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di

Raffaele Brignone

detto   Antonio

 

seconda parte

 

The  Milords

 

Iniziammo a costruire un nostro repertorio e a lavorare ai vari pezzi. Durante le prove cercavo di dare un’impronta personale al nostro modo di suonare, cambiando i tempi di esecuzione, modificando pause e intervalli di suono, o cantando a tre voci, integrando la linea vocale di Maurizio con controcanti eseguiti da Roberto e da me. Ogni esecuzione dopo queste modifiche, si presentava simile all’originale ma nello stesso tempo molto diversa dal pezzo scritto nello spartito o da quello inciso nel 45 giri dal cantante o dal complesso che lo aveva portato al successo.Forse grazie a queste variazioni musicali da tutti condivise o forse perché ero il più grande (diciotto anni), venni riconosciuto dal resto del gruppo come loro guida e quindi capo-complesso. Forte della mia nuova carica, proposi delle regole da rispettare:

1.                     L’impianto di amplificazione per la voce, compresi i microfoni, è comproprietà del gruppo. Chi vorrà uscirne perderà la propria parte di comproprietà. Nel caso in cui qualcuno venga estromesso gli sarà corrisposta la sua quota.

2.                     Puntualità alle prove.

3.                     No ai superalcolici.

4.                     No alle ragazzine durante le prove.

 

Proposi inoltre di dare un nome al gruppo, un po’ inglese, come era di moda al tempo, e un po’ altisonante : The Milords, e tutti ne sembrarono soddisfatti. Non so ancora oggi se fu vera convinzione o se il resto del gruppo non volle contrariarmi , certo è che nacquero i Milords, che sarebbero diventati uno dei complessi storici di Tripoli. Studiammo per mesi, utilizzando per le prove prima la casa di Antonio, poi la soffitta di Salvo  Giacchi (che ritroveremo in questa storia quale organizzatore di spettacoli), infine garages e cantine… Non era facile trovare un posto dove poter suonare senza disturbare i vicini, ma con pazienza e molta passione riuscimmo a superare anche queste difficoltà.

 

The Milords prima di una esibizione

 

A  proposito  di  prove

 

Mentre scrivo questo diario, ricordando i tempi passati e le ore trascorse a provare, mi accorgo di essere stato un vero schiavista nei confronti dei miei compagni d’avventura. Pretendevo sempre il massimo da tutti, ogni brano veniva ripetuto all’infinito.

- Dai, forza ragazzi – li incitavo - inizia Antonio con un terzinato alla batteria, poi entra il basso, quindi le chitarre e Maurizio…

- Antonio…alla quarta battuta del ritornello stoppi con un colpo secco alla grancassa e smorzi i piatti!…Riprende Ugo con il basso da solo…

- Ugo…quando suoni da solo, alza il volume!…poi entra Roberto con il ritornello svisando sul tema in assolo, quindi rientriamo con la ritmica, chitarra basso e batteria, al secondo giro sugli accordi riprende Maurizio…

- OK?!

- Uno…due...tre...quattro! Si comincia...

- Antonio!!! Voglio un colpo secco sulla cassa, non una carezza! Tutto dall’inizio!

- Uno…due…tre…quattro… Si continua…

- Ugo!!! Alza il volume quando sei da solo…

- Tutto dalle battute iniziali, riprendiamo!

- Basta Raffa, va bene così, no?!!

Fingendo di non aver sentito ribatto quattro e si continua a provare… 

Provare e suonare tra noi era molto bello, ma ci mancava la consacrazione del pubblico.

