Una 

La stanza  di Etty Barki


Etty Barki


LA MIA STORIA

Giugno del 1967 è stata una data fatidica. 

Il Re Idris aveva posto una condizione a tutti gli ebrei di Libia: fino al 17 Giugno avrebbe garantito la protezione con i militari, dopo questa data, avrebbe tolto la polizia che piantonava i palazzi dove erano "barricati" gli ebrei e chi fosse rimasto dopo quella data, lo avrebbe fatto a suo rischio e pericolo.

Per poter partire entro quella data, si fecero i salti mortali e in quell'occasione io ho capito cosa è la vita e come sia già tutta programmata, come un puzzle. Si compone giorno per giorno e si completa sotto la mano Divina che ci protegge in ogni occasione. Ho capito che quando viviamo dei momenti difficili, negativi, quando pensiamo che il mondo ci stia crollando addosso c'è sempre qualcosa che ci aspetta dietro l'angolo e che molto spesso è qualcosa di positivo e lì noi possiamo capire la Grandezza del Nostro Signore.

Mi sento in "dovere" di raccontare quello che è successo a me, ma per farvi capire bene cosa sia il "destino", devo tornare un pò indietro, circa un mese prima del fatidico 5 Giugno del 1967:

Circa un mese prima lavoravo al Banco di Roma di Tripoli. 

Non ero una ottima impiegata, il mio compito era quello di andare a prendere le ordinazioni per il pranzo dei miei colleghi per poi trasmetterlo al negozio di generi alimentari, Corbisiero, o ad Alì che faceva panini al tonno e felfel nelle cantine della banca. Queste cantine purtroppo erano frequentate assiduamente da un esercito di bionde Scelfahe (scarafaggi).

Di quel che era il lavoro effettivo di banca, io ne capivo ben poco, probabilmente perchè a scuola avevo avuto una insegnante di tecnica bancaria che era quasi un'analfabeta (non faccio nomi) ed io non capivo nulla di quello che lei diceva. In sede avevano cercato di spostarmi in vari uffici ma spesso ero stata abbandonata a me stessa. C’è da premettere che io ero una lavativa, che amavo godermi la vita e cercavo di divertirmi in ogni occasione. Quindi nessuno si prendeva la briga di insegnarmi qualcosa.

Inoltre, essendo io ebrea, la Direzione aveva dato un ordine tassativo di non licenziarmi: avevano clienti ebrei che erano molto facoltosi ed il mio licenziamento  avrebbe fatto scoppiare uno scandalo nella comunità. In verità questo era quello che pensavano loro perché, invece, nella comunità ebraica non c'era nessuno che gli importasse qualcosa di me. Anzi, il mio nome era nella lista dei "cattivi", perchè in quel momento ero fidanzata con un mio giovane coetaneo  di religione cattolica.

Spesso questi ebrei venivano a bussare alle porte di casa mia per gridare allo scandalo. “Tua figlia non deve avere rapporti con un cattolico!” Mia madre, Wanda, si innervosiva e li minacciava di farli ruzzolare dalle scale, qualora si fossero ripresentati. Grande Wanda!.....

Dopo qualche settimana prendo autonomamente la decisione di licenziarmi dalla Banca di Roma. Con la liquidazione mi compro una FIAT 600 che perdeva olio in quantità. Un'auto che mi aveva rifilato un amico ebreo (sic!). 

Una vecchia Fiat 600 , degli anni '60

Tengo la macchina parcheggiata sotto casa e la condivido con la mia amica Mariella, che aveva già la patente (mentre io ancora non l'avevo) e  con cui andavo al mare. Avevamo fatto un patto: lei la usava tutto il giorno e mi veniva a prendere per andare insieme al Beach Club

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Uno scorcio del Beach Club a Tripoli 

Comunque intanto vengo raccomandata al Mister Hag Sceibani, ricco petroliere libico e vado a lavorare nella sua dittai. Vi anticipo che vi ho lavorato solo per un'ora e mezza. Ed ora vi spiego. 

