi
e come ha plasmato la figura della protagonista?
Ho
trovato una voce. Ho cominciato a lavorare a questo libro facendo molte
ricerche, sono andata fisicamente nei luoghi della vicenda, ho visitato
archivi, anche di diari, in alcuni casi non era possibile fare
fotocopie e così
ho copiato a mano pagine e pagine della quotidianità degli anni di
guerra. Ho
fatto poi ricerche anche sull’elettroshock, incontrato medici e
visitato
ospedali psichiatrici. Poi mi sono messa a scrivere. E’ una storia che
da una
parte mi attraeva, dall’altra mi spaventava. Mi chiedevo, sarò in grado
di
raccontare tanto dolore? Mi sono detta che forse proprio basandomi su
documenti
d’archivio e tuffandomi nella violenza della guerra potevo trovare
questa voce.
E così, lentamente, l’ho cercata. Ma alla fine invece che tra tutti
quei
documenti quella voce l'ho trovata dentro di me.
E’ un libro che mi ha richiesto anni, anche perché mi ci sono potuta
dedicare
solo d’estate, durante le mie vacanze, una scrittura come quella che
cerco non
si può creare in un’oretta ritagliata di sera dopo una giornata di
lavoro. Una
volta finito ho dovuto cercare l’editore e anche questo non è stato
facile
perché di fronte a pagine intrise di depressione, giorni di guerra e
sofferenza
si spaventavano. La depressione è una cosa di cui non si parla ancora a
sufficienza rispetto a quanto richiederebbe la sua diffusione reale, ed
è
invece un malessere che nel momento in cui viene raccontato con una
voce vera,
come quella che ho cercato di creare nel mio libro, colpisce il
profondo delle
persone. E quando questo accade con i libri sappiamo bene che poi le
reazioni
dei lettori sono forti. Oggi sono ripagata dalle belle parole che
continuo a
ricevere dai lettori e sono grata alla mia testardaggine nel voler
continuare a
cercare e raccontare questa storia.
Lei
che per professione è giornalista e ha firmato inchieste che l’hanno
portata anche in paesi segnati da crisi profonde, dove pensa possa
germinare
nei giovani italiani di oggi il seme della fiducia e della voglia di
mettersi
in gioco in prima persona?
Quello
che posso dire è che nella mia esperienza è stato fondamentale
vivere negli Stati Uniti e respirare quell’aria di ottimismo, da nuova
frontiera, che ha plasmato quel paese nel passato ma continua ad essere
alla
base anche dei giorni d’oggi. Quando sognavo di fare la scrittrice
ricordo che
leggevo ogni lunedì l’articolo di fondo che il New York Times
pubblicava in
apertura della sezione cultura, era firmata ogni volta da un autore
divero che
raccontava come era arrivato finalmente a fare lo scrittore a dispetto
di
qualsiasi difficoltà, dei rifiuti ricevuti etc. Questa loro prova di
caparbietà
e di ottimismo mi ha dato la forza di credere in me stessa. Allora dico
che il
seme della fiducia germina dentro di sé quando non ci si fa sconfiggere
dalle
resistenze, dai rifiuti. Bisogna trovare e sentire la propria voce che
ti dice:
devi farlo. E procedere, anche se ci vorrà chissà quanto tempo ed
energia. Ma
chi crede in quello che ha dentro, riesce.
Cosa
pensa delle ‘quote rosa’?
Penso
che siano necessarie perché il maschilismo di questo paese è ancora
talmente pervasivo e profondo che riesce a corrodere persino la
self-esteem
delle donne, che a volte non si rendono conto per prime di quanto certi
complimenti siano comunque maschilisti. E siccome gli uomini sono al
potere e
fanno cordata tra uomini non c’è altro modo per la donna, per
conquistare più
posizioni di potere, che le quote rosa. Poi quando ci saranno più donne
ai
vertici queste chiameranno altre donne e la catena funzionerà, ma per
ora...
Per
finire, vuole provare a dirci cos’è per lei la lettura?
La
lettura è gioia, è viaggio, fuori e dentro di sé.
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Luciana
Capretti è
nata a Tripoli (Libia) e vive a Roma. Giornalista Rai, è stata
corrispondente da New York per oltre vent’anni. Ha realizzato reportage
che
hanno conquistato premi internazionale e l’hanno portata in Uganda,
Moldova,
Armenia, Vietnam, Cambogia, Guatemala e Canada. Il suo primo
romanzo, Ghibli (Rizzoli
2004), finalista ai premi Gaeta e Sanremo e vincitore del Rapallo Opera
Prima,
ripercorre le vicende degli italiani emigrati in Libia e costretti a
scappare e
abbandonare tutto con l’avvento del regime del colonnello
Gheddafi. Tevere è
il suo secondo romanzo (Marsilio, 2013). Luciana Capretti lavora al Tg2
Rai.
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