 

 

L’ esordio

…dal diario personale di Maurizio, scritto nel periodo in cui faceva parte dei Milords…

 …è stato in occasione della festa di Natale del Liceo Scientifico, era il 23.12.1967, in quella occasione suonammo coadiuvati da un altro complesso, la nostra esibizione fu molto gradita ed applaudita e presto verremo ancora chiamati per suonare…

 E’ proprio vero quello che scrisse allora Maurizio. Esibirsi per la prima volta davanti a un pubblico di giovani, fu di buon auspicio. In seguito ricevemmo numerose proposte per suonare a feste private, matrimoni, cresime e compleanni. Di fatto negli anni successivi, tra il 1968 e il 1969, raggiungemmo l’apice del successo ed arrivarono anche i primi riconoscimenti economici. Ricordo che all’epoca mio padre, che aveva una buona attività commerciale, per le mie piccole spese mi concedeva una paghetta settimanale di mezza sterlina, ed era molto. Le nostre normali prestazioni musicali venivano ricompensate con ottanta/centoventi sterline a serata, quindi a ciascuno di noi toccavano venti/venticinque sterline: una vera fortuna per noi ragazzi, soprattutto se si tiene conto del fatto che ci esibivamo quasi tutte le settimane… Organizzavamo anche dei pomeriggi danzanti in un garage, l’underground, un altro modo di presentare musica piuttosto in voga alla fine degli anni ’60. Per i biglietti d’ingresso ci inventammo un timbro artigianale: da una gomma per cancellare tagliammo un primo strato lasciando in rilievo solo una M e con questa timbravamo i biglietti all’entrata.

Poi riuscimmo ad ottenere un contrattato settimanale con lo Shooting & Fishing Club. Diverse compagnie di giovani ci seguivano nei locali dove suonavamo e il nostro gruppo d’amici era sempre in prima fila con oltre quaranta tra ragazze e ragazzi, capitanati dalla effervescente Paola Tessuto e da suo cugino.

 

 

The Milords durante un’esibizione allo Shooting & Fishing Club

 

 

Angelo Vasta, carissimo amico d’infanzia, grande ammiratore del nostro gruppo e socio dell’Underwater, propose ed ottenne dal proprietario un contratto per farci suonare al Club ogni sabato sera.

Ricordo le feste a casa di Angelo, alle quali partecipavo sempre accompagnato dalla mia chitarra…Ogni volta lui mi chiedeva di suonare un flamenco, e mentre suonavo si avvicinava agli amici sussurrando loro: “Senti com’è bravo!”…

 

Ciao Angelo, sei stato un grande amico!

 

 

L’ Underwater  Club

 

L’Underwater club, fu il nostro vero trampolino di lancio.

Il primo contratto, ottenuto dall’amico Angelo, consisteva in una serata di prova al Club, durante la quale si sarebbero esibiti anche i The Colors of Darkness, una formazione americana composta da figli dei soci o figli di amici. Il sabato pomeriggio di quel memorabile giorno, si festeggiava il Carnevale.  Portammo i nostri strumenti e la nostra amplificazione al Club, e sulla pedana riservata ai musicisti trovammo già sistemata l’attrezzatura dell’altro complesso: amplificatori ultima generazione provenienti direttamente dagli Stati Uniti, alti come una persona e collegati a pedaliere per i comandi a distanza, una batteria tutta in madreperla bianca con doppi tom e doppi timpani…Cose simili le avevamo viste solo sui giornali! Il costo del tutto si poteva aggirare intorno a quello di tre automobili di media cilindrata… Un sogno per noi!

 Antonio in quel periodo aveva una batteria rimediata da vari pezzi provenienti da altre batterie, per cui ogni pezzo aveva un colore diverso: rosso, bianco, giallo... Mentre eravamo intenti a sistemare strumenti e amplificazione, arriva il Sig. Papadopulos, titolare del Club e ci guarda con aria molto preoccupata…Forse pensava: “Chi sono questi con un’attrezzatura così sgangherata?”

 Antonio interpreta lo sguardo e prontamente gli dice:

- Vede, Sig. Papadopulos, essendo Carnevale abbiamo pensato di portare una batteria di colori diversi…per rendere più allegra la serata!

I nostri amplificatori, grandi come una grossa valigia, quasi scomparivano al confronto dei giganti già in pedana, ma non ci perdemmo d’animo e sistemammo tutto negli spazi liberi.

Ritornammo al Club la sera, per la nostra esibizione, prevista nelle due mezzore d’intervallo dell’altro gruppo.