Il mio compito era quello di ricevere i benzinai msa io non avevo capito bene chi fossero. Mi avevano assegnato un piccolo tavolino nell'entrata e io dovevo ritirare delle bollette tutte scritte in arabo ed ero contornata da una marea di “baraccani” che stavano seduti intorno a me....

C'era un caldo micidiale, e non c’era nessuna aria condizionata. Cosìcchè prendo la mia borsetta e vado dalla segretaria americana di Mister Hag Sceibani. Questa segretaria stava seduta ad un lato di una lunga scrivania dentro un lungo ufficio, che mi sembrava lungo un chilometro, con un tavolo disposto per tutta la lunghezza della stanza e dove al centro  stava seduto generalmente proprio Mister Hag Sceibani. 

“Le comunico che me ne vado.” le dico. “Le chiedo la cortesia di ringraziare Hag Sceibani, ma questo lavoro non è di mio gradimento e nello stesso tempo. Le chiedo di diventare amica mia”. In quel modo avremmo avuto modo di fare pratica reciproca di italiano e inglese. Lei accetta e ci scambiamo i numeri di telefono. Lei mi da quello del suo ufficio che era anche quello personale del Hag.

Me ne vado e dopo 20 giorni circa, arriva il fatidico 5 Giugno. Noi ebrei-tripolini, allarmati dagli eventi, cerchiamo di scappare al più presto possibile, ma per andare via occorre un visto sul nostro passaporto. Chiediamo aiuto al Hag Sceibani per ottenere questo maledetto visto. Al telefono ci avvisa che non può fare nulla per noi, e che anche lui è in gravi difficoltà esistenziali, e che con suo grande dispiacere dice di non poter aiutarci.

Dopo circa 10 minuti (tralascio la descrizione della nostra vita di barricati in casa, nel palazzo deserto che aveva solo tre poliziotti che, zahma, avevano il compito di proteggerci), riceviamo una telefonata, dall'ufficio di Hag Sceibani. Parlano in arabo e ci dicono di preparare i passaporti in una carta di giornale e che sarebbero venuti a ritirarli. Per fortuna i nostri passaporti non erano in casa, qualche giorno prima li avevamo dati ad un generoso vicino tunisino, (grazie alla Mano Grande Del Signore che ci aiuta nei momenti di difficoltà!), che ce li doveva custodire.

Richiamiamo al telefono Hag Sceibani, ma non riceviamo alcuna risposta o almeno, ci rispondono in modo secco che non c'è. “Ma come non c’è?  Ma se ci abbiamo parlato poco fa…” Ribadiscono ostinatamente "Non c'è". A questo punto inaspettatamente la mia memoria mi viene in aiuto e trovo nei miei appunti il numero di telefono dell'ufficio del Hag, il suo numero personale, che mi aveva dato la gentile e generosa segretaria americana. Mi risponde proprio lei, che fortunantamente si ricorda subito di me, e io le spiego...: “Hag Sceibani mi ha chiamato poco e ora i suoi collabotori mi dicono che non c'è.” La segretaria senza pensarci due volte mi passa subito Hag Sceibani, il quale tutto agitato dice che lui non può fare nulla, che non ha chiamato lui e di fare molta attenzione a tutto e  tutti! O mio Dio!!!

E allora, comincio davvero a diventare sospettosa e mi domando: "Allora chi sono le persone che dovevano venire a trovarci in casa per  ritirare i nostri passaporti?"
I miei genitori a questo punto erano letteralmente terrorizzati, mentre io, con l’incoscienza dei miei 20 anni non ancora compiuti, attendo il loro arrivo, pronta a tutto..

Dopo un po' sento suonare il campanello del portone, (i citofoni in quei tempi non esistevano) e nel frattempo avviso i tre poliziotti, che erano nell'atrio di guardia alla nostra casa, di entrare in casa nostra e di nascondersi dentro un vuoto ripostiglio. 