Arrivarono anche gli americani, tutti molto giovani, e per prima cosa accesero un proiettore per filmati super 8 millimetri, oggi un pezzo da museo, ma assoluta novità per l’epoca…Alle spalle di chi suonava, su un telo bianco, apparvero immagini di films di guerra che avevano per protagonisti soldati americani.

Iniziarono a suonare una musica molto caotica e pesante che non avevo mai sentito prima, forse brani di loro composizione. I testi parlavano di guerre e di lotte per la pace. Altre canzoni avevano per argomento l’insofferenza giovanile, la morte e il dolore, raccontavano di giovani stressati, afflitti dal male di vivere…Forse il loro nome, tradotto letteralmente “i colori delle tenebre”, derivava proprio da questa loro pessimistica visione della vita.

Mentre i giovani americani suonano, le persone in sala rimangono tutte sedute al proprio tavolo, chiacchierando sottovoce e sorseggiando delle bibite. Sulla pista da ballo nessuno e nulla cambia durante tutta la prima ora della loro esibizione.

 

The Milords durante un’esibizione all’Underwater Club

 

Finalmente tocca a noi!…I The Colors of Darkness lasciano la pedana e ci invitano a prendere il loro posto. Strumenti a tracolla, Antonio con le sue bacchette in mano, saliamo sul palco e colleghiamo i nostri strumenti agli amplificatori. Durante l’esibizione degli americani, ero stato preso da forti dubbi, forse il pubblico presente in sala gradiva quel tipo di musica, quindi il nostro repertorio era tutto fuori tema…Come sempre avevamo preparato una scaletta introduttiva di genere melodico per invogliare la gente a ballare. Mentre collego la chitarra all’amplificatore penso: “E’ tutto sbagliato!”. Guardo gli altri, che come me si stavano preparando a cominciare a suonare, e sussurro loro: “Dobbiamo cambiare la scaletta iniziale dei brani…” Suonare in pubblico senza una scaletta predisposta non l’avevamo mai fatto; in prova si era già stabilito con quali pezzi iniziare e la successione degli altri brani per non falsare i tempi e gli automatismi successivi.

Strumenti pronti, tutti e quattro meravigliati e ansiosi, mi fissano per sapere cosa fare. Una sensazione di panico mi pervade, non so con cosa iniziare, le idee in testa girano a mille…Escludere il melodico è cosa certa, il tempo è poco, bisogna decidere in fretta. Rischiamo di far apparire la nostra indecisione come insicurezza…Sono io che devo scegliere, ma il parere di Maurizio, l’unico con uno strumento non meccanico, la voce, è essenziale. Mi avvicino a lui e gli sussurro:

“Vorrei la pelle nera”. Con un cenno acconsente, passa parola agli altri “la pelle nera”…“la pelle nera”…tutti annuiscono con il capo, sono pronti, Antonio incrociando le bacchette batte quattro per lo stacco iniziale; Maurizio toglie il microfono dall’asta lo porta vicino alle labbra:

- hei, hei, hei, dimmi Wilson Pickett !

- hei, hei, hei, dimmi tu James Brown - rispondiamo io e Roberto

- Questa voce dove la trovate…?

 E Maurizio quella sera, la trovò quella voce piena, cristallina, potente…

 In sala iniziò un brusio, si sentì qualche risatina…Tutti sembravano svegliarsi da un forzato torpore. Poi qualcuno, timidamente, si avvicinò alla pista da ballo, ancora immacolata, e incominciò a ballare. Pochi minuti dopo la pista era  piena. L’inaspettato successo diede una gran carica a Maurizio, che in quel brano riuscì a tirar fuori il meglio di se stesso.

Chiudemmo il pezzo con rulli di batteria e assoli di chitarra e ci ritrovammo sommersi da un mare di applausi e grida e fischi, che per gli americani erano segno di approvazione e di entusiasmo. Non riuscivamo a credere a quello che stava succedendo. Per un po’ restammo immobili a goderci gli applausi e ringraziare il pubblico, ma il tempo a nostra disposizione era poco… Non lascio nemmeno sopire gli applausi, per non rubare minuti alla nostra mezzora, e dico ai ragazzi del gruppo: “When the Saints go marching in”, ma la mia voce è coperta dal frastuono ancora echeggiante in sala, tanto che loro avvertono solo il labiale…

Gli applausi continuano mentre Antonio ribatte quattro, questa volta colpendo con la bacchetta il cerchio di ferro del rullante…Accordo iniziale delle due chitarre e Maurizio, ancora stordito dalla reazione del pubblico comincia a cantare, io e Roberto lo seguiamo in un’altra tonalità. Quasi tutto il pubblico è in pista a ballare, ma la pista è insufficiente a contenere tutti gli ospiti per cui qualcuno balla tra i tavoli, mentre i pochi ancora seduti scandiscono il ritmo con le mani. Chiudiamo anche questo brano, ancora applausi, qualcuno sale in pedana e vuole stringerci la mano per congratularsi, un gruppo di giovanissime assale letteralmente Maurizio, lo vogliono toccare e abbracciare.

 Io continuo ad osservare le lancette dell’orologio che girano inesorabili, mi avvicino ad un microfono:

- Grazie, thank you!

- Grazie a tutti!

I minuti scorrono veloci e noi dobbiamo continuare a suonare…

Gli applausi si placano e riprendiamo con alcuni brani melodici, che dopo i due effervescenti brani iniziali, vengono molto graditi.

Fine del primo tempo.     

 Stacchiamo gli strumenti dagli amplificatori e li riponiamo per cedere il posto agli americani. Tornano i The Colors of Darkness e torna anche il silenzio in sala…

I presenti riprendono posto attorno ai tavoli e ricominciano a conversare sommessamente bevendo i loro drinks.

 Noi usciamo dalla sala ancora euforici e sorridenti e iniziamo darci gran pacche sulle spalle congratulandoci l’uno con l’altro:

- Bravo Roberto!… - Bravo Maurizio!… - Antonio, sei stato grande!…

- Hai visto quello come batteva le mani?!… - E quello che è salito sulla sedia e fischiava come un matto!??… - Bravo Ugo!… - Grande Raffa!...

- Li abbiamo stesi! - Cerchiamo Angelo, chiediamogli cosa ne pensa.

Rientriamo in sala. Angelo stava uscendo dall’ufficio del Sig. Papadopulos, lo prendiamo sottobraccio e lo portiamo fuori assalendolo con le domande:

– Allora?! Come ti sembra che sia andata?… - Siamo stati bravi?… - Ti siamo piaciuti?... – Dai, dicci qualcosa!!…

Angelo porta le mani avanti con il palmo rivolto verso di noi e dice con un gran sorriso:

- Calma ragazzi! Calma! Il Sig. Papadopulos mi ha chiamato nel suo ufficio, visto che sono stato io a presentarvi al Club, per dirmi che vi vorrebbe a suonare qui tutti i sabato sera, al posto degli americani… molti soci gli hanno fatto questa richiesta, ma ha un dubbio…sareste capaci di suonare per una intera serata?

Roberto, quando sente mettere in dubbio le sue capacità musicali o quelle del gruppo, s’innervosisce e diventa irascibile…con fare minaccioso e il dito indice proteso in avanti esclama:

- Dì al “greco” che noi possiamo suonare per quattro ore di fila senza ripetere un solo pezzo!!!

Seguimmo Angelo che ci accompagnò tutti dal “greco”, persona squisita ed affabile, e che dopo averci fatto accomodare ed essersi congratulato per la splendida esibizione, ci propose un contratto per suonare al Club tutti i sabato sera ed eventualmente anche in altre occasioni, qualora si fosse presentata una situazione adatta al nostro genere musicale.