Ecco arrivare un “malefico” (non so come altro chiamarlo). Gli faccio segno di salire tenendo in mano un giornale titto piegato. Questi, un po’ incerto e con fare sospettoso, sale le scale con circospezione e lentamente arriva fino al secondo piano, davanti alla mia porta di casa. Io allora indietreggio senza mai dargli le spalle e lo invito ad entrare in casa. A questo punto non so che fare o che dire ed allora gli sventolo il giornale piegato, e lui ha un attimo di incertezza. In quel preciso momento i tre poliziotti escono rapidamente dal loro nascondiglio e prontamente lo pestano a dovere. Gli piegano il braccio abbastanza da non romperlo e per spaventarlo tirano fuori un enorme coltellaccio da macellaio e glielo mettono vicino alla gola. 

Lo legano mani e piedi, lo fanno sedere e quando  lo interrogano scoprono così che lui fa parte di una banda di sette persone, formata da egiziani e siriani, pronti sotto casa, in attesa  di un suo segnale. 

Lo legano mani e piedi, lo fanno sedere... 

Lui era stato mandato in avanscoperta con la scusa di dover ritirare i nostri passaporti per farli vidimare, poi gli altri lo avrebbero seguito ed avrebbero iniziato a fare una strage di noi ebrei.

Quel benedetto giorno, il 17 Giugno del 1967 siamo finalmente saliti su quell'aereo che ci avrebbeportato verso la Libertà e verso la Vita. Devo dare atto che siamo riusciti  anche grazie al generoso aiuto di un tunisino che ci aveva custoditoi nostri passaporti e grazie all’intraprendenza di mia madre, che, scortata da lui, si era vestita e camuffata da araba ed era andata a farsi timbrare i passaporti all’ufficio vidimazione.

Purtroppo dopo giorni di duro ed estenuante digiuno, (per noi ebrei era pericolosissimo  uscire di casa ed i nostri vicini libici ed italiani avevano paura di portarci da mangiare), eravamo ridotti a pane raffermo, olio e sale. 

Una volta salita sull’aereo ero completamente estenuata dalla mia debolezza. Da vari giorni non mi alimentavo più con calorie sufficienti a sostenere il mio corpo.  Una volta salita sull’aereo ero così affamata, che mi feci portare un vassoio dietro l'altro di qualsiasi cosa avessero in cambusa. Non pensavo ad altro che a mangiare ed a recuperare le mie energie fisiche. Vi confesso sinceramente che in quel momento di debolezza psichica e fisica, viaggiando su quell’aereo, non mi importava di aver lasciato a Tripoli il mio fidanzato, neppure di aver lasciato il mio paese natio, ma neppure la mia casa, le mie amiche... Non mi importava proprio di niente… pensavo solo alla mia sopravvivenza.

Ecco la Grandezza del Signore che aveva predisposto tutto. 

Primo, la nascosta volontà dei miei capi della Banca di Roma di volermi licenziare, tanto da indurmi al mio licenziamento volontario in cambio di un'auto scassata che tanto desideravo ma che non guidavo, perchè ancora non in possesso di una patente di guida. 

Secondo, quello strano ed inverosimile impiego durato “un ora e mezza” nell'ufficio del Hag ed il mio secondo auto licenziamento

Terzo, avere un carattere gioviale che mi ha permesso di fare amicizia in pochi minuti con la segretaria americana.

Io credo che su ognuno di noi aleggi una GRANDE MANO, che ci protegge e che predispone tutto, anche se noi non lo sappiamo!

Mio nonno, buonanima, minacciato continuamente in casa sua, sorvegliato dal mio fratello di 10 anni, passava le notti seduto su una sedia con in mano un pistolone enorme, con 36 colpi in canna. Diceva, come un mantra “ 35 colpi  sono per loro e 1 per me, 35 colpi  sono per loro e 1 per me... ”. Ogni sera riceveva telefonate anonime e gli dicevano di prepararsi a morire. Lui rispondeva: “Vi aspetto Tfoddl! (accomodatevi)”.

Il mio povero nonnino è morto di infarto il 1 Luglio 1967. Il suo cuore non ha retto allo stress. Era molto in ansia per mio fratello e per sua sorella che vivevano con lui.

Era un grande uomo!  Il suo nome era Clemente Arbib.

Etty Barki