Intanto gli americani avevano terminato di suonare. Sempre la stessa storia…noi ci avviciniamo alla pedana per prendere il loro posto, e coprire la seconda mezzora di pausa con la nostra musica, quando inaspettatamente uno di loro si avvicina ad Antonio, che conosceva molto bene la lingua inglese, e gli dice:

- Terminate voi la serata, siete molto più bravi…noi andremo, con grande piacere, a ballare al suono della vostra musica…

Questo riconoscimento fatto da chi sembrava il nostro avversario del momento, ci riempì d’orgoglio e di soddisfazione.

 

 

Locandine

 

Sul giornale italiano di Tripoli intanto compaiono le prime locandine pubblicitarie che annunciano serate danzanti con  The Milords.

Forse non eravamo i più bravi, ma contrariamente ad altri gruppi eravamo musicalmente preparati e le nostre proposte erano sempre molto originali.

 

 

Le prime locandine pubblicitarie dei Milords

 

 Ricordo la nostra versione de “ Il ballo di Simone ”, sempre richiesto durante le nostre serate. Quando il brano sembrava finito e la gente iniziava a lasciare la pista da ballo, ad un cenno tra me e Roberto si riprendeva dal ritornello: “…batti in aria le mani /…e poi falle vibrar /…se fai come Simone /…non puoi certo sbagliar…”e tutti ritornavano a ballare, anche se già seduti al tavolo, si alzavano e rientravano in pista con grandi schiamazzi. Un altro brano sempre molto applaudito era “ La Bamba ” miscelata con “ Twist & Shout ”, il cui risultato finale era un pezzo parte in spagnolo e parte in inglese!

 

Locandina pubblicitaria del giornale italiano di Tripoli

 

Le locandine pubblicitarie, ci portavano molta notorietà, ma la stessa notorietà, la ripagavo a caro prezzo a scuola. Il Professore Luigi Piazza, ingegnere, docente dell’Istituto Guglielmo Marconi, siciliano, da poco a Tripoli, seguiva con molto interesse questi avvenimenti. Con spirito goliardico e il giornale in mano, il mattino successivo a qualche nostra esibizione, entrava in classe e dopo aver fatto il formale appello chiedeva:

- Raffaele! Hai suonato ieri sera?

- Si,professore.

- Bravo, e a che ora sei tornato a casa?

- Alle tre questa mattina, professore.

- Ti sei divertito?

- Come sempre professore.

- Bravo! Vieni, oggi sei interrogato.

 Seguiva un’interrogazione con risultati non certo prestigiosi, ma al Professore piaceva molto giocare ed eravamo legati da un’amicizia vera, che andava al di là del rapporto scolastico, amicizia condivisa anche con altri studenti, come Renato Marotta, Luigi De Matteis e Danilo Pucci.

 Naturalmente l’interrogazione era solo un modo per farmi capire che la scuola era la cosa più importante e che lo studio, anche se meno piacevole della musica, doveva essere preso seriamente. Per mia fortuna, e grazie al buon cuore del professor Piazza, quelle interrogazioni non vennero mai ufficializzate…

 ...ciao prof., ovunque tu sia, sappi che ti abbiamo voluto bene!

 

 

Ricordi  dell’ Underwater

 

L’Underwater Club divenne nostro territorio, tutti i soci ci conoscevano e ci apprezzavano, tanto da invitarci a frequentare il loro Club anche quando non eravamo impegnati a suonare.

Il Club era formato da un vasto locale interno con un fornitissimo bar, una pista da ballo e un grande palco per le esibizioni dei vari artisti. All’esterno una splendida piscina con due trampolini, un altro bar e un’altra pedana per l’orchestra. Ai bordi della piscina c’erano lettini, sdraio, tavolini e sedie, ombrelloni e diverse piante, all’ombra dei quali si potevano trascorrere giornate incantevoli. Lasciando alle spalle la piscina si giungeva ad una scogliera a picco sul mare. C’era un punto particolare dove il fondale formava una specie di pozzo naturale, profondissimo, e dal promontorio prospiciente ad esso si potevano eseguire magnifici tuffi, senza incorrere nel pericolo di incontrare delle rocce. Da questo punto partivano gli appassionati di immersioni subacquee per le loro esplorazioni sottomarine, “ Underwater ”, sott’acqua.  Un giorno Angelo decise di organizzare una serata per l’elezione di Miss Underwater, e per l’occasione invitò anche i nostri familiari a partecipare alla serata. Dopo una lunga e articolata votazione venne annunciato il nome della vincitrice.

Nome: Teresa

Cognome: Brignone

I miei amici, subito dopo il verdetto mi assalirono con domande provocatorie: - Quanto hai dato alla giuria per far vincere tua sorella?…- Ti sei comprato tutti?…

Erano solo affermazioni scherzose, sapevano benissimo che non mi sarei mai permesso un’azione così disonesta, io stesso ero rimasto sorpreso dal verdetto, anche se mia sorella Teresa era veramente una bella ragazza. Ora purtroppo non è più con noi: il Signore, guidato da ragioni per noi misteriose, l’ha chiamata vicino a Sè. Quella fu una delle poche volte in cui i miei familiari (era presente anche mia madre), mi videro suonare in pubblico.

Un altro piacevole ricordo dell’Underwater è quello legato a una serata di fine anno. Con il direttore del Club concordammo di suonare sino alle due del mattino e pattuimmo una cifra per la nostra esibizione. Inizia la serata. Il Club è stracolmo di soci, amici e ospiti, tutta la sala è addobbata con festoni e decorazioni, luci rotanti si rincorrono lungo le pareti e noi facciamo la nostra parte per la riuscita della serata portando allegria e movimento tra il pubblico presente. Avevamo allungato i cavi che collegavano gli strumenti agli amplificatori e grazie alla maggiore libertà di movimento potevamo scendere a turno in mezzo al pubblico che ballava, cantando e suonando.

 

Arriva la mezzanotte, classico conto alla rovescia…meno dieci, nove, otto, seven, six, five, four, three, two, one…                           

Happy New Year!!

Esplodono i tappi delle bottiglie, fiumi di spumante vanno a colmare i calici degli astanti, tutti si abbracciano e si baciano.

La serata procede molto bene, tutti si divertono, molti salgono sul palco e augurano Buon Anno anche a noi.

Terminata l’euforia dei minuti riservati ai brindisi e agli auguri, riprendiamo con la musica da ballo.

 

Poco prima delle due, l’orario concordato con il direttore del Club, iniziamo un crescendo che annuncia la fine della serata, quindi presento i componenti del gruppo, uno alla volta, lasciando a ciascuno di loro qualche minuto per esibirsi in assolo.

 

Dichiaro conclusa la serata, ringrazio i presenti e gli organizzatori… Ma quando iniziamo staccare gli strumenti dall’amplificazione e a riporli, in sala si alza una serie di vivaci proteste, i presenti dicono che è ancora presto e che vogliono ancora musica, iniziano a scandire il nome del nostro complesso battendo ritmicamente le mani.

Maurizio e Roberto guardandomi un po’ perplessi mi chiedono:

- Raffa che facciamo??…

- Suoniamo altre tre pezzi, poi via…- rispondo.

Ricolleghiamo tutto e torniamo sul palco, tre pezzi, saluti e ringraziamenti, poi cominciamo nuovamente a riporre gli strumenti nelle rispettive custodie…

 

Da sinistra: Antonio, Raffaele, Roberto, Maurizio

 

  Un terzetto composto da soci che dimostravano di aver gradito molto le libagioni della serata, salì sul palco e ci chiese per quale motivo non volevamo più suonare. Rispondemmo che l’accordo con il Club prevedeva di smettere alle due e che avevamo già superato l’orario stabilito da più di mezzora…

“Non vi preoccupate”, dice uno di loro, e subito dopo aver pronunciato queste parole si allontana, prende dal bancone del bar un vassoio per servire le bibite e inizia a girare per i tavoli. Dopo qualche minuto il vassoio è pieno di banconote da dieci e cinque sterline, per un totale sicuramente doppio rispetto a quello che avevamo concordato con il direttore per la serata. Il tipo, con il vassoio in mano, si avvicina e con aria soddisfatta dichiara:

“Queste sono per voi…ora avete un contratto con noi e non con il Club”.

 

Un  nuovo  componente  nel  gruppo

…dal diario personale di Maurizio, scritto nel periodo in cui faceva parte dei Milords…

 Nelle prime serate all’Underwater Club, il complesso raggiunge una buona fama e notorietà, tanto da essere additati molto spesso per strada, quali componenti dei Milords, e siglare, almeno io, i primi autografi…

…In questo periodo, arriva Franco Lombardo, un amico di Raffaele, suona la tromba e si inserisce in qualche nostro pezzo, tra l’altro ci aiuta molto con gli apparati elettrici e gli amplificatori, è un tecnico elettronico…

 Franco Lombardo, nato a Tripoli, il 17.07.1946

Un carissimo amico. Si dilettava con la tromba e un giorno mi espresse il desiderio di poter suonare con noi.

 Per chi non conosce la musica

Le chitarre, come molti altri strumenti, leggono lo spartito in sol maggior (chiave di violino), la tromba invece, suona in Si Bemolle. Non avendo proseguito gli studi con il maestro Perissinotto, trovai qualche difficoltà ad adeguare gli accordi delle chitarre alla tonalità della tromba, ma per alcuni brani riuscii a farlo e a questi partecipava anche Franco…

 

Lui era più che soddisfatto, l’importante era far parte dei Milords...

Tra le varie attività, Franco si impegnava moltissimo a sistemare gli impianti elettrici per l’amplificazione della voce e degli strumenti musicali, campo in cui noi eravamo piuttosto ignoranti…

Riuscì anche a rimediare un posto dove poter provare, un’officina fuori città che apparteneva ad un suo parente. La notizia ci rese euforici in quanto eravamo sempre alla ricerca di un posto tranquillo dove poterci esercitare. Ma, come si dice, non è tutto oro ciò che luccica…

...

 

Entusiasti, ci rechiamo con gli strumenti in questa officina; montiamo tutto ed iniziamo a suonare. Dopo pochi minuti sentiamo un gran bussare alla porta, quasi la volessero sfondare, e subito delle grida, seguite da vivaci imprecazioni in arabo…

Franco va ad aprire e compare un signore libico molto alterato…

- Che succede fratello ?! – gli chiede parlando in arabo, lingua che conosceva molto bene. E quello sempre più indispettito:

- Questo rumore non mi fa dormire! Io faccio l’autista e la mattina mi devo svegliare molto presto! Dormo in una cameretta che confina con il muro di cinta dell’officina, ho scavalcato il muro e sono venuto a vedere cos’é questo chiasso!

- Vedi fratello, - continua a dirgli Franco - questi ragazzi sono musicisti e lavorano con la musica come tu fai con il camion. Devono studiare se vogliono imparare suonare come si deve!…Dai vieni, siediti con noi e ascolta anche tu…Beviamo qualcosa insieme! L’autista si rabbonisce, prende una sedia, e con una bottiglia di birra in mano si mette a guardarci ammirato e incuriosito. Il giorno seguente stessa scena, e così anche i giorni successivi: il signore libico continuava a saltare il muro arrabbiato e a venire in officina a lamentarsi del rumore, poi si sedeva in disparte a bere e ascoltare…Non so ancora se gli piacesse di più la nostra musica o la birra, che puntualmente gli offrivamo per calmare le sue ire!

 

Nasce  la  divisa  dei  Milords

Il nostro complesso, a poco più di un anno dalla sua formazione, aveva già ottenuto numerosi riconoscimenti di pubblico. Le serate che ci vedevano come protagonisti erano sempre più numerose, così come le persone che manifestavano stima ed incoraggiamento nei nostri confronti…Ma il mio chiodo fisso rimaneva sempre il modo di vestirsi, la divisa, simbolo del gruppo, quindi si decise anche per questo

 

La divisa dei Milords